Chiedi diritti ti danno psichiatria!
Data di trasmissione
Durata
12m
34s
G.B. è un ragazzo di 35 anni, vive a Pisa, i problemi che lo
affliggono
sono gli stessi che affliggono troppi ormai: anni di precariato alle
spalle, poi un lavoro part-time a tempo determinato ed una causa per
mobing in corso.
Su di lui grava una vecchia diagnosi psichiatrica risalente al 2006
anno in cui per la prima volta veniva ricoverato con la forza in
seguito
a degli attacchi di ansia seguiti alla morte del padre ed alla
conseguente fine dell'attività lavorativa paterna nella quale
lavorava.
Da allora inizia il suo calvario, invece di aiutarlo le istituzioni
preposte gli rendono la vita ancora più difficile. I pregiudizi che
diagnosi di questo tipo si portano appresso rendono ancora più
difficile, quasi impossibile, trovare lavoro, ma G. essendo in grande
difficoltà accetta di farsi inserire nelle categorie protette del
lavoro. Questo fatto gli permette però di lavorare solo part-time e
non
arriva lo stesso a fine mese, dovendo pagare minimo 300 euro di
affitto.
A questo punto G. fa richiesta di alloggio popolare e si rivolge ai
sevizi di assistenza sociale per avere un sostegno. La soluzione che
gli
viene fornita è il ricovero in una struttura residenziale
psichiatrica e
la nomina di un amministratore di sostegno. Una soluzione questa che
avrebbe comportato lo sradicamento dalla sua vita sociale,
l’imposizione
di ritmi di vita controllati dalla struttura e l’amministrazione da
parte di una terza persona del suo denaro, in poche parole la perdita
di
ogni autonomia e dignità. Per non vedersi costretto ad accettare la
proposta indecente dei servizi sociale G. decide di occupare un
appartamento abbandonato dove nel frattempo stabilirsi in attesa di un
alloggio popolare; questo avveniva circa tre-quattro mesi fa.
Come se non bastasse a tutti questi problemi se ne somma un altro
ancora: la necessità di un’operazione chirurgica, che non può
essere
ulteriormente rimandata e che richiede mesi e mesi di convalescenza,
una
convalescenza che di certo non può essere affrontata in mezzo alla
strada.
Scoraggiato, vedendosi negare il diritto alla casa, il diritto al
lavoro e il diritto alla salute si è rivolto nuovamente alla
psichiatria: si è ingenuamente recato al CIM, il centro territoriale
di
igiene mentale, per chiedere allo psichiatra che lo segue da anni che
gli venisse riconosciuta la sua sanità mentale; con la speranza di
potersi liberare una volta per tutte dallo stigma psichiatrico e di
poter far andare la propria vita in una nuova direzione. G. non sapeva
che in psichiatria la guarigione non è contemplata.
Dopo il colloquio, una volta rientrato a casa, si è ritrovato
circondato da un folto drappello di persone che gli intimavano di
dover
andare con loro in psichiatria. Al nostro arrivo abbiamo trovato
quattro
poliziotti municipali, otto vigili del fuoco, due operatori della
croce
rossa, due funzionari dell'ASL e lo psichiatra che ha ordinato il TSO.
Questi ultimi, rimasti tutto il tempo in disparte, inizialmente non
avevano ancora l'ordinanza che permetteva loro di privare della
libertà
a G. e quindi c'è stato il tempo di fare una mediazione e di spiegare
ai
poliziotti ed ai vigili cosa era successo prima di quel momento dato
che
non conoscevano G. e non sapevano assolutamente niente di lui . Una
volta arrivata l'ordinanza, quando i vigili stavano per sfondare la
porta, abbiamo convinto Gianluca a scendere e mostrare ai presenti che
era tranquillo e che la sua agitazione era dovuta non ad un delirio ma
al fatto che era andato gentilmente a chiedere diritti e gli è stato
imposto un TSO. Il suo errore è stato quello di aver riferito allo
psichiatra di sentirsi bene e di non prendere più i farmaci da almeno
due anni. La mediazione che ha convinto G. a uscire di casa consisteva
nell'impegno di poliziotti e vigili a non mettergli per nessun motivo
le
mani addosso, cosa che G. temeva, e che sarebbe andato autonomamente
con
la macchina di un amico all'ospedale S. Chiara di Pisa.
Tutto questo per scongiurare il TSO, convinto di poter ancora spiegare
la sua situazione e non essere medicalizzato; ma così non è stato.
Il trattamento sanitario obbligatorio che costringe la persona a
rimanere in ospedale e ad essere curate con psicofarmaci anche contro
la
propria volontà viene usato per medicalizzare e trattare come malate
le
persone che vivono un disaggio, qualunque esso sia, anche quando la
causa di questo è chiaro a tutti e riguarda il lavoro e la casa. Si
può
concludere dicendo che il TSO spacciato come superamento
dell'internamento in manicomio è solo propaganda e l'apparato di
garanzie e di tutele messe in campo dalla legge 180 sono di fatto
puramente teoriche e di facciata. Il sindaco che dovrebbe essere il
primo garante contro gli abusi si limita a ratificare le richieste di
TSO operate dagli psichiatri del CIM ed il giudice tutelare che
dovrebbe
sorvegliare si limita a verificarne la correttezza formale del
procedimento, senza tenere conto della dinamica reale dei fatti.
Come collettivo antipsichiatrico, che da anni contrasta gli abusi e le
pratiche psichiatriche, denunciamo il trattamento sanitario
obbligatorio
subito da G.B. come un atto ingiustificato, spropositato e dannoso,
come
un vero e proprio abuso di potere che ha lo scopo di cambiare
discorso,
di spostare l'attenzione dai motivi reali del disaggio di G., casa e
lavoro, e ridurli a scompensi celebrali per rilevare i quali non
esistono analisi da laboratorio, ma solo ed esclusivamente il giudizio
di uno psichiatra.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa