Lo spettacolo "Io obietto" si terrà martedì 4 settembre alla Casa Internazionale delle Donne. Qui vi proponiamo l'intervista all'attrice Laura Nardi, effettuata in occasione della presentazione dello spettacolo al Teatro del Lido di Ostia (26 maggio '18).
IO OBIETTO: testo della ginecologa Elisabetta Canitano, portato in scena da Compagnia Causa con la regia di Amandio Pinheiro. A Roma alla Casa Internazionale Delle Donne all’interno della rassegna “Chiamata alle arti”.
In scena Chiara David, Natalia Magni, Laura Nardi, Valentina Valsania dirette da Amandio Pinheiro. Lo spettacolo è prodotto da Compagnia Causa con
Teatro Biblioteca Quarticciolo/Vita di Donna/ La Casa Internazionale delle donne di Roma.
"Io Obietto affronta il tema dell’obiezione di coscienza e l’influenza della Chiesa nel sistema sanitario nazionale", ci tiene a precisare Elisabetta Canitano, ginecologa, attivista, presidente di Vita di Donna, sempre in prima linea nella difesa dei diritti delle donne, che: “L’obiezione di coscienza è un meccanismo che impedisce alle donne di gestire il proprio corpo. Vorrei ricordare che ai cattolici obiettori è spesso vietata anche la contraccezione. Si parla oltretutto anche di obiezione per le disposizioni di fine vita, quindi il rifiuto dell' autodeterminazione del proprio corpo parte dalle donne ma poi coinvolge tutti i diritti civili. Vorrei anche ricordare che negli ospedali religiosi il personale non può essere divorziato. Vedere Io obietto ci dà la misura di cosa può succederci, in maniera del tutto inaspettata, se non vigiliamo sulla laicità delle cure.”
In Italia abbiamo il 70% di obiettori di coscienza. In alcune regioni si sfiora il 90%. In Italia l’aborto è garantito dalla legge 194 del 1978, ma l’obiezione di coscienza è così diffusa da rendere difficile anche nelle strutture pubbliche l’applicazione della normativa.
Cosa succede alla donna se tutti i medici sono obiettori? Cronache recenti raccontano le tristi storie di donne morte perché i medici obiettori si sono rifiutati di praticare l’aborto terapeutico perché ancora presente il battito cardiaco del feto, comunque destinato a soccombere. Ricordiamo la storia di Valentina Milluzzo, incinta di 19 settimane che è morta di sepsi il 16 ottobre 2016 in un ospedale di Catania. O l’analoga vicenda di Savita Halappanavar, trentunenne, morta anch’essa di sepsi in un ospedale irlandese, 5 anni fa, perché i medici cattolici si erano rifiutati di intervenire finché non si fosse fermato il battito fetale.
Il regista Amandio Pinheiro, per affrontare un tema così serio e cupo, ha deciso di usare uno stile umoristico, quasi grottesco, che non esisteva nel testo originale. Ha cercato una specie di analogia: far ridere il pubblico "a tutti costi" diventa come preservare la vita “a tutti i costi”, persino con la morte di tutti quanti. Esattamente come nella storia/tragedia reale che ha ispirato questo testo. Inoltre le attrici devono continuamente rinunciare a una direzione, a una linea stilistica, insomma a prendere una decisione precisa, esattamente come ha fatto tutto il reparto medico dell’ospedale, dove Valentina Milluzzo e i suoi due gemelli hanno trovato la morte. Peter Handke fa dire al suo personaggio Kaspar “Da quando so parlare, cadere fa più male”. Più modi ci sono di raccontare una storia, più aumenta la sua gravità. Così in questo spettacolo si prova a raccontare la storia danzando, cantando, recitando il tragico, il comico, il drammatico, con uno stile ora classico, ora contemporaneo e niente sembra attenuare la caduta, il fallimento, il dolore!
Io Obietto parte quindi da un fatto di cronaca: “Bianca, incinta di venti settimane, gravidanza gemellare, viene ricoverata in ospedale perché ha l’utero dilatato. Tutti sanno che Bianca quei figli li perderà, ma nessuno interviene: finché c’è il battito fetale, anche se la madre corre pericolo di vita, anche se per i bambini non c’è più nulla da fare, GLI OBIETTORI non devono intervenire. Così tutti - medici, infermieri, ostetriche - fingono di non sapere, di non vedere o sentire, mentre Bianca muore tra atroci dolori insieme ai suoi gemelli”.
“Portare questo spettacolo a La casa Internazionale delle donne – spiega Elisabetta Canitano - significa ricordare a tutti che la cultura delle donne, femminista e non solo, è indispensabile per tutte le donne, sia quelle che la frequentano, che tutte le altre. Valentina era una ragazza che voleva un figlio e che è stata uccisa da una gestione della medicina che antepone i dogmi religiosi alla salute delle donne e anche alla loro stessa sopravvivenza. La Casa protegge tutte le donne, racconta la loro storia, rende plausibili le loro ribellioni alla violenza in casa e sul lavoro. Non è solo un posto dove si danno prestazioni, come crede la sindaca. Abbiamo difficoltà a spiegarglielo. La invitiamo a vedere lo spettacolo”.
Conclude Pinheiro: “La mia è una volontà esplicita di ‘denunciare la denuncia’. Mi spiego: denunciare significa: esporre qualcosa che non è d’accordo con la legge. L’obiezione di coscienza non è illegale. Anzi probabilmente viene apprezzata e vista dalla maggior parte della popolazione italiana come una virtù medica. Che la vita debba essere preservata è un’ideale perfettamente condivisibile; sono le vittime di questo ideale che costituiscono un paradosso. Le ‘vittime’ dell’obiezione di coscienza sono una minoranza (appunto le donne che vogliono o, più drammatico ancora, quelle che devono abortire per sopravvivere a una gravidanza). Ci vuole coraggio, tanto coraggio, per salvare vite, ma in Italia purtroppo I medici come Lisa Canitano che aiutano queste donne non sono neanche una minoranza, sono semplicemente rarissimi”.