La Parentesi di Elisabetta del 29/10/2014 "I giochi non sono finiti"
Nel discorso di chiusura alla Leopolda di Firenze, Matteo Renzi, presidente del consiglio e segretario del PD, ha dichiarato”…Di fronte al mondo che cambia, il posto fisso non c’è più…”.
Questa è una dichiarazione politica.
Il neoliberismo è un’ideologia onnicomprensiva che intende ridefinire a tutto campo i rapporti di forza tra Stati e multinazionali e con gli/le oppressi/e tutti/e.
In questi anni è stata ridisegnata tutta la società, il neoliberismo ha investito tutti gli aspetti della vita, da quelli del mondo del lavoro a quelli ludici e personali, dalla sfera della sessualità a quella sociale, dai rapporti con gli oppressi/e e tra gli oppressi/e.
E’ stato un lavoro lungo, di anni, un passo dopo l’altro.
Di fronte ad un simile attacco portato avanti con pervicacia, determinazione e perfidia e di cui si è fatta carico in primis la socialdemocrazia, gli oppressi/e si sono trovati indifesi/e e spiazzati/e. Non hanno ragionato con la loro testa, non hanno nemmeno seguito l’istinto, ma hanno ascoltato le sirene del PD e della CGIL, hanno dato spazio alla “meritocrazia”, alla gerarchia…si sono prestati alla guerra fra poveri, stigmatizzando il collega che non rendeva abbastanza, che non era ligio all’azienda, l’impiegata che portava i bambini a scuola o faceva la spesa nell’orario di lavoro, come se questo non fosse lavoro….
Ora sono basiti, muti, inermi, dotati/e di strumenti inadeguati per rispondere ad un attacco così violento che investe ilmondo del lavoro….l’istruzione….la sanità…lo stato sociale..e questo attacco non ha solo valenza economica, ma è anche un attacco all’idea e alla pratica di comunità.
Il tessuto sociale ne è sconvolto: lavoratori/trici, contadini/e, donne, addette/i ai servizi….popoli del terzo mondo…sono tutti dentro un comune progetto di sfruttamento, questo sì diventato globale.
Dentro questo processo siamo tuti/e poveri/e, siamo tutti/e nelle mani di un potere che ci infantilizza, che ci plasma per uno sfruttamento in tutti i momenti della nostra vita.
Ad un attacco politico a tutto campo, la risposta non può che essere sullo stesso piano.
Le lotte devono essere immediatamente politiche, gli spazi di mediazione, di contrattazione, di richiesta sono stati rimossi dal neoliberismo.
Per ora ha vinto, ci ha tolto la parola, cambiato i riferimenti, azzerato la memoria.
Questo mondo si è convertito ai valori nazisti attraverso lo Stato etico e il suo sviluppo secondo moduli di guerra.
Le dimensioni del neoliberismo tendono ad occupare tutti gli spazi e, addirittura, a non avere niente al di fuori di se stesse.
Il mondo è, mai come oggi, minuscolo, ma hanno tolto al genere umano la fede, la speranza, la carità e la voglia di lottare. Non a caso oggi la guerra non è più la continuazione della politica con altri mezzi, ma è diventata la base stessa della politica e, pertanto, rappresenta un nuovo ordine che si riflette nei rapporti interni e nelle regole stesse della cittadinanza. Da qui il controllo sempre più serrato, la militarizzazione di intere aree geografiche, l’invasività della polizia e della magistratura. L’immigrazione non è un problema in più che si aggiunge a quelli che già ci sono nei vari paesi dell’Europa occidentale, ma è il prodotto legittimo e programmato, non solo per la soppressione delle economie di autosussistenza nei paesi del terzo mondo, non solo per le guerre interetniche e interconfessionali promosse volutamente, ma anche perché è funzionale dal punto di vista economico : disponibilità di manodopera a costo minimo, pressione sugli altri lavoratori attraverso il ricatto della facile alternativa e sostituzione, sfruttamento nel lavoro di cura a livelli di semischiavitù, come nel caso delle badanti e delle domestiche.
Il capitale, nella sua caratteristica principale che è quella autoespansiva,,è arrivato alla stagione neoliberista e, questa, non è tanto una tendenza quanto una necessità per garantire la propria sopravvivenza.
Per questo è necessario analizzare le modalità con cui si sviluppa e si presenta, per poterlo contrastare.
Ogni segmento della società che si confronta, sia pure da punti di vista differenti, con il sistema, nel momento in cui reclama democrazia e uguaglianza, deve fare i conti con il carattere antidemocratico di questa società.
La ripresa delle lotte sociali oggi diviene il passaggio fondamentale, tanto più in questa stagione in cui il capitale diventa sempre più parassitario e non accetta più nulla delle richieste dei cittadini/e, ma risponde con la repressione.
Ma dove c’è repressione c’è resistenza e dove c’è resistenza nasce una nuova cultura.
E, quest’ultima, smaschera la storia addomesticata e si riannoda al valore sovversivo delle lotte degli anni ’70.
E’ questo il senso del nostro impegno: costruire momenti di resistenza e di antagonismo, rimuovere un concetto di libertà tutto chiuso nell’ordinamento capitalistico e patriarcale così come oggi lo si conosce, un concetto di libertà ridotto ad emancipazionismo, a rituali vuoti e ripetitivi che si traducono in un asservimento volontario e che, perciò, diventa un concetto morto, mentre la libertà è un processo espansivo.
Per noi la liberazione significa liberare la libertà.
La libertà è un sottrarsi ai limiti dentro gli orizzonti che sono stabiliti dal capitale e dal neoliberismo, è produzione di soggettività, è un’alternativa alla colonizzazione neoliberista e patriarcale della vita, è capacità di rompere, in maniera autonoma e autofondante, con il comando.
Noi viviamo nella solitudine, nella miseria, nella paura e, invece, vogliamo vivere la nostra condizione esistenziale.
Per questo la libertà non è un desiderio o un auspicio, ma è necessaria come l’aria per vivere, è ribellione, rifiuto, è forza di dire no.
E’ una libertà che riesce a rappresentarsi nella sfera del linguaggio, nella sfera della comunicazione, nelle relazioni interpersonali, che è altro rispetto alla metabolizzazione dei valori capitalistici e patriarcali della società.
La libertà è un fondamento materiale, è lì come l’hanno creata la lotta di classe e la lotta di genere.
E’ lavoro vivo, non è concepita in termini di dono, ma di costruzione.
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