E' in uscita in questi giorni "Una vita per i diritti umani", documentario dedicato alla figura di Enrico Calamai, il diplomatico italiano che prima in Cile e poi in Argentina riuscì a salvare centinaia di persone dalla repressione di Pinochet e dei generali argentini. Ce ne parla lui stesso ai nostri microfoni.
In un articolo apparso su Avvenire il 19 aprile 2023 dal titolo"Argentina. Completa verità sulla Chiesa ai tempi della dittatura di Videla" lo storico dell'Università di Modena e Reggio Emilia Gianni La Bella parla della decisione del Papa di aprire gli archivi vaticani della prima e seconda Sezione della Segreteria di Stato e della Nunziatura di Buenos Aires, relativi agli anni della dittatura argentina dal 1976 al 1983, mettendoli a disposizione della Conferenza episcopale argentina, affinché un gruppo di storici, teologi, sociologi della Pontificia Università Cattolica, coordinati da Carlos Galli, Juan Guillermo Durán, Federico Tavelli, Luis Oscar Liberti, potessero far luce su quanto accaduto in quegli anni. Frutto di quella decisione è stata la pubblicazione di una voluminosa opera dal titolo “La Verdad los harà libres. La Iglesia Católica en la Espiralde Violencia en la Argentina 1966-1983”.
Abbiamo chiesto un commento a Enrico Calamai, che nel 1976 era in servizio all'ambasciata italiana a Buenos Aires.
In Afghanistan un contingente militare turco prenderà il posto delle truppe statunitensi nel controllo e nella difesa dell'aeroporto internazionale di Kabul. Abbiamo chiesto al giornalista Murat Cinar cosa c'è dietro questa decisione di Washington e cosa comporta per Ankara la presenza in una zona che, ormai da più di un secolo, è sinistramente definita la tomba degli imperi.
A Enrico Calamai invece, che ha raccontato in questo articolo sul Manifesto i suoi ricordi personali, abbiamo chiesto un quadro della situazione in Afghanistan fra il 1987 e l'inizio degli anni '90, quando il ritiro delle truppe sovietiche dal paese provocò un bagno di sangue prima e l'instaurazione del regime dei talebani poi.
Continuano, nella sostanziale indifferenza di media e opinione pubblica, le stragi di migranti in mare. Non si ' ancora spento l'eco delle decine di persone affogate nel canale di Sicilia che arriva quello delle altrettante morte nell'Atlantico, mentre cercavano di raggiungere le coste delle isole Canarie.
Di queste questioni proviamo a ragionare con Enrico Calamai, già console italiano a Buenos Aires e membro del coordinamento antirazzista Mani rosse antirazziste, che ogni giovedì pomeriggio alle 18.30 manifesta di fronte al Ministero dell'interno.
Il 24 marzo di 45 anni fa un colpo di Stato in Argentina instaurava una dittatura militare che sarebbe terminata solo nel dicembre del 1983 e con un saldo di oltre 30.000 morti, oppositori e dissidenti trucidati da militari e polizia i cui corpi, nella maggior parte dei casi, non sono stati mai più ritrovati.
Enrico Calamai era all'epoca un giovane funzionario del consolato italiano a Buenos Aires che insieme a un gruppo ristretto di persone, formato fra gli altri dal giornalista GianGiacomo Foà e dal sindacalista Filippo Di Benedetto, riuscì a mettere in salvo centinaia di persone, prima di essere forzosamente richiamato in patria nel 1977. Questa esperienza si ritrova nel suo libro autobiografico "Niente asilo politico".
Impegnato oggi nella denuncia dei massacri nel Mediterraneo, Enrico ci mostra quanto sia terribile il concetto di "desapariciòn" e come, a distanza di tanti anni, l'atteggiamento generale dell'opinione pubblica e il ruolo dei media di fronte a tragedie come la dittatura argentina o la strage dei migranti nel Mediterraneo non sia poi cambiato granché.
A Enrico Calamai, che da console italiano a Buenos Aires mise in salvo e fece espatriare centinaia di oppositori politici, abbiamo chiesto di illustrarci il suo articolo, in particolare per quanto riguarda le analogie fra i desaparecidos di ieri e quelli di oggi.