http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/10/17/la-parentesi-di-elisabetta-del-15102014/
“Il male minore?”
Una notizia divulgata ieri, 14 ottobre, racconta la vicenda di un ragazzino di Firenze, di nove anni, con genitori separati.
“Picchia la mamma, non voglio vederlo” così dice il bambino che non vuole incontrare il padre nelle ore previste dal tribunale una volta alla settimana e il suo rifiuto è così netto che, certe volte, è stato letteralmente trascinato agli incontri dagli/dalle assistenti sociali. “E’ inutile che urli, hai il cervello come un bambino di due anni, mi fai pena,” gli ha gridato il padre la scorsa volta..
Ma il giudice impone gli incontri con il “papà”, per il suo bene, perché “vanno garantiti i rapporti con i due genitori”.
Sul momento una persona qualunque è portata a pensare ad un’esagerazione o ad un caso limite. Invece non è così. Tutto questo è più comune di quanto si creda.
Questa impostazione è il frutto di diverse concezioni che si intrecciano.
In primo luogo, la tendenza alla patologizzazione dei comportamenti e alla colpevolizzazione personale conduce a delegittimare qualsiasi desiderio o scelta che non sia in sintonia con quello che è stato decretato “giusto”. La PAS, la così detta “sindrome da alienazione genitoriale”, è uno degli esempi più illuminanti. Se un figlio/a non vuole incontrare il genitore violento, la colpa viene addebitata alla madre che instillerebbe odio nei confronti del padre. Le sensazioni, i sentimenti, le esperienze, la sensibilità di un bambino/a non contano, sono relegate nella sfera del patologico e come tali trattate. La PAS, pur essendo una teoria che non è stata accolta ufficialmente nelle sedi mediche e legali, viene di fatto usata come riferimento in sede giuridica, penale e amministrativa con conseguenti danni gravissimi.
Poi, l’impostazione ideologica neoliberista confonde volutamente l’aggredito e l’aggressore, nello specifico facendo finta di dimenticare la natura strutturale dell’oppressione di genere, e passa sotto silenzio i rapporti di forza, allo stesso modo con cui vorrebbe far dimenticare il conflitto di classe riportandolo ad un “sereno confronto” fra le parti sociali, ad una convivenza civile in cui tutto si annacqua e si diluisce. Le persone sono spinte all’autocolpevolizzazione e la miseria e l’infelicità vengono ridotte ad un fallimento personale o a un problema psicologico. La società sarebbe sana, sarebbero gli individui incapaci di valorizzarsi e di saperla vivere.
Quindi, partecipa al gioco il così detto “politicamente corretto” e la visione socialdemocratica per cui lo Stato agisce sempre per il bene dei/delle cittadini/e.
Ne deriva la cultura della legalità e l’infantilizzazione degli individui….delle donne.. delle diversità….dei popoli del terzo mondo…..
Infine entra in ballo il concetto di “male minore”. Non importa se il padre è violento. Secondo questa lettura il padre è sempre il padre e una figlia/o non ne può fare a meno, pena il crescere disturbato/a.
Tutto sommato qualche difficoltà nel rapporto genitoriale ci sarà sempre, che diamine!, ma è il male minore rispetto all’importanza della figura maschile per la crescita!
Tutto ciò ricorda tanto anche l’impostazione che questa organizzazione socio-politico-economica attua rispetto ad una variegata gamma di situazioni, per esempio nei confronti delle cittadine e dei cittadini che entrano in crisi rispetto al voto. Tutto sommato votare, votare comunque, è il male minore.
E ricorda anche l’impostazione di una certa sinistra per cui, in fin dei conti, certi partiti, leggi PD, sono il male minore rispetto alla destra, mentre sono i principali portatori del verbo neoliberista e non sono altro che la destra moderna.
La cultura del male minore non è il frutto di tolleranza…comprensione….senso della misura….tentativo di mediazione…bensì una cultura profondamente coercitiva che mira al mantenimento delle attuali gerarchie nella società, da quelle familiari a quelle sociali, quindi, fondamentalmente, è uno strumento reazionario.