8 dicembre Marcia NoTav
Collegamento telefonico con una compagna che rilancia l'appuntamento di domani a 17 anni dalla liberazione di Venaus.
Di seguito l'invito alla manifestazione
8DICEMBRE: ATTUALITÀ IRRIDUCIBILE DEL MOVIMENTO NO TAV
_“The Times They Are a-Changin'”_ cantava nel 1964 Bob Dylan
cogliendo il conflitto generazionale, politico e sociale che da lì a
poco sarebbe esploso compiutamente negli Stati Uniti del dopoguerra.
Anche oggi i tempi stanno cambiando, e a differenza degli anni ’60 è
difficile intravedere gli spiragli di un futuro migliore. Tra crisi
climatica, pandemia, guerre la sensazione rischia di diventare quella
che un futuro non ci sarà affatto o che sarà denso di sofferenza e
distopie. Eppure quella distanza generazionale che Bob Dylan
interpretava così efficacemente nella sua canzone oggi si ripresenta
non come sensazione, ma come dato sociale diffuso in tutto l’Occidente
capitalista sempre più incapace di offrire prospettive ai propri
giovani.
Cosa centra questa breve divagazione con il movimento No Tav? E’
presto detto, questo fenomeno locale, ma non localizzato, specifico, ma
con caratteri generali rappresenta da decenni un seme di contraddizioni
inevase, di percorsi alternativi, di esperienze concrete.
Un’anticipazione, che come il vento di föhn si diffonde da una
piccola valle alpina.
Oggi è evidente a tutti che l’era delle vacche grasse è finita, o
per dirla con più eleganza questo sistema di sviluppo non è più in
grado di garantire, neanche tra le popolazioni dei suoi paesi cardine,
non solo il benessere, ma una vita dignotosa. Da oltralpe l’inquilino
dell’Eliseo l’ha detto senza troppi giri di parole:_ “Non possiamo
più vivere al ritmo, e direi con la stessa grammatica, di com’era
fino ad un anno fa. È cambiato tutto.”_
Ecco dunque che il paradigma della crescita infinita ed ad ogni costo
oggi inizia a vedere delle increspature persino tra i suoi più fedeli
sostenitori. Semplicemente, alle date condizioni, non è più possibile
replicarlo. E’ ciò che i movimenti territoriali come il No Tav
sostengono da decenni, riflessione che diventa più urgente e concreta
da quando gli effetti reali della crisi climatica hanno iniziato a
manifestarsi in lungo e largo. La crescita infinita è semplicemente
incompatibile con la finitezza delle risorse.
Ma il fatto che questa consapevolezza finalmente sfiori le classi
dirigenti europee non dovrebbe darci sollievo perché se decrescita
dovrà essere il tema obbligato che si pone è dove e per chi. Quando
Macron fa queste affermazioni ciò che ha in mente è un’_economia di
guerra_.
Già lo vediamo nell’agenda politica del nuovo governo italiano, dove
non sussiste nessuna intenzione neanche minima di affrontare la
questione climatica, ma non solo: la decrescita è imposta ai più
poveri, a chi già oggi soffre, con l’intenzione chiara di abbassare i
salari per destinare le risorse che ci sono all’imprenditoria
parassitaria italiana e alle grandi opere inutili, tra cui il Tav per
cui, al momento a parole (nel senso che i fondi sono ancora da
destinare), sono stati inseriti nella legge di bilancio 750 milioni di
euro fino al 2029. Questo accade mentre il nostro territorio è
flagellato ripetutamente da eventi climatici estremi e mostra tutta la
sua fragilità dal punto di vista idrogeologico, ma anche da quello
della _“sicurezza alimentare”_ ed energetica. Territori in cui, come
nel caso di Ischia la combinazione tra messa a profitto e crisi
climatica rischia di portare a migrazioni di massa, ulteriore abbandono
e disperazione di chi non può fuggire.
Questi non sono solo gli effetti collaterali, ma sono parte integrante
della strategia della messa a profitto dei territori. Lo spiega bene il
recente articolo di notav.info in merito alle compensazioni del Tav:
_“Una delle basi di partenza del processo è soffocare economicamente
il territorio coinvolto dalle operazioni cercando di renderlo dipendente
ed attratto dalle operazioni progettate dai colonizzatori. […]
L’imposizione si fa ancora più grave perché passa attraverso anni di
disinvestimento nei piccoli comuni e territori montani, dove i servizi,
la sanità, l’istruzione, l’occupazione non sono garantiti e le
istituzioni su scala regionale e nazionale costruiscono implicitamente
le condizioni di abbandono di un territorio e di migrazione dei suoi
abitanti.”_
Il colonialismo interno dunque come redistribuzione delle risorse verso
l’alto, come decrescita imposta alle comunità locali per perpetrare
una vera e propria rapina. Questo fenomeno può essere a bassa
intensità, fermarsi alla corruzione delle spoglie, ma quando incontra
un movimento popolare radicato e radicale come il No Tav assume anche in
ambito giuridico e di ordine pubblico l’aspetto di un tribunale
coloniale con il suo portato di diritto penale del nemico e filo
spinato, in cui gli oppositori vengono disegnati come barbari, montanari
e violenti.
L’accanimento contro il movimento è la conseguenza più diretta della
sua attualità. Il No Tav è una lacerazione nella falsa coscienza di un
sistema che si dipinge di verde mentre è sempre più condiscendente e
dipendente dalla logica criminale del fossile e del cemento.
Oggi la compagine che sostiene la costruzione del Tav Torino-Lione si
misura con enormi difficoltà oggettive, determinate dalla stessa
assurdità del progetto e dalla strenua resistenza del movimento, ma
ciò che li spaventa di più è che il moltiplicarsi delle
contraddizioni sistemiche collegate alla messa a profitto dei territori
possa minare la stessa idea di modello di sviluppo che si propongono.
Che quella distanza tra generazioni si possa ricomporre in un incontro
tra chi non vuole soccombere alla catastrofe e chi sogna un altro futuro
possibile, come è successo ormai da anni in Val Susa, in una maniera
dialettica e mai scontata, sempre da conquistare. E’ in questo
incontro che ci si pongono davanti i compiti per il domani, dove è
fondamentale resistere, ma è anche sempre più necessario figurarsi
come affrontare collettivamente e dal basso il declino dei tempi che
corrono.
Avanti No Tav!
VERSO LA MARCIA POPOLARE DELL’8 DICEMBRE: IL CONTRIBUTO DEL COMITATO
GIOVANI NO TAV
A 17 anni dalla liberazione di Venaus, anche quest’anno ci troveremo a
marciare per le strade della Val Susa.
Nonostante ad oggi di TAV non ne abbiamo visto neanche un metro,
marceremo, non solo per commemorare ciò che per noi significa questa
data, ma per ribadire che oggi come allora la nostra lotta è più viva
e attuale che mai.
Questo 8 dicembre ci riprenderemo ancora una volta le strade della
nostra amata valle perché tutto ciò che diciamo da anni oggi si sta
avverando.
L’ ideologia del progresso infinito e della devastazione ambientale in
nome del profitto ha lasciato dietro di sé solo cemento e macerie,
traghettandoci nella più grande crisi che l’umanità si sia mai
trovata ad affrontare.
Le conseguenze di tutto questo non potranno fare altro che aumentare
esponenzialmente con il tempo: si pensi alle circa 900 vittime che
l’inquinamento causa ogni anno nella sola Torino, alla siccità di
quest’estate, alle temperature anomale di questo autunno, al rapido
scioglimento dei ghiacciai e alla perdita di biodiversità nei nostri
territori.
Sono a centinaia le città, i paesi e le comunità martoriati dalle
conseguenze del cambiamento climatico e le nostre montagne non sono
avulse da queste tragedie, ma il diritto all’utilizzo degli
stanziamenti del PNRR, sotto forma di fondi per la messa in sicurezza e
la salvaguardia dei territori, in Valsusa, diventa uno strumento di
ricatto. Per alcuni comuni valsusini, infatti, i fondi verrebbero
stanziati solamente sotto forma di compensazioni per i danni che il TAV
potrebbe procurare, come in uno dei peggiori sistemi coloniali.
Questo fare di TELT, che ormai ci ha da tempo abituati allo sperpero di
denaro pubblico per le sue ricerche pilotate e le fantasiose opere
pubblicitarie di greenwashing, non si ferma al solo “dialogo” con le
istituzioni locali ma, purtroppo, tenta di entrare capillarmente
all’interno della comunità valsusina con tutti i mezzi necessari. Il
proponente dell’opera, infatti, ha deciso di siglare l’accordo con
la Regione Piemonte denominato “A scuola di TAV”, che prevede di
portare centinaia di studenti e studentesse di ogni ordine di scuola a
visitare il cantiere e lavorarci gratuitamente, come “esperienza
formativa”.
Gli ultimi anni ci hanno mostrato tutte le carenze strutturali dei
servizi pubblici e della sanità. La scuola sta diventando un luogo
sempre più pericoloso, e ci troviamo ad assistere ad un costante
depauperamento dei fondi destinati a questi servizi fondamentali a
favore di progetti destinati all’indottrinamento degli studenti.
Non è il nuovo governo a spaventarci così come non lo sono stati tutti
quelli che in questi 30 anni hanno usato la Val Susa come passerella.
La sfida che ci troviamo oggi di fronte diventa ancora più importante
perché, dinanzi a molte guerre (a cui il nostro paese da sostegno
esportando armi), alla crisi climatica sociale ed economica, in cui
sempre più persone non riescono ad arrivare alla fine del mese, si
preferisce continuare ad inseguire le grandi opere inutili come il TAV.
Ogni giorno aumentano ingiustizie e disuguaglianze e, parallelamente,
assistiamo all’ uso di politiche sempre di più impegnate a ledere la
libertà di espressione del dissenso.
Chi tenta di ribellarsi subisce l’oppressione sistematica di uno stato
che si definisce democratico, ma che in realtà non ha mai accettato
alcun tipo di critica o contraddittorio ribaltando ogni vertenza sociale
su piano di ordine pubblico, delegando dunque la gestione alla violenza
delle forze dell’ordine e ai giudizi dei tribunali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un crescendo di denunce e
procedimenti legali a carico dei movimenti sociali e, in generale,
contro chi ogni giorno, con generosità e tenacia, si batte contro le
ingiustizie quotidianamente siamo costretti a subire. Evidentemente il
nostro vivere il mondo spaventa le grandi istituzioni, considerato che
ogni mezzo è legittimo per punire le lotte sociali.
Proprio in questo momento molti di noi stanno affrontando un processo
per associazione a delinquere, la cui inchiesta ha significato, oltre a
tutto il resto, anche una ingente spesa di soldi pubblici per affrontare
circa dieci anni intercettazioni della vita privata di molt* compagn*
coinvolti.
Ma noi sappiamo bene che quella contro il Movimento No Tav è una
crociata prettamente ideologica, perché dopo 30 anni è ormai indubbia
l’inutilità di quest’opera.
In un contesto in cui cresce sempre più la rabbia sociale verso tutte
le ingiustizie che questo sistema ha e continua a creare, darla vinta a
dei montanari, che da 30 anni si oppongono all’opera più costosa
d’Europa, vuol dire dar speranza a tutte quelle persone che lottano
ovunque per un mondo più giusto.
Questo è quello che vogliono scongiurare, la speranza.
Più continuerete nell’intento di voler reprimere la nostra lotta,
più noi continueremo a resistere!
Buon 8 dicembre a tutt*!