La Parentesi del 17/02/2016"Mistificazioni neoliberiste"
Il 15 gennaio scorso è stato varato dal Consiglio dei Ministri il decreto legislativo sulle depenalizzazioni che prevede che una serie di reati non rientrino più nella casistica penale, ma vengano sanzionati amministrativamente. Nei vari commi di legge per i comportamenti in questione viene sostituito al termine “è punito” il termine “è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria”. Si tratta di illeciti svariati che vanno da reati cosi detti “Contro la fede pubblica” e cioè, per esempio, uso di atto privato falso, falsità in scrittura privata a quelli “Contro la moralità e il buon costume”, da quelli in “Materia di Previdenza” come omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali a quelli in “Materia di circolazione stradale” come la guida senza patente, solo per citarne alcuni e varrebbe la pena che ognuno/a se li andasse a leggere tutti.
In questa casistica estremamente varia è contemplato anche il reato d’aborto, cioè l’aborto fuori dalle regole imposte dalla Legge 194/78. La Legge 194/78 prevede la possibilità di aborto solo se viene seguito un percorso obbligatorio amministrativo e medico e solo nelle strutture pubbliche. Se la donna che vuole abortire non segue questo percorso e se non lo fa nelle strutture pubbliche, fino all’altro giorno, la trasgressione era penale. A seconda della gravità della trasgressione era prevista la multa fino a centomila lire, vale a dire 51 euro, o la reclusione fino a sei mesi. Ora le regole e il percorso sono rimaste le stesse, ma la trasgressione è stata depenalizzata e soggetta a multa da 5 mila a 10 mila euro.
Detta così sembrerebbe una buona cosa. Invece no, perché non intacca assolutamente lo spirito della legge. L’aborto, che dovrebbe essere libero, continua ad essere permesso solo secondo il percorso e i dettami della norma che, per inciso, non funziona affatto perché abortire nelle strutture pubbliche è un terno al lotto visto l’altissimo numero di obiettori di coscienza, nel Lazio l’80%, ma con l’ introduzione di una multa così alta si attua un ulteriore filtro fortemente classista. Tutto quello che passa attraverso il denaro è una discriminante di classe e, quindi, dato che la possibilità di abortire delle donne delle classi subalterne in strutture pubbliche è estremamente limitata, queste non potranno più abortire con il fai da te o, meglio, dato che necessariamente continueranno a farlo ,non andranno neppure in ospedale in caso di complicazioni per non prendersi anche la salatissima multa.
Quindi è evidente la mistificazione portata avanti da questa cosi detta depenalizzazione che si configura in maniera evidente come una forma di controllo poliziesco e di classe estremamente forte.
Ma non è un decreto infelice o mal riuscito, fa parte di una modalità specificatamente neoliberista di affrontare il sociale.
Fa parte di questa tendenza anche la spinta ad una riforma carceraria sempre più tesa a sostituire per molti reati la detenzione in carcere con misure alternative.
I richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia che focalizzavano l’attenzione sul sovraffollamento, sulle condizioni igieniche precarie, sulla mancanza di aree di socialità o cortili per l’aria, hanno costituito la chiave per un cambio di indirizzo politico che dovrebbe prevedere un maggiore ricorso alle pene alternative e sostitutive della carcerazione che non è solo italiano, è un indirizzo di tendenza nei paesi occidentali.
Anche qui, detta così, sembrerebbe una buona cosa. Invece no. Certo, stare fuori è meglio che stare in carcere, ma questa disponibilità del sistema neoliberista nasconde una strategia di controllo sociale devastante.
Se a un detenuto/a viene concesso di “espiare” la pena a casa, al lavoro, nei servizi sociali o in una qualunque configurazione esterna, la sua vita sarà per legge soggetta a controllo e anche quella dei familiari, dei datori di lavoro, dei colleghi, di tutte e tutti quelli che sono con lui/lei in relazione . In questo modo è possibile mettere in atto un controllo sociale serrato sul territorio e addirittura costringere il territorio ad autoregolarsi. Ognuno/a diventerà controllore di se stesso e degli altri.
Così il cerchio è chiuso, la vita è diventata un carcere e chi si vuole sottrarre è molto più individuabile, circoscrivibile e neutralizzabile.
La partecipazione alle manifestazioni, l’impegno politico, i tentativi di organizzarsi in lotte sociali contro la mancanza di alloggi, il caro scuola, la disoccupazione.. sono sanzionate amministrativamente con multe salate con il chiaro intento di dissuadere da subito chi può avere intenzione di portare avanti una qualsivoglia lotta.
Le persone non solo sono sottoposte ad un forte controllo poliziesco ma dovrebbero imparare ad autocontrollarsi, controllare gli altri/e e piegarsi ad un asservimento volontario.
Possiamo solo autorganizzarci e tagliare i ponti con questa impostazione sociale, rifiutare il coinvolgimento, rifiutare ogni collaborazione, smascherare i veri obiettivi che sono sempre ammantati da nobili motivazioni.
Siamo tutte e tutti detenuti politici.