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Rebibbia

Sulle morti a Rebibbia

Data di trasmissione
Durata 11m 42s

In collegamento telefonico con una parente di un detenuto a Rebibbia parliamo della situazione all'interno del carcere e delle ennesime morti di Stato.

A seguire un comunicato della Rete Evasioni.

https://www.inventati.org/rete_evasioni/?p=3664

LA CONTA

“Già 22 detenuti suicidi dall’inizio dell’anno 2020…”,
“…sottolinea come questo sia l’ottavo decesso in un carcere del Lazio nel 2010, il terzo per suicidio”.

Questi gli incipit degli articoli, per altro pochissimi, seguiti alla morte di un uomo nel carcere di Rebibbia.
Nel carcere la conta è una prassi che vede i secondini, più volte nella giornata, presenti nella sezione e impegnati nell’odioso compito di contare le persone detenute.
Quelle vive, però…
Evidentemente questa attività trova la sua continuazione anche nella “conta” dei morti di carcere.
Perché, lo affermiamo per l’ennesima volta, quelle morti non possono essere annoverate nella categoria dei suicidi. Troppo comodo delegare il tutto alla volontà soggettiva. Troppo utile, troppo in odor di alibi.

Le morti in carcere sono dovute alla condizione di prostrazione psico-fisica a cui il sistema carcere induce. Una condizione che chiunque abbia vissuto la galera sulla propria pelle conosce molto bene e che non sempre si riesce a superare.
Una condizione che, per altro, è abbondantemente prevista dagli stessi operatori interni (guardie e non solo), visto che il primo colloquio di ingresso avviene con la figura dello psicologo il quale (con la freddezza e l’insensatezza tipica dei protocolli) ti chiede “Hai intenzioni suicidarie?”.
E parliamo della condizione detentiva “normale”, quella cioè non ulteriormente influenzata da contingenze particolari quale, per esempio, quella attuale data dall’emergenza Covid.
Persone detenute trattate come sempre (perché anche questa è prassi del sistema carcerario) da infanti, a cui non dare alcuna spiegazione su quanto stesse accadendo, salvo improvvise comunicazioni di interruzione dei colloqui con i propri affetti. Le uniche notizie erano quelle diffuse attraverso i canali televisivi e chiunque può ravvisare quanto elevato fosse il livello di paura che causavano.
Ci sono volute le rivolte di marzo, legittimamente rabbiose perché spinte dalla autodifesa a salvaguardia della propria vita, a far sì che ci fosse una parvenza di presa in carico da parte delle istituzioni, governative e sanitarie, della salute delle persone detenute.
Tutto colpevolmente tardivo, tutto colpevolmente superficiale.
Tavoli di confronto e discussione istituzionali sul come organizzare le patrie galere e come intervenire per prevenire la diffusione del contagio, dai cinici titoli tipo #iorestoincarcere, hanno avuto alla fine come unico risultato alcune sezioni destinate a reparti Covid, in cui isolare le persone contagiate.
Non bisogna per forza essere anarchici estremisti per porsi la banale domanda “se svuotano un reparto per destinarlo alle persone contagiate, non si causerà inevitabilmente un affollamento degli altri?”
Ma è l’identico, perenne, futile giochetto a cui con tanta solerzia si dedica il DAP: le patrie galere come un’enorme scacchiera sulla quale spostare le pedine da un quadrato ad un altro, senza che nulla accada.
“Tutto cambia perché nulla cambi”.

Chi ha deciso di andarsene dalla galera Rebibbia, nell’unico modo che ha ritenuto in quel momento possibile, era in isolamento sanitario e non sappiamo né mai sapremo cosa davvero l’ha spinto a quell’estremo gesto.
Eppure non è necessario chissà quale particolare sforzo intuitivo (se ancora proviamo anche solo empatia) per comprendere la condizione emotiva in cui poteva versare, considerato per altro la procrastinata chiusura dei colloqui e, più in generale, di qualsiasi entrata dall’esterno, fatto salvo di chi con il carcere ha garantita la propria sopravvivenza economica, operatori e secondini.

Un tempo si parlava di istituzioni totali di cui il carcere ne era degno rappresentante.
Oggi il linguaggio democratico sembra aver epurato il proprio vocabolario da definizioni così inequivocabili.
Quella sostanza per noi resta ed è irriformabile.
Ogni morte in carcere non sarà mai da noi annoverata tra i suicidi.
Le vostre “conte” ci fanno ribrezzo e mai le dimenticheremo.
L’unica sicurezza è la libertà!

Rete Evasioni

Aggiornamenti sulle carceri della Dozza e Rebibbia dopo la mobilitazione del 16 Aprile

Data di trasmissione
Durata 5m 27s
Durata 17m 22s
Durata 4m 57s
Durata 9m 10s

Dopo la giornata di mobilitazione del 16 Aprile a cui hanno aderito varie città, continuiamo l'aggiornamento sulla situazione nelle carceri e sulle proteste dei parenti delle persone detenute e dei/delle solidali. 
In collegamento telefonico parliamo della mobilitazione sotto le carceri della Dozza a Bologna e Rebibbia a Roma. Più due testimonianze di chi ha i propri affetti nel carcere di Rebibbia. 

Buon Ascolto!

Aggiornamenti sulle carceri

Data di trasmissione
Durata 5m 35s
Durata 5m 1s
Durata 1m 27s
Durata 18m 42s
Durata 17m 46s
Durata 9m 47s
Durata 4m 42s

In studio e soprattutto attraverso le voci dei parenti delle persone detenute e di chi è uscito da poco, proviamo a ricostruire quello che sta avvenendo nelle carceri italiane e non solo. Durante la trasmissione tanti i saluti e i messaggi ai detenuti di Rebibbia.

Buon Ascolto! 

Presidio sotto Rebibbia

Data di trasmissione
Durata 8m 27s

Una quarantina di compagne e compagni si è data appuntamento sotto Rebibbia per portare solidarietà alle proteste di detenute e detenuti.

Se avete amici, parenti, conoscenti in carcere e volete fare sapere cosa sta succedendo, potete scrivere a:

  • email carcere@anche.no
  • posta: rete evasioni c/o via augusto dulceri 211
  • su FB Messanger: combattere il carcere