L'imbroglio etnico

Data di trasmissione
Durata 1h 12m 47s

Prima trasmissione del gruppo redazionale sull'intersezionalità[1] (intrecci tra genere, razza, classe, etnia, normatività sessuale). Nella trasmissione viene presentato il ciclo di trasmissioni su questi temi e proposta una intervista ad una compagna del Partito rivoluzionario del popolo etiope.

Riflessioni sulla demistificazione dei termini razza ed etnia, la negazione del ruolo coloniale dell'Italia, connessioni tra accadimenti passati e presenti in Africa ed in Europa.

 

[1] Intersezionalità È una metodologia di analisi femminista che esplora il modo in cui il genere si interseca con altre categorie dell’esperienza (razza, etnicità, classe, sessualità, ecc.). Lo scopo è di individuare i modi in cui queste categorie operano in specifici contesti sociali e culturali. Infatti, l’apparente predominio di una categoria può servire a mascherare l’azione o l’interdipendenza di un’altra categoria. Il termine è stato coniato per la prima volta dalla femminista afroamericana Kimberlé Crenshaw nel 1989, nella sua analisi della violenza maschile contro le donne nere, e poi ripreso e sviluppato da altre femministe nere (da Patricia Hill Collins a bell hooks, solo per citarne alcune). Tra la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli anni ’80, infatti, le femministe afroamericane affermano la necessità di articolare riflessioni teoriche, pratiche politiche e forme di organizzazione che siano fondate sulla critica del razzismo e del sessismo che le donne nere sperimentano. Sviluppano così metodi analitici per interpretare il modo in cui razza e genere incidono sulle loro vite, ad esempio introducendo la nozione di «intersezionalità», cioè intersecando, appunto, i diversi ‘assi’ della differenza (genere, razza, etnicità, classe, scelte sessuali), per mostrare quanto sia inefficace una teoria che tenga conto di uno solo di questi assi. Infatti storicamente le donne nere hanno combattuto simultaneamente sia contro il razzismo che contro il sessismo, riconoscendoli come due sistemi di potere che sono sempre interconnessi. Ad esempio, Crenshaw afferma che le analisi sul genere e sul sessismo sono costruite sempre a partire dall’esperienza delle donne bianche e di classe media, mentre le analisi sulla razza e sul razzismo sono basate sempre sull’esperienza degli uomini neri (come se tutte le donne fossero bianche e se tutti i neri fossero maschi). Dunque le politiche identitarie – che tendono a presentare le differenze tra i gruppi come naturali e immutabili – finiscono per costruire un’immagine omogenea e monolitica dei gruppi sociali, cancellando le differenze al loro interno (come se le donne fossero tutte sorelle, subordinate alle stesse forme di oppressione) e contribuendo ad amplificare le tensioni tra i diversi gruppi. Invece, le esperienze delle donne nere sono spesso il prodotto dell’intersezione di razzismo e sessismo, e queste esperienze tendono ad essere cancellate sia nel discorso femminista che in quello antirazzista. Grazie alle critiche del femminismo nero e postcoloniale, il femminismo bianco e occidentale – che aveva sempre considerato il genere e la differenza sessuale come le categorie analitiche principali – ha dovuto riconoscere la propria inadeguatezza nel rilevare le differenze e le relazioni di potere esistenti tra le donne. Una prospettiva che consideri l’intersezione tra genere, razza, etnicità e alttri assi del potere e del privilegio, può essere invece un’opportunità per costruire potenziali alleanze tra donne/soggetti appartenenti a culture e contesti diversi, sempre a partire dal riconoscimento del proprio specifico posizionamento.