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transfemminismo

Le lotte come strumento di cura universale

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Varie sono le scadenze di questa settimana che devono vedere la nostra partecipazione. Partiamo da quella di martedì 22 febbraio ore 16,00 a via Montebianco per far rivivere, ricordando Valerio, l'antifascismo militante e far vivere la manifestazione come momento di lotta non solo del suo quartiere ma per tutta la città.

Altrettanto importante è l'appuntamento dell'assemblea di NUDM a ESC giovedì 24 alle h19,00 in preparazione dello sciopero femminista e trans*femminista contro la produzione e riproduzione dell'otto marzo 2022. che è fondamentale costruire tutt* insieme. Per questo abbiamo dato anche l'appuntamento a piazza dell'Immacolata a San Lorenzo, per le ore 10,30, per un momento di formazione collettiva  su come immaginiamo e vogliamo la nostra città transfemminista.

Come facciamo da qualche trasmissione abbiamo ripreso la lettura del libro  "Il manifesto della cura" del Care Collective, una riflessione su come trasformare la nostra società e la nostra economia in una società della cura universale. Oggi viviamo in una società dell'incuria, capitalista, patriarcale e omofobica in cui le relazioni sociali sono sostituite con le relazioni tra merci ed il valore della cura con il valore di scambio, dove non c'è rispetto, accettazione, ascolto delle soggettività e delle differenze e dove il mondo umano, animale e l'ambiente tutto viene dominato dal profitto. Dobbiamo risocializzare ed internalizzare i nostri sistemi, riregolarizzare i mercati e defeticizzare le merci per conquistare una cura universale e condivisa ed una economia della cura.

 

Nemesi: sgomberato spazio transfemminista alla Sapienza

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Sgomberato lo spazio transfemminista "Nemesi" in città universitaria a La Sapienza. In programma vi erano iniziative e sportelli autogestiti ed attività bloccate sul nascere dalla Rettrice Antonella Polimeni, la cui iniziativa ha chiuso l'ultimo spazio occupato nell'ateneo più grande d'Europa. La corrispondenza racconta dell'attacco subito, nonché degli appuntamenti a venire per rilanciare la lotta.

Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi

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Presentazione del nuov libro di Filosottile, "Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi" uscito per Alegre edizioni.

Il testo narra di un’esplorazione di genere e spesso la canta, perché qui dentro c’è la punk e la folk. Un testo in bilico tra prosa e canzonette, dove s’alternano amarcord siculo-torinesi, teoria transfemminista e teatro di rivista, con le benedizioni di Judith Butler e Petrolini.

Oggi presentazione alle ore 15 a Csoa Auro e Marco, Viale Caduti della Liberazione 268

Verso il corteo del 27 nov: iniziative alla Sapienza

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Con una compagna di Fuori Luogo presentiamo "Che la Nemesi abbia inizio", la due giorni con cui all'Università la Sapienza le studenti inaugurano la settimana contro la violenza maschile sulle donne e di genere. Due giornate di incontri, discussioni e workshop che inizia con la presentazione di Nemesi, luogo transfemminista, spazio di donne, di ascolto, di vendetta. Un luogo che oggi non esiste e che vogliamo costruire insieme.

Lunedì 22 novembre

H 13.00 presentazione "Nemesi"
H 15.00 "Spazi degeneri" workshop del desiderio
H 17.00 "Spaccademia: pratiche femministe in università" presentazione del numero di DWF
A seguire aperitivo e musica

Martedì 23 novembre

- H 13.00 workshop sull'educazione sessuale con Associazione Selene e pranzo sociale
- H 15.00 tappezziamo l’università
- H 17.00 "Comunarde" presentazione con Federica Castelli, ricercatrice in Filosofia presso l'Università di Roma Tre
A seguire aperitivo, musica e murales Sentre le Universitarie

 

Sgomberato lo spazio transfemminista autogestito pisano la Limonaia. Ne parliamo con una compagna.

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Ieri mattina poliziotti e blindati hanno sgomberato lo spazio transfemminista autogestito pisano la Limonaia - Zona rosa, sede dell’esperienza di Obiezione Respinta oltre che di iniziative di mutuo aiuto per contrastare l’emergenza Covid-19. Un atto vigliacco, violento e insensato di cui parliamo con una compagna di Pisa.

 

Consultori in piazza! Sabato 14 Novembre a Roma

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Sabato 14 novembre dalle ore 11 a Roma, il Coordinamento delle Assemblee delle Donne dei Consultori scenderà nelle piazze di fronte i consultori per diffondere l'importanza dei presidi territoriali indispensabili, contro lo svuotamento dei consultori, per fare pulizia di promesse e chiacchere, per la salute e sicurezza collettiva, per ottenere molti altri consultori in ogni quartiere di Roma, provincia e Lazio. Partecipare alle assemblee delle donne e delle libere soggettività dei consultori è fondamentale per ridurre i danni delle politiche aziendali, gli svuotamenti e lo snaturamento del servizio e costruire quella rete tra territorio e servizio fondamentale per una visione integrata della cura dei nostri corpi, uno strumento delle donne e delle libere soggettività per decidere sulla propria vita e salute. Ne parliamo con una compagna.

 Qui l'aggiornamento in tempo reale delle piazze e tutte le info per partecipare.

Desmonautica del 24/2/2016 "La difficoltà di avere difficoltà"

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“Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.  “La difficoltà di avere difficoltà”

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/27/la-difficolta-di-avere-difficolta

 

Ho difficoltà a fare molte cose.

Non so condividere i miei spazi, non senza impazzire. Non so cominciare e finire le cose con facilità. Non me la cavo granché col linguaggio del corpo e le sottili implicazioni emotive dei messaggi sottintesi. Non sempre riesco a comunicare a voce, e anche quando posso, avverto un enorme peso nel tradurre le mie immagini in lessico intellegibile. Non posso tollerare  i programmi stravolti di punto in bianco. Non so gestire più di un impegno al giorno, massimo due, per le mie energie limitate e per via dell’angoscia e del disorientamento che mi porta la gestione simultanea o sequenziale delle mie istanze quotidiane. Non esco molto di casa perché mutare spesso ambientazione mi stressa molto. Non ho realmente idea di come ci si faccia delle amicizie, o di come si manutengano i rapporti umani: devo i miei residuati di socialità a tutte quelle persone che fanno lo sforzo di perseguire la mia compagnia. Ho bisogno di fare tutto sempre allo stesso modo e di obbedire a piccole e grandi compulsioni utili e inutili che non sono dettate dallo sfogo di un’ossessione ansiosa ma da un’innata, non estirpabile, tendenza alla routine, e non posso non ammettere che mi sento a disagio nel continuare questo paragrafo rompendo lo schema che mi fa iniziare le frasi con un bel non. Ho dei sensi che funzionano in modo intenso e bizzarro, offrendomi la capacità di causarmi disgusto fino al vomito di fronte a molti sapori e consistenze; sentirmi benedetto sulla terra per le deliziose, friabili onde sonore di tarallo masticato sull’autobus dalla passeggera dietro di me; scoppiare in una immensa crisi di rabbia notturna graffiandomi le braccia e sbattendo la testa contro il mobiletto del bagno per via della irritante frequenza dei miei che russano e dell’insopportabile nenia di slinguazzamento che fanno i gatti nei loro riti di toelettatura, poiché dormiamo nella stessa stanza da vent’anni con buona pace del mio ineluttabile bisogno di privacy; avvertire la benché minima variazione di temperatura dunque non riuscire a tenere in mano una tazza moderatamente calda e ciononostante uscire spesso di casa con un abbigliamento inviso a ogni briciolo di buonsenso meteorologico, sudando a fiotti o sfidando la morte per ipotermia con gagliardo sorriso futurista e mani cianotiche. Regolare amministrazione autistica.

Molto tempo fa mi sono accorto di queste difficoltà senza accorgermene davvero. Ho assunto presto la consapevolezza che la mia percezione non corrispondeva alle percezione delle persone che incrociavo. Non che sia poi così difficile quando chiunque ti fa notare che una buona parte dei tuoi modi di fare e d’essere sono per così dire inappropriati, fuori luogo, strani. Dove non sono arrivato io con arguto dedurre, c’è arrivata la pressione sociale con le persuasive argomentazioni della persecuzione fra pari; anche fra dispari, vista l’annosa abitudine delle persone dotate di un potere ad abusarne. Lezione appresa. Diverso non si può, trovarsi in una brutta situazione è un crimine imputabile anche se non è un crimine e anche se non è stato commesso. I bravi bambini obbediscono. Io ho obbedito. Per fortuna ho quasi smesso, ora consumo solo mezzo pacchetto al giorno.

Questo livello di realtà colora tutta la mia vita, il mio stare nel mondo, come anche il cambiarlo. Lo spazio e l’agire tradizionale della politica extraparlamentare – ma anche di quella parlamentare,  la quale però non ho mai vissuto e praticato, e mai accadrà – consiste in un insieme di implicite regole sociali le quali per lungo tempo ho tentato di capire e assecondare, inutilmente, quali diplomazie, narcisismi, bisogni d’appartenenza, omologazione, idiosincratiche intollerabilità di vario genere. La peggiore pretesa è però la straziante richiesta di abdicare la propria persona in favore di un’abnegazione totale, noncurante delle priorità, delle limitazioni e delle necessità individuali e sociali, figlia quell’idea assurda e reazionaria che è l’indipendenza: essere isole, che si sanno bastare da sole o che in questo modo amano raccontarsela; questa indipendenza, che non rappresenta le abilità legate all’autonomia personale, ma il cerotto  applicato su quell’esigenza palpabile che sono i nostri rapporti di interdipendenza reciproca, in termini di affetto, di cura, di soddisfacimento dei bisogni più e meno elementari; viene chiesto insomma di favorire fatica e intelletto a un gruppo, un collettivo, una rete – esattrici di lavoro emotivo che non ne restituiscono altrettanto – che sì, fornisce una forma primitiva, grossolana e distruttiva di supporto, ma soltanto a chi possiede la possibilità e la pazienza di farne porta e soltanto a costo di distruggerl* pian piano, spogliandol* infine del diritto alla sopravvivenza in nome di qualcosa di più grande, così grande da inghiottire contraddizioni, idiosincrasie, umanità. Che libertà è mai questa? Che giustizia porta con sé?  La libertà di farsi tiranneggiare da una comunità terribile, più fascista di quella che ci mette i piedi in testa di solito. La giustizia, quella delle forche.

 

Sono qui, diversi anni dopo, a fare i conti con quei lasciti, con l’eredità sostanziale della mia storia e delle mie peculiarità metà neurologiche, metà esistenziali. Stavolta ho con me dei fortunati incontri, una sviluppata capacità di scomporre ai minimi termini le verità che mi vengono proposte, una scarsissima pazienza per le stronzate. Sono capace, oggi, di difendere il bambino che ero e quello che c’è ora nell’uomo che sono: disincantato, umorista, consapevole, un pizzico stronzo, eppure così ostinato in una volontà sconfinata di cercare e offrire tenerezza. La vulnerabilità è un bene incedibile che si tiene in salotto per tutta la vita, un grazioso soprammobile. Non è un compito semplice prendersene cura. Quando mi serve aiuto, e mi serve, non so chiederlo mai e anzi mi accartoccio su me stesso, m’isolo e taccio. Questa è la difficoltà di sentirsi in difficoltà: avere bisogno di aiuto e non sapere come, se, quando chiederlo, a partire dalla posizione più scomoda che si possa assumere che però è l’unica possibile: o si chiede aiuto, o si continua a soffrire. Ma interpellare qualcun* è invitarl* nella mia dimora figurata; nel farlo chiamo implicitamente questa persona a passare di fronte al delicato oggettino di cristallo. Lei potrebbe accorgersi della sua presenza, decidere di toccarlo e farmi fremere nel timore che possa urtarlo, per sbaglio se non per volontà, e farne mille pezzi. Una paura non banale che si mostra nella mia tendenza così consolidata a ironizzare su assurdità, insensatezze, talvolta disgrazie e tenere distanti da sé le spiacevolezze e non averci a che fare. Una strategia ridanciana di stupidità emotiva, e per fortuna non ancora una pessima abitudine che rischia di estendersi ai problemi altri, minimizzandoli. Così ora, quando mi chiedono come va, quella frase curiosa, un’affermazione che sembra una domanda – con tutte le sue aspettative di risposta lineare e affermativa, autoconclusoria: tutto bene, grazie – mi sforzo di rispondere nel modo giusto. Una merda. Perché bisogna sapere che stare male è legittimo e la protesta anche di più. Perché la frustrazione de* singol* sia la rabbia di tutti e tutte.

Desmonautica del 27/1/2016 "Note di politica trans"

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Da “I Nomi delle Cose” del 27/1/2016 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.

Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione del contributo dovuto a disguidi tecnici

“Note di politica trans, ovvero l’importanza di avere delle priorità”

(…)Un famoso barbuto tedesco che non ha bisogno di essere citato disse che la storia è la storia delle lotte fra classi, e io sono abbastanza ideologicamente fuorimoda da essere d’accordo. Ma aggiungo che la storia è una conversazione dove ti interrompono spesso. I discorsi di chi pretende libertà sono quelli che appena cominciano si toglie l’audio. È quel genere di situazione dove bisogna imparare ad alzare la voce; io sono qua perché sento intimamente la responsabilità di rimanere abbastanza tignoso da continuare a tenere il volume alto. Sono piuttosto fiducioso di riuscirci, perché sono virtualmente incapace di modulare la mia voce in tonalità non moleste.

Immagine rimossa.

Ora, molti interventi come questo cominciano con lunghi antefatti sul proprio percorso. Ma siccome io ritengo d’essere un uomo relativamente banale, e non è che la cittadinanza di maschio d’adozione cambi granché le cose, vi evito questa noia. Sì, ok, sono nato femmina, la cosa mi deprimeva a morte, blablabla, testosterone, blablabla, e ora ho l’acne, i peli e la gioia di vivere. Ordinaria amministrazione, gente! Una cosa ve la dico, però: sono bisessuale. A essere pedanti, anche questa è una descrizione sommaria, ma amo semplificare il semplificabile. Forse ritenete superfluo parlarne, ma per me è politicamente importante ribadirlo: non sono un attivista trans. Sono un attivista trans e bisessuale. C’è tutta la differenza del mondo in questa sottigliezza. Poi sono anche molte altre cose, ma questa è un’altra storia che intendo raccontare altrove.

Veniamo a noi. Se ho dato un preciso titolo a questo intervento è perché penso all’importanza, per un movimento, di definire strategicamente le sue priorità. Spesso pensiamo male, malissimo del concetto di priorità, perché una coltre di gente a dir poco discutibile ne distorce il senso. L’accezione che conferisco a questo termine non è quella che loro utilizzano. Non solo credo che le priorità di un privilegiato siano differenti da quelle di chi privilegiato non è, ma credo anche che la posizione di privilegio strutturale (sociale ed economico) e sovrastrutturale (cioè culturale) plasmi il concetto stesso di priorità. Quando questi soggetti parlano di priorità, non parlano di definire le priorità atte a mandare avanti, in senso positivo, un progresso politico. Nei loro discorsi la priorità è un artifizio che usano per nascondere il fatto che per loro, priorizzare, non è organizzare coscientemente le istanze al fine di portarle avanti con dei risultati, i migliori possibili; è posizionarne alcune sopra le altre in un’ottica escludente e distruttiva, anti-propositiva, e infine del tutto reazionaria.

Voglio essere chiaro: ogni parola che dico non intende in nessun modo sminuire chi dirige i suoi sforzi in altri luoghi, ma mi pare il caso di fare presente dove invierei maggiori attenzioni. Qui ritornerei all’affermazione per cui il personale è politico. Questa frase porta con sé almeno tre livelli di significato diversi. Il primo è teso ad evidenziare quanto alcuni aspetti delle nostre vite, apparentemente innati e naturali, siano in realtà socioculturalmente determinati. Il secondo è quello che ci rende nota la parzialità del nostro percorso esistenziale individuale, che in realtà è ingranaggio di un meccanismo collettivo, condiviso e complessivo. Il terzo, forse meno autoevidente degli altri, è questo:

parlare di personale che diviene politico mette in luce anche la materialità del quotidiano. Personale infatti non è solo una forma mentis e una direzione presa, ma anche un bisogno che abbiamo mentre lo proviamo. Questo è esattamente il punto: la nostra priorità credo risieda proprio qui, nel perseguire il soddisfacimento dei nostri bisogni materiali condivisi qui ed ora, senza più aspettare. Spesso come attivista trans mi capita di sentire lamentarsi altri attivisti ed attiviste del fatto di non essere presi in considerazione dal resto della comunità. Per quale motivo credete che questo accada? Esiste una cosa che si chiama piramide dei bisogni, in fondo ci sono basilari necessità di sopravvivenza. Soddisfatte quelle, si sale di un gradino e si può pensare al livello di astrazione del piano di sopra. Sapete cosa? La maggior parte della comunità trans non riesce a soddisfare il gradino base. Perciò se vogliamo costruire un movimento abbandoniamo l’illusione che la maggior parte delle persone possa volersi occupare di qualcosa di diverso da quello: la maggior parte delle persone non sono così masochiste da volersi occupare di dibattiti che le riguardano in modalità esclusivamente tangenziali. Abbandoniamo anche la pretesa di definirci e rimanere controcultura. Farlo significa voler rimanere nell’angolino a vantarsi di essere anticonformisti a vita, è ribellismo adolescenziale fuori tempo massimo. Noi dobbiamo diventare cultura, e basta. Non esiste un cambiamento che non passi attraversi questo. Siamo egemonici, per la miseria! Perciò, con buona pace di discorsi culturali sull’immagine della transessualità che può fornire l’attrice tal dei tali, o un altro soggetto tal dei tali, discorsi disgustosamente intrisi di politiche della rispettabilità, parliamo d’altro.

Parliamo di studenti trans. Si parla spesso in modo fumoso di diritto all’istruzione, ma qui ci riferiamo a qualcosa di molto concreto. Il nostro diritto all’istruzione è leso dalla nostra posizione economica svantaggiata, dalla pressione sociale, dalla paura della violenza, dal bullismo e dalla mancanza di una normativa che renda possibile attraversare il mondo scolastico con un nome che differisca da quello anagrafico a prescindere dalla modifica o meno dei documenti. Questo talvolta accade, e io mi ritengo fortunato nel poter dire che la mia scuola me lo sta permettendo, ma accade a totale discrezione dell’atteggiamento bendisposto di chi si ha di fronte. Vi pare che si possa contare sulla buona volontà delle istituzioni di assecondare la libertà di genere, in un paese dove è ancora scandalo la pillola del giorno dopo?

Parliamo di adolescenti trans. Faccio ancora parte di una generazione dove la maggior parte delle persone hanno scoperto di sé stesse generalmente dopo i diciotto anni, o in prossimità di quelli. Fra noi non si è posta certo la questione. Con l’avvento di una maggiore informazione esistono però ragazze e ragazzi che hanno modo di scoprire la propria verità molto prima, anche a quindici, quattordici, tredici anni e intendono giustamente transizionare presto. Invece di moralistiche, paternalistiche congetture circa l’eventualità che sia troppo presto perché loro conoscano sé stessi e possano dunque decidere per sé, preoccupiamoci di fornire loro strumenti d’analisi per loro stessi, per il mondo, e ciò che serve a soddisfare le loro necessità. Possiamo evitargli un trauma. Facciamolo. (Faccio notare come nessuno dubiti del grado di autoconsapevolezza dell’eterosessualità e del cisgenderismo degli adolescenti eterosessuali e cisgender).

Parliamo di persone detenute trans. Le galere, italiane e non, sono posti terrificanti dove in barba a ogni genere di mistificazione democratica non si fa nulla di umano o educativo: si tortura, e spesso, si uccide. Aggiungete a questo orribile retroscena le vessazioni che provengono dal violare le convenzioni in un luogo dove non ci si può proteggere. Vi pare che si possa aprire bocca con le manette ai polsi e la mano sul collo?

Parliamo di lavoratrici e dei lavoratori trans, che si vivono a metà o non si vivono affatto per non perdere l’unica fonte di reddito che hanno nel contesto più generale di un’incertezza economica sconcertante, o lo fanno ma sotto mobbing. Mi preoccupo in modo particolare delle lavoratrici del sesso, capro espiatorio di una comunità che ambisce a una normalità che non potrà mai ottenere, e la colpa è soltanto del nostro attivismo normale, accettabile, presentabile, carino, infiocchettato… e paralizzato, perché non ci porta da nessuna parte. Ci si fa un mazzo tanto ad appiattirsi su criteri di normalità, ma i criteri li fanno sempre gli altri, e ce ne terranno sempre fuori, quindi siamo fregati. E i disoccupati? E le disoccupate? Qualcuno ha idea di cosa significhi la compromissione non solo della capacità di mantenersi vivi, ma di mantenersi vivi e felici nel percorso che porta una persona alla realizzazione della persona che essa è?

Parliamo delle persone trans nel loro accesso alla sanità. Nel contesto più generale di una sanità sempre più depauperata di risorse, e le cui prestazioni sono di fatto negate a una serie di soggettività che qualcuno chiamerebbe di marginalità sociale, le persone trans ricevono un danno doppio. Non so se sapete che per esempio, a Roma, è ora praticamente impossibile trovare una struttura del tutto pubblica dove effettuare, in particolar modo, la fase psicologica del percorso di transizione, considerata, ve lo ricordo – a fronte dell’attuale stato dell’arte clinico e burocratico – obbligatoria. La struttura che in teoria sarebbe di riferimento è in sostanza privata, e richiede un gran spesa. Domanda retorica: una persona trans ha questi soldi? Un problema della sanità è quindi ovviamente quello che riguarda l’accesso a prestazioni mediche e psicologiche specificatamente legate al percorso di transizione. Queste non sono affatto garantite, e questo è un problema grosso, grossissimo, per non dire fondamentale. Il problema, peraltro, non è solo quello, in quanto come persone trans, in modo più indiretto, non ci viene garantito neanche l’accesso alla sanità generale. Infatti anche un qualsiasi altro problema di salute diventa per una persona trans un problema di sanità trans, per il truismo lapalissiano che quando si è malati non si smette di essere transessuali. Il personale sanitario tutto è quasi interamente privo di ogni cognizione su cosa sia la transessualità e su come rispettare le persone trans, in particolar modo quelle nella fase delicata e imbarazzante che genera la difformità tra presenza fisica e documenti non aggiornati. (Mi riaggancio un istante al discorso di prima: questo vale per ogni istituzione pubblica che si interfacci con le persone trans, quindi per esempio anche insegnanti, educatori). Inoltre, mi domando quanto le scienze mediche si siano attualmente poste la necessità di pensare una medicina trans, incentrata sulle specifiche esigenze e particolarità di un corpo transessuale. Vorrei fare un breve inciso anche sulla malasanità, ma non ho gli strumenti e le conoscenze necessarie, perciò a questo riguardo vi invito soltanto ad approfondire se non l’avete già fatto le brutte vicende che hanno coinvolto Elena Sofia Trimarchi. Queste che vi ho elencato finora sono solo alcuni esempi di questioni che io, personalmente, mi pongo.

Però capiamoci. La lotta degli studenti trans dev’essere la lotta degli studenti tutti. La lotta per la sanità trans non può esimersi dall’essere parte di una lotta per i diritti dei pazienti in generale. La lotta delle e dei detenuti trans dev’essere parte di un discorso d’insieme sulla realtà delle carceri. Nessuna, nessuna delle nostre lotte si può permettere più di esistere se non così. Non è un suggerimento, è una scelta che dobbiamo fare: solidarizzare o soccombere. E quando parliamo di solidarietà, parliamo di una solidarietà pratica, viva, forte, relazionale: altrimenti non parliamo di solidarietà, parliamo del fantasma delle pubbliche relazioni, un inutile golem da comunicato. Come individui, carissimi miei, carissime mie, non contiamo niente. Perciò facciamo reti, rizomi, prolungamenti, tutto quello che ci pare, ma connettiamoci. Una lotta senza ponti muore settoriale. Questo è, per me, il significato politico più bello e prezioso dell’intersezionalità: non la necessità di fare tuttologia militante ogni volta che si parla di un singolo argomento per sentire l’ebbrezza del politicamente corretto, ma le opportunità sostanziali che essa offre nel creare legami.

Ho parlato per me e per nessun altro, le mie vogliono essere più indicazioni provenienti dalla mia visione del mondo, che non un flusso di logorrea didascalica e onnicomprensiva. Mi auguro di aver ricoperto una qualche utilità e vi ringrazio ancora. Vi lascio un’ultima cosa, una domanda. Oggi discutiamo, domani pure, dopodomani cosa volete fare? Questo è tutto. Ho finito.