Lunedì 31 Dicembre ore 10:00 appuntamento sotto il carcere di Rebibbia (all'angolo tra via Bartolo Longo e via Raffaele Majetti) per dare solidarietà alle persone recluse.
“Ti basterebbe un solo sguardo per capire che queste persone non sono più umane, che senza un progetto, un lavoro, senza ricevere risposte, senza una speranza non siamo più niente. Provaci tu a non poter chiamare la tua compagna, a dover scegliere se usare la tua unica chiamata per sentire i tuoi figli o i tuoi genitori. Prova ad avere solo 10 maledetti minuti a settimana per comprimere tutto, ogni pensiero, ogni parola, ogni sentimento. Prova a non sentirti solo, impotente, perso. Basterebbe seguirci mentre arriviamo ammanettati tra la gente, ancora non giudicati, in quelle aule dove dovrebbero fare giustizia, ma ti senti colpevole anche se non lo sei, vivi la condanna prima ancora della sentenza. Trascinati coi ferri ai polsi, chiusi dentro una gabbia più piccola della cella, sbattuti e umiliati in quei sotterranei luridi di piazzale Clodio. Basterebbe assaggiare questo cibo, che fa schifo e comunque non basta mai. Basterebbe finire in questo baratro per capire che i muri e le sbarre chiudono dentro anime vive e tengono fuori l'umanità, la civiltà. Ti basterebbe vederlo, questo posto, per non poter più far finta di nulla. Ti metteresti anche tu a sbattere con noi. Questa volta, non girarti dall'altra parte. Posa l'aperitivo, sospendi la call, metti in pausa il film. Prova a vedere oltre questo maledetto muro.”
Detenuti liberi di Regina Coeli, Facciamo rumore, Giugno 2024.
84 nel 2022; 69 nel 2023; più di 60 già alla fine dell’estate del 2024. Questi numeri contano i suicidi nelle carceri italiane. Il problema non è la morte di chi è reclus*, quanto la normalità del carcere che spezza le vite di chiunque vi metta piede. La morte ne è la tragica conseguenza.
Il carcere che uccide è il carcere paradigma di questo tempo, come soluzione ad ogni problema. Come luogo dove nascondere poveri e migranti, dove sorvegliare e punire chi annega nelle disuguaglianze di questa società insieme a chi ha il coraggio di sfidarle.
Una società che ha bisogno del carcere si materializza nei processi di militarizzazione delle scuole come dei quartieri, nei decreti sicurezza che aumentano le pene e i reati. Il carcere come riproduzione della società, della sua forza produttiva e di tutti i suoi valori. Il carcere come paradigma si esprime anche nei CPR, nel mito della sicurezza a scapito della libertà. La libertà di circolare al di là della propria provenienza, la libertà di studiare, di lavorare, di protestare. La libertà contro il carcere, il carcere contro l* dannat* della terra. Dannat* che gridano giustizia e gridano vendetta: come dalla Palestina così dal mediterraneo, dai luoghi di lavoro, dello sfruttamento e dell’oppressione.
È difficile ormai individuare il momento più problematico per le persone recluse: è l’estate in cui le celle diventano dei forni o l’inverno quando sono delle ghiacciaie? Quando si entra o quando si esce e ci si ritrova in un mondo che non ti appartiene più? Per alcuni il momento più difficile è il natale. Secondo noi il carcere è difficile 365 giorni l’anno, risolutivo mai. Per noi il carcere non è mai una soluzione, è uno strumento di irrigidimento della società; è per chi trova espedienti allo sfruttamento del lavoro, per chi non paga una vita sempre più cara, per chi occupa una casa o non può più pagarne un affitto, e così in occupazione ci si ritrova. Uno strumento per educare chi ancora mantiene uno spirito critico, chi si ribella, come hanno fatto i/le detenut* di Regina Coeli negli ultimi mesi o tant* altr* reclus*.
Ma educa a cosa? Al fatto che la critica va bene purché sia ubbidiente, alla sopraffazione, al patriarcato, a quegli stessi valori che contraddistinguono la società fuori. Carcere e società non sono due dimensioni distinte quanto l’uno il proseguimento dell’altra. I meccanismi di oppressione che agiscono sulle nostre vite fuori dai luoghi di detenzione vengono perpetuati anche al loro interno.
Gli errori e le violenze che conducono alcune persone in carcere sono frutto della cultura di questa società, della marginalizzazione sociale, di quel processo che costruisce un ponte fra le periferie e il carcere, fra l’assenza di documenti e i luoghi di detenzione. Per noi essere contro il carcere significa essere contro la società che lo genera e lo difende.
Il 31 dicembre, ormai da svariati anni, andiamo sotto le mura di Rebibbia, a far sapere a chi è lì dentro che non è sol*, e a far sentire a chi vive fuori (noi) la voce di chi vive dentro. Il 31 dicembre è anche questo, un momento di lotta e condivisione, un momento di solidarietà concreta, per portare un racconto o anche solo un saluto alle persone che sono dentro. Un momento di ascolto, un momento per non essere solo testimoni alle barbarie di questo mondo, per dimostrare che vi è ancora chi resiste e lotta, fuori e dentro, per la libertà.
Raccontano che la vita è nel fomentare la guerra ma allo stesso tempo nella pace sociale, nell’ordine, nella difesa dei confini, nella legalità che difende il più forte. La vita è altrove, in chi resiste, in chi ha la capacità di immaginare un mondo diverso per sé e per qualcun altro. Come dicevano i detenuti di Regina Coeli, la vita non puoi farla prigioniera.
Compagn* verso il 31 dicembre 2024 a Rebibbia.