Da quasi un secolo l'Uzbekistan è uno dei maggiori produttori di cotone al mondo. La percentuale di PIL generata dal cotone è così alta che nel paese viene chiamato 'ok oltyn' - l'oro bianco. La realtà delle popolazioni coinvolte nella sua produzione e raccolta non è però così sfavillante. Oggi parliamo delle condizioni delle coltivatrici del cotone e dei danni ambientali che la sua produzione sta causando in Uzbekistan.
Raccontiamo della catena di produzione all'interno del distretto tessile pratese/fiorentino: la storia, il legame con il territorio, le rodate dinamiche di sfruttamento e segregazione che stanno alla base dei marchi "made in Italy" fiore all'occhiello dell'industria italiana.
Si è tenuta ieri pomeriggio, giovedì 18 novembre, l'assemblea di lavoratori e lavoratrici della tessitura Albini a Mottola, nei pressi di Taranto. Una compagna dello SLAI Cobas, che ha organizzato l'iniziativa, ci racconta le conclusioni dell'assemblea e i prossimi appuntamenti di lotta.
Nel pomeriggio di oggi, giovedì 18 novembre, a partire dalle ore 17 in piazza XX Settembre a Mottola, si svolgerà un’assemblea pubblica dei lavoratori e delle lavoratrici dell’azienda Tessitura Mottola del gruppo Albini. L’iniziativa è organizzata dallo Slai Cobas per il sindacato di classe, e proposta dagli stessi lavoratori, che da tempo si è schierato per un secco “no alla chiusura della fabbrica, basta con le delocalizzazioni: la fabbrica deve riaprire, qualunque sia il padrone, con assunzione di tutti i lavoratori“. L’assemblea è aperta “a tutte le realtà in lotta contro i licenziamenti e per il lavoro di Taranto e provincia, a tutti coloro, organizzazioni sindacali, sociali, politiche, associazioni, studenti, che vogliono sostenere questa battaglia per difendere il lavoro e salario, in una realtà in cui non ci sono vere alternative. Durante l’assemblea ci saranno collegamenti con gli operai della Gkn di Firenze, anch’essi in lotta contro la delocalizzazione e con Bergamo dove sono le altre fabbriche del gruppo Albini e dove è in atto anche lì un processo di parziale delocalizzazione.
I lavoratori e le lavoratrici del settore tessile in Turchia, che lavorano da anni per fare profitti per marchi come Inditex (Zara), Next e Mango protestano scrivendo sui capi d'abbigliamento questo messaggio: "Il capo che stai per acquistare è stato realizzato da me, ma non sono stato pagato per questo".
"Entro il luglio del 2016, il nostro capo ha rifiutato di pagare una gran parte dei salari che avevamo guadagnato facendo vestiti di ogni marca. I creditori sono venuti alla nostra fabbrica e hanno sequestrato tutte le macchine e gli oggetti di valore. Nel frattempo, il nostro capo è scomparso, prendendo il nostro salario con lui. Dobbiamo ancora ricevere i nostri salari o qualsiasi forma di tassa di fine rapporto".
Ne abbiamo parlato con Murat Cinar, giornalista turco che vive da anni in Italia.