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trump

Non si può più dire niente! Woke e cancel culture

Data di trasmissione
Durata 1h 32m 58s

Prima puntata di un ciclo di trasmissioni su woke e cancel calture.

In questa trasmissione trattiamo del significato di queste espressioni, di come sono nate e come sono state assunte prima da movimenti sociali poi deturnate dalle destre.Incrociamo anche il concetto di politically correct, infine passiamo dagli Usa all'Italia per vedere come sono arrivati questi dibattiti nel nostro paese.

La prossima puntata sarà giovedì 16 gennaio, alle ore 18.15

Un'analisi sulle elezioni statunitensi

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Con Silvia Baraldini commentiamo il voto americano: un voto che ha portato principalmente i giovani uomini bianchi a votare per Trump. Il patriarcato non è solo una parola ma delle politiche concrete contro le donne e le soggettività che non sottostanno al binarismo e al conservatorismo maschilista. 

Cisgiordania sotto attacco, catastrofe umanitaria nella Striscia

Data di trasmissione
Durata 1h 47m 57s

Michele Giorgio, storico corrispondente de Il Manifesto da Gerusalemme, informa sugli attacchi sempre più brutali in Cisgiordania collegandoli al progetto di annessione della Cisgiordania che con l'elezione di Trump torna in auge.

Si dà conto poi della ripresa delle demolizioni nella città di Silwan, nella Gerusalemme occupata e della situazione nella Striscia di Gaza, in particolare nel nord che viene completamente svuotato dalla popolazione palestinese.

L'audio si chiude con il resoconto dell'udienza per Tiziano che rimanda ancora al 2 dicembre.

 

 

Trump scaricato: la censura che non è di Stato

Data di trasmissione
Durata 1h 42m 9s
Durata 22m 30s
Durata 35m 1s
Durata 20m 37s

Dopo il tentato colpo di stato, Trump viene bannato da molti social network e da varie aziende, i contenuti che invocano la frode elettorale bloccati da Facebook. È in questo modo, e non attraverso ordinanze federali, che Trump sta venendo estromesso dalla scena politica statunitense. Senza in nessun modo difendere Trump, dovremmo tuttavia chiederci come mai discorsi complottisti, autoritari e oppressivi siano così floridi sui social network; una riflessione che potrebbe portarci a scoprire che la censura non è il modo più efficace di affrontare il problema, e che forse è la forma della comunicazione online odierna ad essere problematica.

Dopo ciò, Trump si sposta su Parler, social network assai amichevole con gli utenti di estrema destra. Probabilmente il più usato dai suoi supporter che hanno tentato il coup kux klan. Questo ha scatenato molte reazioni contro Parler: l'app di Parler è stata eliminata dall'app store di Apple e dall'omologo di Google; Amazon ha revocato i servizi di cui Parler si avvaleva attraverso AWS; Twilio gli ha revocato l'account che utilizzavano per verificare gli indirizzi email degli iscritti. Ancora più importante, vari hacker attaccano Parler e riescono ad ottenere un dump piuttosto corposo contenente tutti i dati della piattaforma. Si scoprono così informazioni personali sugli iscritti, i luoghi da cui parlavano, si possono recuperare anche messaggi che gli utenti avevano apparentemente cancellato. Se vuoi approfondire l'argomento anche nei dettagli tecnici, ascolta il podcast di StakkaStakka su RadioBlackout. Noi facciamo invece delle riflessioni su come un servizio possa (o no) essere soggetto alla censura da parte delle aziende a cui si affida, più che a quella di Stato.

Cambiando argomento, parliamo di WhatsApp, che aggiorna i suoi termini di servizio con una mossa comunicativa poco riuscita. La verità è che non cambia moltissimo, che WhatsApp ha alcune pratiche antipatiche, ma che le aveva anche prima.

This is America

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Durata 4m 11s

Ad una settimana dalla manifestazione pro-Trump che si e’ conclusa con la violenta irruzione all’interno del Congresso, l’America - soprattutto quella bianca -  e’ ancora sotto shock. Incapace di guardarsi allo specchio, il paese cerca conforto nelle parole di Biden, “This is not America.”

Sfortunatamente, quello che e’ successo il 6 Gennaio a Washington DC e’ semplicemente il manifestarsi di alcune tendenze che da sempre fanno parte del DNA americano. Basta pensare che al termine di quell’irruzione, la bandiera sudista aveva sostituito la bandiera americana al congresso, e che un cappio e una croce erano stati issati sul prato appena fuori dal palazzo per capire che le radici di quella violenza sono molto profonde.

Non e’ un caso infatti che le scene viste mercoledi scorso sembrano uscite da un romanzo che sin dalla fine degli anni 70 ha inspirato la destra radicale americana. Pubblicato nel 1978 dal leader del gruppo neo-nazista the National Alliance e citato pochi giorni fa da alcuni esponenti dei Proud Boys durante un’intervista, “The Turner Diaries” racconta proprio di un attacco portato al congresso americano da parte di un’organizzazione terroristica che si conclude con l’impiccagione di alcuni parlamentari e giornalisti. “The day of the Rope” l’autore lo chiama.

La pubblicazione di quel romanzo segna un importanto cambiamento nella destra radicale americana che da quel momento in poi non si concentra più solamente sulla difesa di una società americana ancora profondamente razzista, ma dichiara apertamente guerra al governo federale. Quegli sono gli anni in cui nascono le milizie, quelle stesse milizie che in questi quattro anni sempre piu’ frequentemente hanno cominciato a sfilare insieme ai sostenitori di Trump e i cui membri hanno fatto irruzione al congresso in Michigan in Aprile e al congresso americano la scorsa settimana. Quegli sono gli anni in cui la destra ha grande successo nel reclutare membri dell’esercito e della polizia. Quegli stessi militari e poliziotti che mercoledì - se erano in servizio -hanno facilitato l’irruzione - e se erano in borghese - hanno partecipato all’azione.

Quegli sono gli anni in cui l’anti-comunismo e il razzismo delle destra radicale vengono assecondati dal Partito Repubblicano guidato da Ronald Reagan, sempre pronto a difendere l’indipendenza degli stati (tradotto, il diritto degli stati di difendere le loro istituzioni razziste) e ad indebolire il governo federale (“the federal government is not the solution, it’s the problem.” come disse in un famoso discorso).

 I paralleli tra la destra di quegli anni e quella vista in azione mercoledì sono evidenti e per questo motivo estremamente preoccupanti. Quella destra distrusse un palazzo federale in Oklahoma City uccidendo 168 persone. La destra di Trump - per ora- e’ riuscita ad entrare con la forza al Congresso e ha lasciato dietro di sé due ordigni inesplosi davanti alle sedi dei due maggiori partiti. L’FBI ha gia’ annunciato che diverse milizie hanno indetto proteste nelle capitali di almeno 50 stati da qui fino al 20 gennaio, giorno in cui Biden diventerà ufficialmente il 46simo presidente degli Stati Uniti.

Dal giorno delle elezioni, l’estrema destra e’ scesa in piazza quasi ogni weekend nelle principali città americane, lasciando dietro di sé una scia di accoltellamenti e violenti pestaggi. La repressione poliziesca che ha colpito il movimento dopo le rivolte della scorsa estate e la pandemia, ha notevolmente indebolito una possibile risposta antifascista. Tanto e’ vero, che dopo aver letto alcune delle chat della destra in preparazione alla manifestazione del 6 gennaio, il movimento ha deciso di non scendere in piazza ma di concentrarsi sulla difesa delle comunità più a rischio.

Allo stesso tempo la risposta del partito democratico si sta inutilmente concentrando esclusivamente su Trump senza capire che questa destra e’ piu’ grande e pericolosa di Trump. Il partito repubblicano si e’ spostato cosi a destra che ormai e’ piu’ facile contare i repubblicani con non hanno legami con la destra radicale. Basta fare una ricerca online per trovare le foto dei maggiori esponenti del partito in posa con membri dei Proud Boys e altre organizzazioni di destra. La polizia e’ ormai irrimediabilmente infiltrata da gang neo-naziste.

Il partito democratico si e’ inoltre ormai convinto che le elezioni si vincono solamente se si corteggia il centro, favorendo la marginalizzazione e demonizzazione dell’ala piu’ progressista del partito. 

E’ difficile capire come la rimozione di Trump e gli inutili inviti lanciati da Biden ad una futura collaborazione con i Repubblicani possano risolvere tutto questo. L’unica speranza, come spesso accade nella storia degli Stati Uniti, e’ rappresentata delle comunita’ di colore che a differenza della società bianca americana conoscono il vero volto degli Stati Uniti. La loro abilità di organizzarsi, difendersi e resistere rappresenta l’unica vera opposizione a questa destra. 

Elezioni USA: un commento con Silvia Baraldini

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Durata 1h 55m 46s

Dopo giorni di scrutinio, arriva infine il nome del nuovo Presidente degli Stati Unti: il democratico John Biden. Non ha sfondato come il Partito Democratico sperava non raggiungendo la maggioranza al Senato che rimane in mano ai Repubblicani. Donald Trump esce di scena con delle elezioni che hanno visto una partecipazione elettorale enorme, riportando la popolazione statunitense alle urne. Un dato sembra subito chiaro, il movimento Black Lives Matter ha portato gli americani a schierarsi riguardo una controversia che va avanti ormai da più di 150 anni e che dopo la guerra civile ancora non si è risolta: i diritti degli afroamericani.

Ne parliamo con Silvia Baraldini.

Trump positivo al Covid, sarà vero?

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Durata 26m 34s

La notizia di questa mattina è che Trump e sua moglie sono risultati positivi al Covid 19 e pertanto dovranno trascorrere un periodo di quarantena, proprio nel corso dell'ultimo decisivo mese di campagna elettorale. Il livello drammaticamente surreale di questa campagna elettorale ha portato stamani molte e molti a chiedersi se la notizia fosse vera oppure si trattasse dell'ennesima trovata di Trump per cercare di risollevare le sorti della sua corsa alla rielezione.

Per rispondere, tra il serio e il faceto, a questa domanda abbiamo chiesto aiuto a Mattia Diletti, ricercatore in scienza politica presso l'Università La Sapienza e attentissimo analista delle elezioni nordamericane.

La notizia è vera, con ogni probabilità, ma la situazione continua a non essere per nulla eccellente.

Libia: asse Erdogan-Trump per il controllo del Paese

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Durata 21m 40s

Libia, ma soprattutto quello che verrà dopo. Ankara spalanca le porte del Mediterraneo a Washington. L’intento strategico di Erdogan passa dalla stabilizzazione libica e dall'eliminazione di Haftar, insieme agli Usa, per poi muovere i propri interessi in coppia con gli americani.

La Turchia, che ha grandi interessi economici nel Paese libico, si pone sempre più come attore di primo piano nell'area, avvantaggiato dal rapporto con Putin e la possibilità di fare da mediatore tra le diverse alleanze. I Paesi europei coinvolti, Francia (sostenitrice di Haftar), Italia e Germania, restano alla finestra senza assumere posizioni particolarmente incisive.

Sullo sfondo della politica estera di Erdogan, diversi problemi di consenso e politica interna.

Ne parliamo con Murat Cinar, giornalista ed esperto di politica in Turchia.

Trump contro Twitter: peccato non possano perdere entrambi

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Durata 2h 15m 47s

Twitter considera alcuni tweet fatti da Trump come delle fake news o delle esaltazioni della violenza; Trump si arrabbia e promette vendetta. Cerchiamo di inserire questa bagarre nella cornice del passaggio delle piattaforme di social network ad un ruolo sempre più attivo: filtri sui contenuti, contestualizzazione, pagine esplicative... questi strumenti servono a creare un ambiente "moralizzato" secondo l'etica della piattaforma.

In Italia, il Tar del Lazio conferma le sanzioni Antitrust contro Apple: il modo in cui proponeva gli aggiornamenti induceva gli utenti ad aggiornare, ma questo creava dei rallentamenti. Gli utenti, non potendo tornare indietro, erano così esortati a comprare un nuovo modello di iPhone. Del resto la politica di Apple contro le riparazioni e gli upgrade è molto aggressiva: vendita di componenti vietata, contratti proibitivi con i riparatori indipendenti, oltre a soluzioni tecniche che rendono il riutilizzo di hardware perfettamente funzionante particolarmente oneroso.

Stati Uniti: a New York militarizzazione dei quartieri poveri

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Durata 6m 29s

Mentre il numero dei morti sta velocemente raggiungendo quota 70 mila, il virus e’ arrivato fin dentro la Casa Bianca costringendo alcuni membri della Task Force a mettersi in quarantena. Intanto alcuni media hanno rivelato come l'amministrazione Trump abbia ostacolato la pubblicazione di un documento creato dal Centers for Disease Control and Prevention. 

Il documento era stato scritto per aiutare i governatori e altri leader politici a decidere come e quando allentare le misure restrittive adottate per controllare la diffusione del virus. Trump ha sostenuto che il documento non era stato diffuso xche’ non era mai stato approvato dal direttore del dipartimento, ma i documenti ottenuti dalla stampa sembrano smentire questa versione dei fatti e mostrano come il documento fosse stato ripetutamente spedito alla Casa Bianca per l’approvazione finale. Questo e’ l’ultimo scandalo di una lunga serie che dimostra come Trump stia cercando di accelerare la riapertura dell’economia anche a costo di trasformare questa emergenza in una vera e propria strage. La riapertura dei diversi stati sta avvenendo un po’ a macchia di leopardo con gli Stati guidati da governatori Repubblicani decisi a riaprire anche se i dati dovrebbero suggerire una maggiore prudenza.

Intanto aumentano le critiche nei confronti dell’operato della polizia, in particolare a New York. Dall’inizio dell’emergenza il sindaco de Blasio ha dato alla polizia l’incarico di far rispettare il lockdown, come ampiamente previsto da numerosi attivisti, l’ordine si e’ trasformato in una nuova militarizzazione dei quartieri poveri e delle comunità di colore. Nelle ultime settimane numerosi video pubblicati online mostrano come i poliziotti si limitino a distribuire mascherine nei parchi situati nei quartieri bianchi mentre nei quartieri di colore siano impegnati in arresti spesso violenti. Secondo alcuni dati rilasciati dal distretto di polizia in Brooklyn, per esempio, tra il 12 marzo e il 4 maggio delle 40 persone arrestate, 35 erano afro-americane, 4 ispaniche e solamente una era bianca. 
Da sottolineare anche il fatto che un terzo degli arresti e’ stato effettuato a Brownsville, quartiere a maggioranza nera, mentre nessuno arresto e’ stato effettuato nel quartiere a maggioranza bianca di Park Slope. Dati simili si sono registrati in altre aree di New York. Il 93% dei 120 arresti fatti nell’ultimo mese e mezzo riguarda persone di colore.

Uno degli esempi piu’ eclatanti di questa disparita’ si e’ verificato nel quartiere Chelsea, un quartiere popolato soprattutto da bianchi ricchi, dove la polizia ha fatto irruzione in un’abitazione dove si stava svolgendo una festa. Nonostante la polizia abbia rinvenuto ingenti quantita’ di mariuana, si e’ limitata a distribuire una serie di multe per il mancato rispetto del lockdown. Un altro caso che ha fatto scalpore riguarda un arresto effettuato da un agente fuori da un piccolo alimentari nel Lower East Side. Nel video catturato da un passante si vede l’agente Garcia prima discutere con un uomo e una donna di colore e poi aggredire fisicamente un passante. Il video mostra Garcia scagliare un pugno in faccia al passante e poi sedersi sulla schiena dell’uomo mentre un collega lo ammanetta. Al di la’ della brutalita’ dell’arresto, gli attivisti hanno sottolineato come l’agente Garcia non sia nuovo a certi atti diviolenza. Infatti e’ stato denunciato almeno alltre sette volte per comportamenti illegali costando alla citta’ di New York piu’ di 200 mila dollari in danni e spese processuali. L’agente Garcia non e’ un’eccezione e spese processuali di questo tipo gravano non poco sui bilanci dei diversi dipartimenti di polizia americani e, di conseguenza, sui bilanci delle citta’. 
Un rapporto pubblicato nel 2017 mostra come negli ultimi 30 anni le citta’ abbiano dirottato sempre maggiori quantita’ di soldi nelle tasche dei dipartimenti di polizia. Per esempio, un terzo del budget di citta’ come Chicago, Oakland e Minneapolis viene dato alla polizia. La stessa New York destina ogni anno quasi 5 miliardi di dollari alle forze dell’ordine.
Questi aumenti sono assolutamente ingiustificati considerando che i dati raccolti in questi ultimi decenni continuino a mostrare come le citta’ americane stia diventando sempre piu’ sicure. 


Anche questa settimana parliamo di Amazon. La scorsa settimana infatti Tim Bray, uno dei vice-presidenti ad Amazon, si e’ dimesso per protestare contro il comportamento dell’azienda durante quest’emergenza. In un post pubblicato sul suo blog personale, Bray racconta come gli avvenimenti delle ultime settimane lo abbiano convinto a prendere questa decisione. Nel post cita il caso dei due ingegneri, Emily Cunnigham e Maren Costa, licenziati per aver denunciato le pericolose condizioni di lavoro nei magazzini dell’azienda. Nel messaggio di denuncia non dimentica di nominare i quattro lavoratori finora licenziati da Amazon per aver organizzato le proteste che nelle scorse settimane hanno bloccato alcuni magazzini e definisce la decisione dell’azienda come un’azione “codarda” (nel post use il colortio termine “chichenshit”).
Le dimissioni di Bray arrivano nella stessa settimana in cui l’azienda ha annunciato di aver guadagnato qualcosa come 33 milioni di dollari all’ora nei primi tre mesi dell’anno 


Nelle precedenti corrispondenze abbiamo parlato di come questo virus abbia colpito soprattutto le comunità di colore. Nelle ultime settimane, i media americani hanno cominciato a parlare della devastazione che questa emergenza sta causando in particolare tra i nativi americani. E’ inutile sottolineare qui come la storia tra gli Stati Uniti e i nativi americani sia una storia di violenza e trattati non rispettati. Una storia che spiega come mai per esempio il numero per capita di persone infette nella Nazione dei Navajo sia inferiore solo a quello registrato a New York e New Jersey, le due aree più colpite dal virus. La nazione dei Navajo e’ un territorio di quasi 70 km quadrati che si estende tra gli stati dello Utah, Arizona e New Messico. Qui si sono registrati piu’ di 2700 casi con almeno 88 persone morte per il virus. I numeri dovrebbero essere ben peggiori se si considera che il 40% delle abitazioni e’ senza acqua corrente e alcune famiglie sono costrette a percorrere piu’ di 240 chilometri per fare la spesa.  A questo si aggiunge che gli aiuti dal governo federale sono stai inviati con piu’ di 6 settimane di ritardo e solo dopo una denuncia ufficiale presentata dai Navajo. 



Concludiamo questa corrispondenza con l’ennesima storia di violenza bianca nei confronti di un Afro-americano colpevole di essere semplicemente nero. UNa notizia che il virus ha fatto passare un po’ in secondo piano. Il 23 Febbraio, Gregory and Travis McMichael hanno ucciso il 25nne Ahmaud Arbery in un sobborgo in Georgia. I due uomini si sono giustificati sostenendo che fossero convinti che il giovane fosse colpevole di alcuni furti avvenuti nei giorni scorsi nel loro quartiere e per questo motivo si sono armati e hanno cominciato a seguire il Ahmaud il quale invece stava semplicemente completando la sua usuale corsa quotidiana. Dopo un breve litigio, I due uomini bianchi hanno sparato al giovane uccidendolo sul colpo. Secondo la loro testimonianza, l’uccisione del giovane sarebbe state un gesto di legittima difesa in quanto Ahmaud avrebbe attaccato uno dei due uomini per primo. Ma un video pubblicato su Internet alcuni giorni fa smentirebbe questa versione dei fatti. Solamente con la pubblicazione del video e con una grossa mobilitazione, la polizia ha deciso di arrestare i due uomini con l’accusa di omicidio. Numerosi attivisti hanno sottolineato come il fatto uno dei due assassinil fosse un ex poliziotto spiegherebbe come mai la polizia ci abbia messo cosi tanto ad arrestare i due uomini. 

Il virus sta trasformando gli Stati Uniti ma certo non lo sta facendo meno razzista.