” I Nomi delle Cose” /Puntata del 2/3/2016” Intervista a Silvia Federici”
” Perché dopo cinquecento anni di dominio del capitalismo, all’inizio del terzo millennio, la figura del proletario è ancora quella del povero, del fuorilegge e della strega? Che rapporto c’è tra l’esproprio della terra, l’impoverimento di massa e il continuo attacco alle donne? E che cosa possiamo apprendere sullo sviluppo del capitalismo, passato e presente, se lo analizziamo nell’ottica privilegiata di una prospettiva femminista?” Silvia Federici <Calibano e la strega>Mimesis 2015
“I Nomi delle Cose” /Puntata del 25/11/2015“Il valore politico della rottura”
“Quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli?/DESMONAUTICA, la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese ” Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali”
Toya Graham è il nome di una madre che durante le manifestazioni a Baltimora di cui tutte siamo a conoscenza, ha riconosciuto il figlio nei riots ed è scesa di corsa in strada, lo ha preso a ceffoni e lo ha trascinato per le orecchie a casa. Queste immagini hanno fatto il giro del mondo e sono state osannate a più non posso non solo dai media mainstream di tutte le colorazioni possibili, ma anche dalle prefiche della non violenza e dalle vestali della legalità del femminismo para-istituzionale ( che non sappiamo perché continuiamo a chiamare femminismo), chiarendo una volta per tutte, se ce ne fosse ancora bisogno, che per tutti/e queste soggette/i la violenza è qualcosa che viene tirata in ballo solo per condannare gli oppressi e le oppresse, mentre non viene nominata quando ad esercitarla è il sistema di potere, cosa che fa quotidianamente e in ogni istante della nostra vita. Nascondendosi dietro il paravento della non violenza portano avanti un appoggio sistematico alle politiche neoliberiste e si fanno sponsor di questa società che esplica una violenza inaudita a tutti i livelli e su tutti i fronti e strumentalizzando la vicenda di Toya Graham si scagliano contro la rabbia espressa dalla manifestazione NoExpo di Milano auspicando che ci siano più donne così e, in generale più persone così.
Ci chiediamo se le madri dei partigiani e delle partigiane avessero dovuto andare a prenderli e trascinarli a casa per le orecchie, facendo tra l’altro un’opera di delazione rendendoli pubblicamente riconoscibili e, chissà, se le madri delle combattenti del Rojava sono andate a prenderle per le orecchie e le hanno riportate a più miti consigli.
Fortunatamente ci sono stati articoli di donne e di collettivi femministi che hanno fatto discorsi completamente diversi e hanno analizzato la lettura distorta e mistificante che è stata portata avanti sulla storia della madre di Baltimora dato che lei stessa ha dichiarato di aver portato via il figlio perché non voleva vederlo ucciso dalla polizia.
Ma a noi sono venute in mente una serie di considerazioni sulla “madre”.
Non stiamo parlando della capacità fisica di mettere al mondo un essere umano, bensì del ruolo sociale che la figura della madre incarna.
Si, perché quello di madre è un vero e proprio ruolo sociale, la madre è catena di trasmissione dei valori dominanti, questo è quello che il potere patriarcale vuole da lei.
Nella famiglia capitalista mononucleare, i ruoli sono molto specifici e determinati: il padre rappresenta l’autorità, specchio della gerarchia di genere e di classe nella società, e media il rapporto tra il figlio/a e la società tutta, la madre è lo strumento che deve introiettare nei figli/e la scala dei valori vincente sia al femminile che al maschile. Non dimentichiamo, infatti, che le madri allevano anche i figli maschi. E la riuscita di questo lavoro di costruzione viene verificata nel rapporto con l’autorità paterna e quindi con la società.
Nell’attuale fase neoliberista, anche se c’è un tentativo molto forte di ricostituire le gerarchie classiche dell’autoritarismo a tutti i livelli, la differenziazione tra ruolo materno e paterno è più labile, le famiglie sono spesso monogenitoriali e spesso questo unico genitore è la madre che somma in sé quindi il compito di essere catena di trasmissione dei valori dominanti e mediatrice dei rapporti del figlio/a con la società.
E’ in questo senso che la madre di Baltimora percorre le strade più classiche del ruolo a lei assegnato: far rientrare il figlio nei ranghi che sono poi quelli imposti dalla scala valoriale dominante, ribadire la sua autorità contro ogni possibile tentativo di autodeterminazione anche a scapito della tutela del figlio stesso che in questo modo viene dato in pasto all’opinione pubblica e viene annullato come soggettività autonoma.
Ci vengono in mente le madri che denunciano per il “loro bene” i figli che si drogano o le figlie che si prostituiscono consegnandoli alla così detta legge e dandoli in pasto alla pubblica condanna. La violenza che è insita in queste azioni è senza confini.
Questi comportamenti “materni” sono così introiettati a tutti i livelli sociali dalle donne stesse da diventare nel comune sentire caratteristiche materne ed essere confusi con l’attenzione e l’affetto nei confronti della prole, addirittura dalla prole stessa che si aspetta che la madre li rimproveri e li faccia rientrare nei ranghi.
Allora, proprio perché questi valori sono così fortemente introiettati tanto da diventare assunzione inconscia cerchiamo di uccidere la madre che è in ognuna di noi.