Parliamo con Michele Lancione, professore ordinario di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino che ha denunciato l'accordo per la produzione di mappe e cartografie siglato tra la sua università e Frontex.
A seguire ci confrontiamo con un compagno sul coinvolgimento delle università italiane nei programmi militari-industriali partendo dal caso specifico dell'Università di Tor Vergata di Roma.
I confini europei si sono trasformati da tempo ormai in confini digitali: raccolta e analisi di impronte digitali, immagini facciali, lettura dell’iride, movimenti del corpo. Molteplici le applicazioni finanziate dall’UE per aumentare l’efficacia dei controlli ai confini esterni. E in questo processo la tecnologia non è ovviamente neutra – e non lo è mai – quanto piuttosto uno strumento attraverso cui i corpi delle persone vengono posti al centro di pratiche di sorveglianza e identificazione attraverso la proliferazione di tecnologie biometriche.In questo senso i confini biometrici sono luoghi di lotta politica. La conseguente depoliticizzazione del controllo dei confini derivante dall’utilizzo delle tecnologie digitali - la rappresentazione cioè del controllo delle frontiere come mero problema tecnico che può essere risolto attraverso tecniche innovative di controllo e sorveglianza - porta alla depoliticizzazione delle pratiche e degli effetti prodotti. L’attuale dibattito sul tema è in gran parte limitato a un approccio tecnologicamente deterministico che riduce l'attenzione a un mero problema di privacy e di uso improprio dei dati, tenendo fuori dal quadro nodi fondamentali e ricadute politiche sulla pelle delle persone.Ne parliamo questa mattina con Andrea De Georgio, giornalista freelance.
Tre anni fa, il 3 ottobre del 2013, una imbarcazione libica utilizzata per il trasporto di migranti è naufragata a poche miglia dal porto dell'isola di Lampedusa. Le vittime di quel naufragio furono circa 386 (tra morti accertate e dispersi); numeri che fanno di questa tragedia una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo.
Lo Stato Italiano celebra la "giornata della memoria delle vittime dell'immigrazione" ma de facto agisce una guerra contro i migranti, una guerra edulcorata dalla melensa retorica del ricordo. Non basta piangere e ricordare le stragi, occorre evitarle.
Ne abbiamo parlato con l'attivista e artista lampedusano Giacomo Sferlazzo (qui il suo blog).
Qui trovate le nostre corrispondenze effettuate subito dopo la tragedia del 3 ottobre 2013:
Previsto per domattina un volo organizzato da Frontex per espellere in Nigeria alcun@ reclus@ nei cie italiani, dopo il loro raduno nella struttura lager di Ponte Galeria.
L’appuntamento è per Sabato 10 Ottobre ore 16 a stazione Ostiense per andare e tornare insieme
con il treno. Dalle 17 in poi presidio solidale sotto le mura del CIE di Ponte Galeria.
Venerdì 9 Ottobre serata a sostegno delle lotte contro i CIE ore 19 sala da the Fronte
del Porto, via del Porto Fluviale 18
Sono stati/e chiamati/e rifugiati/e, clandestini/e, profughi… sono oggetto di calcoli politici ed economici, numeri da piazzare qua e là nei vari paesi europei. Oggetti da sbattere in prima pagina per raccontare una storia commovente e soprattutto oggetti su cui è possibile speculare, politicamente per attirare un pò di consenso, o economicamente, perchè per molti i flussi migratori sono una gran bella fonte di profitti.
Per noi sono delle persone, con delle vite, delle storie, dei corpi. Persone che per diverse
ragioni, che non sta a noi sindacare, decidono di intraprendere un viaggio. A volte per scelta,
spesso perchè costrette.
In questi giorni abbiamo visto le forze dell’ordine comandate dal governo, sgomberare il campo
autogestito alla frontiera italo-francese a Ventimiglia. Lo sgombero ha comportato anche il
trasferimento forzato di 20 persone nel Cara di Bari, campo d’internamento etnico per chi fa
richiesta d’asilo in Italia.
Questa ennesima violenza di stato è avvenuta mentre come compagni/e impegnati/e nella lotta
contro i CIE a Roma, abbiamo sentito l’urgenza di una discussione sulla violenza di genere
nelle comunità in lotta, a seguito delle dichiarazioni, a firma del Presidio No Borders di
Ventimiglia, sullo stupro di una donna nel campo autogestito. Riteniamo inaccettabile
l’isolamento prodotto nei confronti della donna e la delega alle istituzioni di
“fare giustizia” e determinare la veridicità della denuncia di stupro.
In Italia sono tanti i centri per la detenzione amministrativa in cui vengono sbattute
queste persone, con varie sigle e diversi regolamenti. Per noi sono semplicemente prigioni.
Il CIE di Ponte Galeria a Roma è uno di questi. Un luogo dove quotidianamente vengono rinchiuse ragazze e ragazzi, dove avvengono pestaggi, deportazioni. Nell’ultimo mese ne abbiamo viste tante, individuali e di massa, come abbiamo ascoltato i racconti di chi, lottando per la propria esistenza e la propria dignità, è stato/a pestato/a e umiliato/a da guardie e operatori che all’interno di questi centri lavorano con disumana impassibiltà.
Ma il CIE di Ponte Galeria, come altri, è anche un luogo dove nascono complicità e solidarietà,
sia dentro che fuori, dove si lotta, dove si resiste. É per queste persone e per le relazioni ù
create nel tempo che continuiamo ad andare sotto quelle mura, con regolarità e determinazione.
E continueremo a farlo finchè ognuno di questi posti non verrà distrutto.
https://romattiva.wordpress.com/2009/08/19/controic-i-e-portofluviale-910/https://romattiva.wordpress.com/2009/08/18/presidioc-i-e-pontegaleria-1010/
La corrispondenza con un compagno della Rete Antirazzista Catanese per parlare di uno sgombero di un accampamento attuato questa mattina dal sindaco Bianco e della situazione della zona, tra l'annuncio dell'impianto di una sede dell'agenzia Frontex e il Cara di Mineo.
Questo pomeriggio si svolgerà un presidio a piazza dell'Esquilino, ore 17, per dire basta alla guerra contro i migranti, ai massacri, alle operazioni di pattugliamento di Frontex, per la chiusura dei Cie.