19 febbraio 1937, massacro ad Addis Abeba.
Il 19 febbraio 1937 il Viceré d'Etiopia Rodolfo Graziani subisce un attentato. Due partigiani eritrei lanciano otto bombe a mano sulle autorità italiane: i morti sono sette e i feriti una cinquantina, tra cui lo stesso Graziani che però ne esce vivo. I soldati italiani sparano sulla folla, provocando una prima strage. Graziani ordina che vengano attuate «le misure idonee a impedire eventuali ripercussioni», e che si agisca «col massimo rigore al primo manifestarsi di moti». Alcune migliaia di italiani – sia civili che militari – si lanciano in una terrificante “caccia” all'uomo che passerà alla storia come il massacro di Addis Abeba. Un poliziotto etiope, uno dei testimoni oculari della strage, avrebbe ricordato gli italiani che entravano nelle case dei locali e che, al grido di «Buongiorno!», li uccidevano a colpi di baionetta o di fucile, o li bruciavano vivi – quando i bambini scappavano dalle case in fiamme, gli italiani li lanciavano di nuovo dentro. È una carneficina.
Lo storico britannico Ian Campbell, al termine di una ricerca durata decenni, ha stimato che le vittime delle sparatorie e dei roghi, nel massacro che coinvolge la città di Addis Abeba e i dintorni, sono circa 19.000, e cioè che la “caccia” uccide un abitante etiope su cinque della città. Ci racconta questa terribile pagina della nostra storia contemporanea Matteo Dominioni, storico ed esperto del corno d'Africa.