I rapporti tra l'Italia e la Nigeria hanno una lunga storia. L'ultima e recente maxi-inchiesta partita in Campania (portata avanti da Polizia e FBI) riguardo ad un presunto giro internazionale di traffico di organi e lavoratrici del sesso ha ridato linfa ad un dibattito mediatico spesso superficiale e colmo di retorica. Retorica che parte da una narrazione strumentale dei motivi che portano una persona a migrare fino ad arrivare alla questione della "tratta", in cui si criminalizzano e allo stesso tempo vittimizzano molte donne provenienti dalla Nigeria. La relazione tra Italia e Nigeria è in realtà più complessa e intreccia differenti problematiche. Intensi rapporti economici e diplomatici, il ruolo dell'ENI e di altre multinazionali, le inchieste scomparse, il traffico di esseri umani, lo smaltimento di rifiuti tossici e la complessità di una cultura molto differente dalla nostra sono solo alcuni degli elementi necessari a fornire un'analisi più attenta di questa lunga storia.
Vi proponiamo un approfondimento in cui, senza la pretesa di essere esaustivi, si prova a far emergere un diverso punto di vista sulla storia dei legami ancora molto forti che esistono tra i due paesi e su come influiscono le disastrose politiche migratorie italiane sulla vita di tante persone migranti.
Il decreto legge, approvato nell'agosto del 2013 sul femminicidio, ha suscitato non poche proteste tra le associazioni di donne e i collettivi femministi.
Ne parliamo con le compagne del collettivo BEFREE, una cooperativa che si occupa di donne vittime di violenza e di tratta.
Puntata a tre voci con una compagna della cooperativa Be free. Be free gestisce uno sportello psico-sociale a favore di donne vittime di tratta all’interno del CIE di Ponte Galeria.
Nella puntata il C.I.E, luogo paradigmatico della civiltà delle frontiere e dei muri, viene visto dall’interno attraverso la concretezza dei corpi delle donne e degli uomini che vi sono rinchiusi o che subiscono la minaccia di esservi rinchiusi, nell’orizzonte ampio delle politiche continentali che li determinano, nel panorama delle politiche repressive della mobilità delle persone. Si parla anche di Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo), strutture per rifugiati/e e di tratta di esseri umani.
Libeccio d’Oltremare. Il vento delle rivoluzioni del Nord Africa si estende all’occidente. A cura di Ambra Pirri - La frontiera addosso. Così si deportano i diritti umani.Luca Rastello -Campi di forza, Percorsi confinati di migranti d’Europa. Alessandra Sciurba - Storie di Ponte e di frontiere. A cura di Be free.
riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa della cooperativa Be Free sulla chiusura dei centri di detenzione per migranti in Libia e vi invitiamo a leggere il loro dossier sull’esperienza di sostegno a donne nigeriane trattenute presso il Cie di Ponte Galeria e trafficate attraverso la Libia
Roma, 22 luglio 2010
BE FREE COOPERATIVA SOCIALE
COMUNICATO STAMPA
LA LIBIA CHIUDE I CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA PER GLI IMMIGRATI IRREGOLARI
A QUANDO LA CHIUSURA DEI BORDELLI?
E QUANTO DEVE ANCORA DURARE LA POLITICA ITALIANA DEI RESPINGIMENTI?
Prima di tutto, le perplessità: la decisione di Gheddafi di chiudere i Centri di Permanenza arriva sull'acme dell'onda di interesse e di preoccapazione da parte di tutte le Agenzie Internazionali a tutela dei diritti, che richiedevano a gran forza di accedere ai Centri ed alle carceri, e la chiusura immediata ha tanto l'aria di un escamotage.
Poi, l'allarme: assai poco chiaro è il destino delle circa 3000 persone eritree, somale, sudanesi, nigeriane e nigerine. Dotati di un permesso di permanenza valido solo tre mesi, avranno esattamente dodici settimane per trovare un'occupazione in Libia. Altrimenti, saranno deportati nei loro Paesi d'origine dai quali erano fuggiti per non subire più insopportabili violazioni dei loro diritti umani. Questo significa che saranno di fatto condannati a morte.
Molti di loro saliranno sulle “carrette del mare” per raggiungere l'Europa, in un viaggio che, secondo i dati di Fortresse Europe, dal 1988 ad oggi ha già mietuto 15 mila vittime.
L'Italia respingerà i sopravvisuti alla traversata verso un luogo di pericolosità infinita.
Infine, la denuncia: ora che con questo gesto “umanitario” la Libia cerca di distogliere l'attenzione dalle violazioni dei diritti che vengono operate sul suo territorio, saranno del tutto dimenticate le donne nigeriane rinchiuse in bordelli – formalmente illegali ma di fatto ben strutturati e ben conosciuti – nei quali subiscono atrocità di ogni genere, nonché la costrizione alla prostituzione.
Be Free ha già reso nota questa atroce realtà nel corso di una conferenza stampa, esattamente un anno fa, nel corso della quale abbiamo presentato un Dossier tematico, nato dalla nostra esperienza di lavoro all'interno del Centro di Identificazione ed Espulsione Ponte Galeria, che va avanti da molti anni e che ci ha consentito di incontrare, e sostenere, molte giovani vittime di traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo.
I colloqui realizzati all'interno della struttura ci hanno reso edotte circa la costrizione alla prostituzione subita dalle donne nigeriane durante il passaggio per la Libia, all'interno di veri e propri bordelli, chiamati “African Houses”.
Il nostro dossier è stato reso possibile dai colloqui con le donne nigeriane che sono riuscite a fuggire dall'inferno libico e ad arrivare da noi, a Lampedusa.
Oggi questa porta d'accesso rimane sbarrato, i migranti vengono rimandati verso la Libia.
Termiamo fortemente per il loro futuro, ora che sembra calare il mai forte interesse italiano ed internazionale circa lo status del rispetto dei diritti umani in quel Paese, che non ha neanche firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, e che nonostante tutto ha ottenuto un ruolo di tanto rilievo nella gestione delle politiche migratorie.
Possiamo affermare con forza che in quel territorio avviene una sistermatica tortura delle donne nigeriane.
Una rete ben organizzata di trafficanti “recluta” le donne nei paesi più poveri della Nigeria, in genere nello stato di Benin City, e le persuade a partire per l'Europa dove potranno ottenere un buon lavoro ed aiutare i parenti – sempre tanto numerosi quanto poveri.
Il viaggio è allucinante e dura mesi, attraversa tappe fisse e si conclude sempre in Libia.
A Tripoli o dintorni, i trafficanti rivelano la vera natura delle proprie intenzioni e costringono le ragazze a prostituirsi per mesi o addirittura anni (anche fino a 4-5 anni) all’interno di case chiuse.
Case chiuse che tutti conoscono, visitate da migliaia di clienti per lo più libici, consapevoli dei trattamenti inumani che le ragazze debbono subire, e dell'obbligatorietà delle loro prestazioni sessuali, il cui prezzo va immancabilmenbte agli sfruttatori gestori della African House” .
Abbiamo documentato tutto questo, lo abbiamo reso noto, abbiamo sollevato un interesse che appariva sincero. Oggi, ricordiamo tutto questo con forza.