Trump scaricato: la censura che non è di Stato
Dopo il tentato colpo di stato, Trump viene bannato da molti social network e da varie aziende, i contenuti che invocano la frode elettorale bloccati da Facebook. È in questo modo, e non attraverso ordinanze federali, che Trump sta venendo estromesso dalla scena politica statunitense. Senza in nessun modo difendere Trump, dovremmo tuttavia chiederci come mai discorsi complottisti, autoritari e oppressivi siano così floridi sui social network; una riflessione che potrebbe portarci a scoprire che la censura non è il modo più efficace di affrontare il problema, e che forse è la forma della comunicazione online odierna ad essere problematica.
Dopo ciò, Trump si sposta su Parler, social network assai amichevole con gli utenti di estrema destra. Probabilmente il più usato dai suoi supporter che hanno tentato il coup kux klan. Questo ha scatenato molte reazioni contro Parler: l'app di Parler è stata eliminata dall'app store di Apple e dall'omologo di Google; Amazon ha revocato i servizi di cui Parler si avvaleva attraverso AWS; Twilio gli ha revocato l'account che utilizzavano per verificare gli indirizzi email degli iscritti. Ancora più importante, vari hacker attaccano Parler e riescono ad ottenere un dump piuttosto corposo contenente tutti i dati della piattaforma. Si scoprono così informazioni personali sugli iscritti, i luoghi da cui parlavano, si possono recuperare anche messaggi che gli utenti avevano apparentemente cancellato. Se vuoi approfondire l'argomento anche nei dettagli tecnici, ascolta il podcast di StakkaStakka su RadioBlackout. Noi facciamo invece delle riflessioni su come un servizio possa (o no) essere soggetto alla censura da parte delle aziende a cui si affida, più che a quella di Stato.
Cambiando argomento, parliamo di WhatsApp, che aggiorna i suoi termini di servizio con una mossa comunicativa poco riuscita. La verità è che non cambia moltissimo, che WhatsApp ha alcune pratiche antipatiche, ma che le aveva anche prima.