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Sciopero generale!

Data di trasmissione

Oggi, 29 novembre 2024, sciopero generale del sindacalismo di base, Cobas, Cub, Sgb, Usi, Clap, Sì Cobas, corteo da piazza Indipendenza a piazza Barberini, e di CGIL e Uil, corteo da piazza Esquilino ai Fori imperiali.

Molte voci da questa importante giornata di mobilitazione contro il disegno di legge di bilancio.

Dal corteo romano dei confederali sentiamo Camilla Mazzitelli del SLC CGIL sulla situazione dei lavoratrici e dei lavoratori della RAI con il contratto scaduto e una proposta assolutamente insufficiente da parte dell'azienda e un'altra delegata CGIL sulla questione delle Poste.

Sentiamo poi dal corteo regionale di Firenze un lavoratore della Beko di Siena, in cassa integrazione e con la minaccia di circa 2000 esuberi su 4000 addetti/e.

Sentiamo molte voci dal corteo del sindacalismo conflittuale tra cui un lavoratore dei Cobas Sanità che, oltre a informarci sulle carenze drammatiche di personale, denuncia la precettazione di infermieri e infermiere a cui fa eco un lavoratore di Atac dove, come per tutto il trasporto pubblico locale il ministro Salvini ha nuovamente imposto la precettazione. 

Sentiamo anche una lavoratrice del CNR, da ieri in assemblea permanente dentro la sede di piazzale Aldo Moro soprattutto contro il precariato di più di tremila ricercatrici e ricercatori.

La manifestazione dei sindacati di base era animata da tanti striscioni, bandiere interventi per la Palestina, per lo stop al genocidio come viene ripetuto a ogni intervento.

Infine con un compagno proviamo a tracciare un quadro conclusivo.

21 marzo, sciopero nazionale poste

Data di trasmissione
Durata 15m 43s

21 MARZO 2024 SCIOPERO NAZIONALE
DI 24 ORE DELL’INTERA CATEGORIA POSTALE

 

     CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE

     PER UN CONTRATTO CHE RECUPERI REALMENTE IL POTERE D’ACQUISTO E L’INFLAZIONE

     CONTRO IL PRECARIATO IN POSTE PER L’ASSUNZIONE DI TUTTI I CTD, NESSUNO ESCLUSO PER IL RIPRISTINO DELL’ORGANICO FALCIDIATO DA ANNI E ANNI DI TAGLI AL PERSONALE

 

PRIVATIZZAZIONE Come tutti ormai saprete il governo si appresta ad avviare una ulteriore tranche di privatizzazione dei “gioielli di famiglia” ad iniziare da Poste. Sono di poco tempo fa, era il 23 gennaio 2018, le parole della Meloni: “ ..diciamo no alla svendita di poste Italiane e ci batteremo con tutte le nostre forze …quando andremo al governo manterremo Poste Italiane in mano pubblica”. Ed oggi nonostante i 250 milioni di euro di dividendi del 2022 versati da poste al MEF per la sua quota azionaria del 29,6%, si vuole privatizzare parte o tutta la quota del MEF.

Quello che l’ulteriore privatizzazione comporterà, lo sappiamo, avendone vissuto in prima persona le conseguenze già della prima tranche: tagli di personale, aumento dei carichi di lavoro, della flessibilità e dello sfruttamento, minore sicurezza per i lavoratori e minor tutela per gli investimenti e i risparmi dell’utenza. Tutto questo solo per il profitto, per i dividendi degli azionisti e per i lauti stipendi dei manager, mentre noi vediamo ricambiato il nostro sudore con salari sempre più miseri, da fame, lontanissimi da un reale recupero inflattivo e con un servizio erogato all’utenza (in tutti i settori) sempre più carente, costoso, a singhiozzo, che ha perduto ogni natura pubblica.

Tutto questo mentre i sindacati concertativi fanno finta di opporsi alla privatizzazione, chiamando i lavoratori alla “guerra santa“  per poi proporre l’azionariato dei dipendenti legando difatti i destini salariali e rivendicativi, di quest’ultimi, all’andamento in borsa dell’azienda, nella speranza di poter anche “rappresentare” i lavoratori al tavolo degli azionisti. Come fanno a dire di lottare contro la privatizzazione quando la ripropongono con l’azionariato dei dipendenti, e quando continuano a riproporci sistemi di welfare aziendale (fondo sanitario, fondo pensione) che è l’antitesi del servizio pubblico? Come fanno a dirsi contrari quando hanno nel ’97 proclamato uno sciopero per accelerare il passaggio in S.p.A. e la privatizzazione esistente l’hanno voluta e sostenuta?

CONTRATTO Abbiamo diritto ad un contratto che possa recuperare realmente l’inflazione ed il potere d’acquisto dei lavoratori, un contratto che renda giustizia ai lavoratori nei confronti dei lauti guadagni e dividendi di manager e azionisti, un aumento salariale fisso al di là di ogni variabile legata alla presenza, alla produttività, agli obiettivi aziendali, agli incentivi ad personam, che compensi quanto negli ultimi anni è stato sottratto ai lavoratori in termini economici e di tutela di diritti. Un reale aumento salariale immediatamente fruibile non scaglionato in tranche di cui l’ultima si colloca sempre a pochi mesi dalla scadenza contrattuale e nel quale vengono conteggiati, come aumenti, le somme imposte per il welfare aziendale. Un aumento minimo medio netto di euro 300. Rivendichiamo un contratto che restituisca a chi lavora le necessarie condizioni per svolgere dignitosamente e con serenità i compiti a cui è chiamato: riduzione dell'orario di lavoro per tutti; ripristino degli scatti di anzianità; riduzione di tutte le forme di flessibilizzazione.

Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che i nostri cugini postali tedeschi hanno rinnovato il contratto con aumenti medi di 350 euro più un bonus di 3000 euro a fronte poi di uno stipendio già più cospicuo del nostro, ed i bancari italiani hanno avuto un incremento in busta paga di 436 euro.

NO AL PRECARIATO e ALLA FLESSIBILITÀ In tutte le nostre iniziative, negli anni, abbiamo sempre lottato contro le evidenti conseguenze delle politiche aziendali privatistiche, prima, e della privatizzazione poi.
Precariato e flessibilità appartengono a questo scenario e ormai hanno toccato apici non più tollerabili. 

L’azienda si regge sui precari e sullo sfruttamento senza limiti di quest’ultimi. I sindacati concertativi, complici di questo uso ed abuso senza pari, non hanno nessuna intenzione di lottare per la loro stabilizzazione, e attraverso lo strumento reiterato delle politiche attive hanno barattano migliaia di tagli occupazionali con la stabilizzazione di un numero irrisorio di CTD. Basti ricordare che con le riorganizzazioni, con gli esodi, nell’arco di un trentennio gli occupati in poste sono stati dimezzati. Nel 2017 eravamo 137.000 attualmente contiamo meno di 120.000 occupati; e la tendenza futura sarà ancora in questo senso: contrazione degli occupati, diminuzione del costo del lavoro, aumento dello sfruttamento e dei carichi di lavoro. 

Analogamente, conseguenza di tale emorragia occupazionale è la continua e sempre più insistente flessibilizzazione del lavoro attraverso una molteplicità di strumenti adoperati dall'azienda per piegare le risorse alle sole esigenze produttive: abuso di CTD, migliaia di part-time involontari, blocco delle mobilità, riorganizzazioni, continui distacchi, richieste al limite di straordinari, richieste di svolgimento di mansioni non pertinenti, ferie imposte d’ufficio o negate, lavoro festivo.

I CTD, ricattati, sfruttati all’inverosimile vedono, per la maggior parte, il miraggio della stabilizzazione da lontano con graduatorie senza fine e per moltissimi senza speranza con continue assunzioni di nuovi giovani a tempo determinato, in una spirale senza fine.
Questa lotta è anche per la stabilizzazione di tutti i CTD nessuno escluso per porre fine al precariato e al conseguente sfruttamento di lavoratori senza diritti e senza futuro, è anche per tutti quei part-time a cui non viene data pur volendola la piena occupazione ma è anche per ripristinare il giusto organico falcidiato da anni e anni di tagli, per garantire un servizio adeguato all’utenza e carichi di lavoro accettabili, senza pressioni, a tutela della sicurezza fisica e psichica per tutte le lavoratrici e lavoratori di poste e per arrivare ad una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che sia garanzia di lavoro, vita familiare e sociale per i lavoratori.

Questa lotta è per tutti noi, è per il nostro futuro per riaffermare la necessità di avere garantiti i diritti che solo i servizi pubblici possono offrire a tutta la popolazione.