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Sul satellite del vincitore

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Zuckerberg annuncia la "svolta" di Meta: un allineamento completo alla retorica di Trump e alle modalità di X. Spariscono il fact checking, via libera all'ulteriore attacco all'identità razziali, di genere e sessuali.

Il governo italiano invece cerca accordi con Musk per Starlink: si parla di cifre spaziali per l'utilizzo dei satelliti di Starlink da parte dell'esercito italiano. La mossa unisce 3 obiettivi: fare un favore all'amico; procedere con la politica bellicista; colpire il progetto europeo di un sistema satellitare simile a Starlink per gestire in proprio una simile infrastruttura militare.

Notiziole:

  • la legge francese sull'amministrazione illecita di piattaforme online utilizzata per il sito di chat Coco.fr, noto per essere stato usato come piattaforma di comunicazione per gli stupri di Mazan; quanto si può estendere l'uso di una legge del genere?
  • Google fa finta che Chromium non sia suo, ma un progetto open source a cui Google aderisce. La Linux Foundation facilita l'operazione.

 

Da Trump alla Siria, quali prospettive per la resistenza palestinese?

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ASSEMBLEA PUBBLICA DOMENICA 12 GENNAIO - PALAZZINA VESPIGNANI ALBANO – ORE 10.30

Interviene l’Unione Democratica Arabo Palestinese

A poco più di un anno dal 7 ottobre 2023, la resistenza palestinese si trova ad affrontare uno scenario politico in rapido mutamento. In 15 mesi, Israele ha ucciso decine di migliaia di persone a Gaza e nel resto della Palestina, ma ha colpito anche in Libano, Yemen, Siria, Iraq e Iran.

L’esercito sionista è penetrato nel Sud del Libano e, nel corso delle ultime settimane, anche in Siria, dove ha approfittato della caduta di Assad per oltrepassare le Alture del Golan e giungere a non molti km da Damasco. Israele colpisce la Siria fin dal 2011 ma, in questi giorni, ha bombardato il paese con forza inusitata, fino a rivendicare di aver neutralizzato gran parte degli armamenti strategici siriani.

Sebbene il fronte libanese non sia stabilizzato e le conseguenze della nuova situazione siriana debbano ancora definirsi compiutamente, questi ultimi sviluppi sembrano rappresentare un duro colpo per il cosiddetto “Asse della Resistenza”, che pare uscirne indebolito a beneficio di altri attori regionali e internazionali.

L’Iran, grande ossessione di Israele e principale sostenitore dei gruppi palestinesi, appare dunque più esposto alle ritorsioni del sionismo e dell’imperialismo atlantico. Il prossimo insediamento di Trump negli Usa rappresenta un ulteriore campanello d’allarme in questo senso.

La prima presidenza Trump era stata caratterizzata dallo stralcio dell’intesa con l’Iran sul nucleare civile e dagli “Accordi di Abramo” tra Israele e una serie di paesi arabi (Emirati, Bahrein, Sudan, Marocco). Nelle intenzioni di Tel Aviv, quegli accordi erano funzionali a un rimodellamento complessivo dell’Asia occidentale, volto a favorire il consolidarsi di una rinnovata egemonia israeliana e ad annichilire le rivendicazioni palestinesi.

Benché molte cose siano cambiate da allora, questo è il principale obiettivo che Israele continua a perseguire anche oggi. Un obiettivo che lo Stato sionista non è ancora riuscito a raggiungere, nonostante il genocidio in atto.

Pur duramente colpite, infatti, le organizzazioni palestinesi continuano a combattere senza tregua, a Gaza e in tutta la Palestina. Come a Jenin, in Cisgiordania, dove affrontano, proprio in questi giorni, gli attacchi militari dell’Autorità Nazionale Palestinese, ansiosa di attestarsi come partner affidabile di Israele e USA per la gestione postbellica di Gaza.

I palestinesi e le palestinesi non hanno altra scelta se non quella di proseguire la lotta contro un progetto colonialista che vorrebbe negare la loro stessa esistenza. Da parte nostra, dobbiamo interrogarci su quale sia il modo migliore per continuare a costruire, nelle nuove condizioni politiche, il movimento di solidarietà con la loro resistenza popolare, a partire dai nostri territori.

CASTELLI ROMANI PER LA PALESTINA

Non si può più dire niente! Woke e cancel culture

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Prima puntata di un ciclo di trasmissioni su woke e cancel calture.

In questa trasmissione trattiamo del significato di queste espressioni, di come sono nate e come sono state assunte prima da movimenti sociali poi deturnate dalle destre.Incrociamo anche il concetto di politically correct, infine passiamo dagli Usa all'Italia per vedere come sono arrivati questi dibattiti nel nostro paese.

La prossima puntata sarà giovedì 16 gennaio, alle ore 18.15

Un'analisi sulle elezioni statunitensi

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Con Silvia Baraldini commentiamo il voto americano: un voto che ha portato principalmente i giovani uomini bianchi a votare per Trump. Il patriarcato non è solo una parola ma delle politiche concrete contro le donne e le soggettività che non sottostanno al binarismo e al conservatorismo maschilista. 

Cisgiordania sotto attacco, catastrofe umanitaria nella Striscia

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Michele Giorgio, storico corrispondente de Il Manifesto da Gerusalemme, informa sugli attacchi sempre più brutali in Cisgiordania collegandoli al progetto di annessione della Cisgiordania che con l'elezione di Trump torna in auge.

Si dà conto poi della ripresa delle demolizioni nella città di Silwan, nella Gerusalemme occupata e della situazione nella Striscia di Gaza, in particolare nel nord che viene completamente svuotato dalla popolazione palestinese.

L'audio si chiude con il resoconto dell'udienza per Tiziano che rimanda ancora al 2 dicembre.

 

 

Trump scaricato: la censura che non è di Stato

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Dopo il tentato colpo di stato, Trump viene bannato da molti social network e da varie aziende, i contenuti che invocano la frode elettorale bloccati da Facebook. È in questo modo, e non attraverso ordinanze federali, che Trump sta venendo estromesso dalla scena politica statunitense. Senza in nessun modo difendere Trump, dovremmo tuttavia chiederci come mai discorsi complottisti, autoritari e oppressivi siano così floridi sui social network; una riflessione che potrebbe portarci a scoprire che la censura non è il modo più efficace di affrontare il problema, e che forse è la forma della comunicazione online odierna ad essere problematica.

Dopo ciò, Trump si sposta su Parler, social network assai amichevole con gli utenti di estrema destra. Probabilmente il più usato dai suoi supporter che hanno tentato il coup kux klan. Questo ha scatenato molte reazioni contro Parler: l'app di Parler è stata eliminata dall'app store di Apple e dall'omologo di Google; Amazon ha revocato i servizi di cui Parler si avvaleva attraverso AWS; Twilio gli ha revocato l'account che utilizzavano per verificare gli indirizzi email degli iscritti. Ancora più importante, vari hacker attaccano Parler e riescono ad ottenere un dump piuttosto corposo contenente tutti i dati della piattaforma. Si scoprono così informazioni personali sugli iscritti, i luoghi da cui parlavano, si possono recuperare anche messaggi che gli utenti avevano apparentemente cancellato. Se vuoi approfondire l'argomento anche nei dettagli tecnici, ascolta il podcast di StakkaStakka su RadioBlackout. Noi facciamo invece delle riflessioni su come un servizio possa (o no) essere soggetto alla censura da parte delle aziende a cui si affida, più che a quella di Stato.

Cambiando argomento, parliamo di WhatsApp, che aggiorna i suoi termini di servizio con una mossa comunicativa poco riuscita. La verità è che non cambia moltissimo, che WhatsApp ha alcune pratiche antipatiche, ma che le aveva anche prima.

This is America

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Ad una settimana dalla manifestazione pro-Trump che si e’ conclusa con la violenta irruzione all’interno del Congresso, l’America - soprattutto quella bianca -  e’ ancora sotto shock. Incapace di guardarsi allo specchio, il paese cerca conforto nelle parole di Biden, “This is not America.”

Sfortunatamente, quello che e’ successo il 6 Gennaio a Washington DC e’ semplicemente il manifestarsi di alcune tendenze che da sempre fanno parte del DNA americano. Basta pensare che al termine di quell’irruzione, la bandiera sudista aveva sostituito la bandiera americana al congresso, e che un cappio e una croce erano stati issati sul prato appena fuori dal palazzo per capire che le radici di quella violenza sono molto profonde.

Non e’ un caso infatti che le scene viste mercoledi scorso sembrano uscite da un romanzo che sin dalla fine degli anni 70 ha inspirato la destra radicale americana. Pubblicato nel 1978 dal leader del gruppo neo-nazista the National Alliance e citato pochi giorni fa da alcuni esponenti dei Proud Boys durante un’intervista, “The Turner Diaries” racconta proprio di un attacco portato al congresso americano da parte di un’organizzazione terroristica che si conclude con l’impiccagione di alcuni parlamentari e giornalisti. “The day of the Rope” l’autore lo chiama.

La pubblicazione di quel romanzo segna un importanto cambiamento nella destra radicale americana che da quel momento in poi non si concentra più solamente sulla difesa di una società americana ancora profondamente razzista, ma dichiara apertamente guerra al governo federale. Quegli sono gli anni in cui nascono le milizie, quelle stesse milizie che in questi quattro anni sempre piu’ frequentemente hanno cominciato a sfilare insieme ai sostenitori di Trump e i cui membri hanno fatto irruzione al congresso in Michigan in Aprile e al congresso americano la scorsa settimana. Quegli sono gli anni in cui la destra ha grande successo nel reclutare membri dell’esercito e della polizia. Quegli stessi militari e poliziotti che mercoledì - se erano in servizio -hanno facilitato l’irruzione - e se erano in borghese - hanno partecipato all’azione.

Quegli sono gli anni in cui l’anti-comunismo e il razzismo delle destra radicale vengono assecondati dal Partito Repubblicano guidato da Ronald Reagan, sempre pronto a difendere l’indipendenza degli stati (tradotto, il diritto degli stati di difendere le loro istituzioni razziste) e ad indebolire il governo federale (“the federal government is not the solution, it’s the problem.” come disse in un famoso discorso).

 I paralleli tra la destra di quegli anni e quella vista in azione mercoledì sono evidenti e per questo motivo estremamente preoccupanti. Quella destra distrusse un palazzo federale in Oklahoma City uccidendo 168 persone. La destra di Trump - per ora- e’ riuscita ad entrare con la forza al Congresso e ha lasciato dietro di sé due ordigni inesplosi davanti alle sedi dei due maggiori partiti. L’FBI ha gia’ annunciato che diverse milizie hanno indetto proteste nelle capitali di almeno 50 stati da qui fino al 20 gennaio, giorno in cui Biden diventerà ufficialmente il 46simo presidente degli Stati Uniti.

Dal giorno delle elezioni, l’estrema destra e’ scesa in piazza quasi ogni weekend nelle principali città americane, lasciando dietro di sé una scia di accoltellamenti e violenti pestaggi. La repressione poliziesca che ha colpito il movimento dopo le rivolte della scorsa estate e la pandemia, ha notevolmente indebolito una possibile risposta antifascista. Tanto e’ vero, che dopo aver letto alcune delle chat della destra in preparazione alla manifestazione del 6 gennaio, il movimento ha deciso di non scendere in piazza ma di concentrarsi sulla difesa delle comunità più a rischio.

Allo stesso tempo la risposta del partito democratico si sta inutilmente concentrando esclusivamente su Trump senza capire che questa destra e’ piu’ grande e pericolosa di Trump. Il partito repubblicano si e’ spostato cosi a destra che ormai e’ piu’ facile contare i repubblicani con non hanno legami con la destra radicale. Basta fare una ricerca online per trovare le foto dei maggiori esponenti del partito in posa con membri dei Proud Boys e altre organizzazioni di destra. La polizia e’ ormai irrimediabilmente infiltrata da gang neo-naziste.

Il partito democratico si e’ inoltre ormai convinto che le elezioni si vincono solamente se si corteggia il centro, favorendo la marginalizzazione e demonizzazione dell’ala piu’ progressista del partito. 

E’ difficile capire come la rimozione di Trump e gli inutili inviti lanciati da Biden ad una futura collaborazione con i Repubblicani possano risolvere tutto questo. L’unica speranza, come spesso accade nella storia degli Stati Uniti, e’ rappresentata delle comunita’ di colore che a differenza della società bianca americana conoscono il vero volto degli Stati Uniti. La loro abilità di organizzarsi, difendersi e resistere rappresenta l’unica vera opposizione a questa destra. 

Elezioni USA: un commento con Silvia Baraldini

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Dopo giorni di scrutinio, arriva infine il nome del nuovo Presidente degli Stati Unti: il democratico John Biden. Non ha sfondato come il Partito Democratico sperava non raggiungendo la maggioranza al Senato che rimane in mano ai Repubblicani. Donald Trump esce di scena con delle elezioni che hanno visto una partecipazione elettorale enorme, riportando la popolazione statunitense alle urne. Un dato sembra subito chiaro, il movimento Black Lives Matter ha portato gli americani a schierarsi riguardo una controversia che va avanti ormai da più di 150 anni e che dopo la guerra civile ancora non si è risolta: i diritti degli afroamericani.

Ne parliamo con Silvia Baraldini.

Trump positivo al Covid, sarà vero?

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La notizia di questa mattina è che Trump e sua moglie sono risultati positivi al Covid 19 e pertanto dovranno trascorrere un periodo di quarantena, proprio nel corso dell'ultimo decisivo mese di campagna elettorale. Il livello drammaticamente surreale di questa campagna elettorale ha portato stamani molte e molti a chiedersi se la notizia fosse vera oppure si trattasse dell'ennesima trovata di Trump per cercare di risollevare le sorti della sua corsa alla rielezione.

Per rispondere, tra il serio e il faceto, a questa domanda abbiamo chiesto aiuto a Mattia Diletti, ricercatore in scienza politica presso l'Università La Sapienza e attentissimo analista delle elezioni nordamericane.

La notizia è vera, con ogni probabilità, ma la situazione continua a non essere per nulla eccellente.

Libia: asse Erdogan-Trump per il controllo del Paese

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Libia, ma soprattutto quello che verrà dopo. Ankara spalanca le porte del Mediterraneo a Washington. L’intento strategico di Erdogan passa dalla stabilizzazione libica e dall'eliminazione di Haftar, insieme agli Usa, per poi muovere i propri interessi in coppia con gli americani.

La Turchia, che ha grandi interessi economici nel Paese libico, si pone sempre più come attore di primo piano nell'area, avvantaggiato dal rapporto con Putin e la possibilità di fare da mediatore tra le diverse alleanze. I Paesi europei coinvolti, Francia (sostenitrice di Haftar), Italia e Germania, restano alla finestra senza assumere posizioni particolarmente incisive.

Sullo sfondo della politica estera di Erdogan, diversi problemi di consenso e politica interna.

Ne parliamo con Murat Cinar, giornalista ed esperto di politica in Turchia.