Il paese delle armi
A distanza di qualche settimana dalla sparatoria verificatasi a Fidene, conclusasi con la morte di quattro donne uccise da un uomo che aveva fatto irruzione all'interno di un'assemblea condominiale armato fino ai denti, abbiamo avuto il piacere di intervistare di nuovo Giorgio Beretta, ricercatore e membro dell'OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere) di Brescia.
L'occasione è l'uscita del suo ultimo libro "Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell'Italia armata", uscito per i tipi di Altreconomia.
Questo libro affronta il tema della produzione, del commercio e dell’uso delle armi “comuni” nel nostro Paese: demolisce falsi miti, fa luce su zone grigie e reticenze interessate, sugli omicidi con armi legalmente detenute e sulle falle nel sistema di controllo. Una vera e propria inchiesta sulle armi nel nostro Paese.
Un lavoro certosino e paziente che Giorgio Beretta condensa in queste pagine. In Italia si stimano – la trasparenza resta una chimera – tra 3 e 4 milioni di persone armate, con armi “comuni”, per la difesa personale, l’attività venatoria, il tiro sportivo. Armi definite “leggere” ma che l’ex Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, non esitò a definìre “armi di distruzione di massa”, non meno letali di quelle per uso militare. Armi che uccidono anche quando sono detenute in modo legale, come dimostrano le tragiche statistiche di omicidi e femminicidi.
Che cosa fare per contrastare la “cultura” delle armi, le sue lobby e le conseguenze del loro uso? Innanzitutto maggiore trasparenza sul numero di porti d’arma, sulla diffusione delle armi legali e sulle comunicazioni ai familiari, controlli più stringenti e costanti sui requisiti psicofisici di chi possiede un’arma, stop alle rutilanti manifestazioni fieristiche aperte al pubblico e ai minori, un codice per la responsabilità sociale e ambientale delle imprese produttrici.