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Black Lives Matter

(R)Esistere

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Quarta puntata, della Stagione 24/25, di Militant Dub Area sul 87.9 di Radio Onda Rossa.

La Babylon pressure ci costringe ancora a portare avanti una nuova puntata con la ciurma ridotta ma per fortuna abbiamo avuto degli amici che sono venuti a trovarci allo studio di Via dei Volsci.

Durante la prima ora abbiamo commentato la manifestazione per la Palestina svolta il sabato 5 ottobre al piazzale Ostiense nonostante il divieto della Questura di Roma.

Poi, con la presenza di Fax e Pitt outta Lion's Way Sound System, abbiamo ricordato ancora a Jojo Tewelde con alcune testimonianze della giornata organizzata da Black Lives Matter Roma all'ExSnia. E per finire, i fratelli di Lion's Way ci hanno regalato le loro selections per chiuddere in bellezza.

Buon ascolto!

 

La Playlist:

BARABBAS INTRO:

Stevie Wonder - Master Blaster (Jamming)
Welton Irie - Mr. Hornsman
Linton Cooper - You'll get your pay

Tenor Youthman - Warmonger
Robert Lee - Wondering
Rdh Hi Fi feat. Danman - Fascism is on the rise

LION'S WAY SELECTIONz:

Galas - Musical riot
Chazbo & Jah 93 - Holy mountain
Scientist & Hempress Sativa - Rock It ina dub

Trinity - Freedom style
Junior Roy - Babylon a pass
Mafia & Fluxy - Crazy ballhead dub
The Bush Chemists - Some people dub
Jah Shaka - Creation dub (Mad Professor)
Dubcreator feat. Echo Ranks - Wheepin & mournin
Dubcreator feat. Echo Ranks - Wheepin dub
Pablo Gad meets Conscious Sounds - Technology
Vibronics - Jaguar dub

 

6 ottobre iniziativa di BLM: Sport, razzismo e cittadinanza con Jojo nel cuore

Data di trasmissione
Durata 17m 15s

Con una compagna di Black Lives Matter Roma parliamo dell'iniziativa prevista per questa domenica 6 ottobre al CSOA Ex Snia (via Prenestina 175). Quattro anni di BLM con Jojo nel cuore.

Josef Yemane Tewelde, "Jojo" per tuttə noi, avrebbe compiuto gli anni il 6 ottobre prossimo.
Il vuoto che ha lasciato è gigantesco e il dolore per la sua perdita e' ancora enorme, ma gli ideali di lotta che ha seminato in tutti i suoi anni e ambiti di militanza, continuano a germogliare e a crescere. Per questo, come B.L.M. Roma, Lokomotiv Prenestino e SNIA vogliamo continuare a tracciare il solco ricordandolo e celebrando la sua figura di "Partigiano dei tempi moderni".
Domenica 6 ottobre a partire dalle 13:00, con una giornata di attività ed incontri all’insegna dello sport e dell’antirazzismo.
Ma non solo : l’intersezionalità delle lotte era il punto cardine dell’impegno di Josef.
Dalla cittadinanza ai canali di ingresso sicuri, dallo smantellamento dei C.P.R. alla lotta a un colonialismo rimosso e a un retaggio culturale post-coloniale, con cui l'Italia non ha mai voluto fare i conti, dalle lotte con i movimenti per il diritto alla Casa, fino alle discriminazioni di genere.
Da quì dobbiamo ripartire insieme, con la voglia di dare seguito e linfa a tutti questi percorsi.
La giornata del 6 ottobre vuole essere l’occasione per riprendere le lotte di Black Lives Matter Roma, iniziate 4 anni fa che portarono milioni di persone ed associazioni a riempire le piazze di tutto il mondo, comprese quelle italiane e romane. Il razzismo sistemico e la pervasività delle discriminazioni razziali sono ancora presenti, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, cosi' come in Italia.
Discriminazioni e privazioni che si realizzano anche in ambito sportivo, e che ricadono su tantə, troppə atletə, che a differenza dei loro coetanə, non vengono consideratə italianə, precludendo loro il diritto allo sport, allo svago, alla salute.
 
Programma della Giornata:
Dalle ore 13:00, 1° Trofeo Basket 3 vs 3 “Josef Yemane Tewelde", al “Quadrato” del Parco delle Energie (iscrizioni aperte).
DJ Set con DJ Aimé, DJ Tommy the Rebel,Lion’s way e Joawels.
Interventi con open mic.
 
Alle 16:30 si terrà una tavola rotonda su tema “Sport, Razzismo e Cittadinanza”, un momento di dibattito e confronto, moderato da Mohamed Abdalla Tailmoun.
Durante la giornata sarà allestita anche una mostra fotografica e un punto informativo sui Centri di Permanenza e Rimpatrio (C.P.R.), a cura della Rete Stop CPR Roma.
Cucina sociale resistente aperta tutto il giorno di OSAI (Osteria degli Scuppiati Anticapitalista Itinerante).
 
Alle 19:00 Aperitivo con Acoustic live di SYMO.
 
A partire dalle 20:00: Concerto Black Militant Hip hop con Amir Issaa, Braders, Diamante, Yohara, Laboratorio Hip hop meticcio.
 
Il ricavato dell’evento andrà a sostegno della famiglia, in particolare a "Mamma Zaid" la madre di Jojo, che necessità quanto più possibile di affetto, supporto e assistenza medica.
Seguiteci sui nostri social Facebook e Instagram per restare aggiornati sull’evento!
Per informazioni vi invitiamo a scrivere a: blmroma.2020@gmail.com
 
“CONTRO OGNI FRONTIERA CREIAMO PONTI, CON JOJO SINDACO SEMPRE CON NOI”
 
“FREE PALESTINE”
 

Jojo e Jack lottano insieme a noi

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Terza puntata, della Stagione 24/25, di Militant Dub Area sul 87.9 di Radio Onda Rossa.

Puntata completa di contenuti nonostante la ciurma al ridotto. Durante la prima ora abbiamo commentato il Ddl Sicurezza con il quale il governo cerca di restringere il diritto alla protesta. Abbiamo anche ricordato a Giacomo, compagno del Centro Scociale Rivolta, ucciso mentre cercava di aiutare a una donna che stava subendo una rapina.

Nella seconda metà abbiamo presentato alcune nuove produzione che ci hanno mandato gli amici di Rebel Beat. In questo caso, tre diversi remixes di London Calling, il clasico pezzo di The Clash. Poi abbiamo parlato con un compagno di Black Lives Matters Roma per ricordare a Jojo Tewelde e parlare della giornata per i quattro anni di Black Lives Matter Roma che si terrà al C.S.O.A. ExSnia la domenica 6 ottobre.

Per concludere come sempre, il nostro Barabbas ci ha accompagnato verso la fine della puntata con le sue selections.

Buon ascolto!

 

La Playlist:

Wailing Souls - A day will come
The Gladiators - No wrong idea
Israel Vibration - Jailhouse rocking

Earl Sixteen - Malcom X
Al Campbell - Bad boy
Lloyd Parks - Slaving

Rebel Beat – London Calling – The Clash Remix
Rebel Beat – London Calling Dubcut 1 (Marco Isla dub mix) – The Clash Remix
Rebel Beat – London Calling Dubcut 2 (Son Rob dub mix) – The Clash Remix

Junior Byles - Beat down Babylon
Yellowman & Fathead - Bait a bait
Ranking Dread - Love & Devotion

Jobba - Voice of the people
Orville Smith & Riz All Stars - Builders temple
Baracca Republic - MUA!
Dan Man - Run from trouble
Dubharp - Militant
Jah Version - Credentials

 

Cittadinanza, diritti e linguaggio

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Black Lives Matter Roma in collaborazione con Rete G2 - Seconde Generazioni, ActionAid, Amnesty International Lazio, Associazione 21 Luglio, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Grande come una città, Gruppo Melitea hanno promosso una mobilitazione questo mercoledì 2 giugno 2021 dalle ore 16:00 in Piazza Bocca della Verità per denunciare come la mancata applicazione dell’art. 4 della legge n.91 del 5 febbraio 1992, che sancisce la possibilità di acquisire la cittadinanza per i/le neomaggiorenni natə in Italia da genitori stranieri, ed i successivi decreti attuativi impediscano a tantə giovani ragazzə stranieri di diventare cittadinə del Paese in cui sono natə e cresciutə fino all’età di diciotto anni.

Nel Redazionale di Radio Onda Rossa abbiamo sentito diversi interventi dalla piazza Bocca della Verità.

USA: ad un anno dalla morte di George Floyd

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Durata 4m 48s

Ad un anno dalla morte di George Floyd in molti si stanno domandando se veramente gli Stati Uniti stiano finalmente cambiando.

Di certo la polizia non ha cambiato di molto il suo comportamento considerando che durante il processo a Derek Chauvin, gli Stati Uniti hanno registrato una media di tre persone uccise dalla polizia al giorno.

Ma in questi mesi, la stampa non ha fatto altro che parlare della morte di George Floyd come di un evento che ha profondamente segnato l’anima degli americani. “Racial reckoning” come dicono qui negli Stati Uniti.

La verita’ e’ che questa espressione e’ apparsa sui giornali americani negli anni 60’s - quando la polizia bianca del sud manganellava dimostranti di colore scesi in strada per difendere il diritto al voto e ad una vita dignitosa. E’ apparsa di nuovo negli anni 70’s -quando le famiglie bianche residenti nei sobborghi delle ricche città del nord si sono opposte all'ultimo disperato tentativo del governo federale di integrare le scuole. Ed è apparso ancora negli anni 80’s - quando organizzazioni neo-naziste uccidevano commentatori radiofonici di origini ebree e facevano esplodere bombe nei palazzi federali. Ed è stato usato ancora negli anni 90’s -quando il video del  pestaggio di Rodney King fece il giro del mondo.

La dinamica e’ sempre la stessa, un evento drammatico scuote la società bianca americana, politici e mainstream media solennemente denunciano le radici profondamente razziste di questo paese e poi tutto piano piano viene dimenticato, fino a quando un nuovo evento drammatico fa ricominciare tutto da capo.

Questa volta, però, sembrava diverso. Le proteste scoppiate subito dopo la morte di George Floyd sono state salutate dalla stampa americana come la più larga e multirazziale mobilitazione nella storia degli Stati Uniti. Le immagini sembravano dimostrare che quel ginocchio di Derick Chauvin premuto sul collo di Floyd per più di nove minuti era troppo anche per l’america bianca.

Eppure un recente sondaggio sembra suggerire che il supporto dei bianchi americani per il movimento Black Lives Matter stia velocemente evaporato. E questo lento declino sembra spiegare come mail il cambiamento, che sembrava inevitabile l’estate scorsa, ora non e’ piu’ cosi scontato.

Per esempio la campagna Defund the Police che la scorsa estate aveva dominato le primarie democratiche e che alcuni membri del partito avevano indicato come la vera causa dietro i deludenti risultati elettorali, ha registrato -se si escludono alcune eccezioni - una brusca frenata.

Uno studio condotto l’anno scorso da Bloomberg City Lab che ha preso in considerazione il bilancio di 34 tra la piu’ grandi citta’ degli Stati Uniti ha concluso che in media la riduzione del budget dei vari dipartimenti di polizia e’ stato meno dell’1%. Una percentuale irrisoria se si considera che queste citta’ sono state forzate a degli ingenti tagli dovuti agli effetti dei vari lockdown anti-Covid. Nonostante le proteste della scorsa estate e le difficili condizioni economiche dovute alla pandemia, la maggior parte delle città considerate in questo studio continuerà a devolvere più di un quarto del loro bilancio alla polizia.

Spesso le autorità cittadine hanno respinto le richieste del movimento facendo leva su dei dati che indicano un aumento della criminalità in quasi tutte le maggiori città americane. Inutile sottolineare che quelle statistiche stanno proprio a dimostrare il fallimento di quelle politiche che vedono nella polizia l’unica soluzione a problemi che sono in realtà di natura sociale ed economica.

Il movimento dietro alle proteste per la morte di George Floyd rivendica però delle vittorie importanti. Se e’ vero che i tagli ai bilanci della polizia non sono stati così ingenti, sicuramente hanno interrotto un trend che aveva visto quegli stessi bilanci raddoppiare nel giro di pochi anni.

Ancora più importante e’ il fatto che quelle proteste hanno radicalmente cambiato il dibattito politico americano. Il fatto che Biden abbia deciso di ricordare il primo anniversario dalla morte di George Floyd invitando la sua famiglia alla Casa Bianca e’ la dimostrazione dell’enorme valore simbolico di questa tragedia.

Certo Biden spera di poter usare questo evento per convincere il congresso ad approvare una limitate riforma della polizia e mettere così fine ad una questione che sta creando non poche tensioni all’interno dei Democratici. Ma le proteste della scorsa estate hanno messo in chiaro il fatto che l’obiettivo non e’ riformare le forze dell’ordine, bensì ri-immaginare il significato stesso del concetto di sicurezza.

Il fatto che non esista testata giornalistica in America che in questi mesi non abbia parlato della campagna defund the police, o non abbia intervistato un’attivista impegnata nella campagna per l’abolizione del carcere, o che non abbia recensito un libro dedicato all razzismo nelle istituzioni americane dimostra il successo che questo movimento ha avuto nel dettare una nuova agenda politica.

Infine la vittoria più importante ottenuta da questo movimento e’ stata quella di aver creato una nuova e più salda alleanza tra le varie comunità di colore. Il movimento che e’ sceso in piazza per protestare l’uccisione di Gorge Floyd e’ lo stesso movimento che negli ultimi mesi si e’ mobilitato in supporto all comunita’ asiatica vittima di attacchi razzisti durante la pandemia o che la scorsa settimana e’ scesa in piazza in solidarieta’ con il popolo palestinese. In una società dove il potere politico ed economico e’ nelle mani dei bianchi, la solidarietà tra comunità di colore e’ cruciale.

E allora ad un anno dalla morte di George Floyd si puo’ dire che gli Stati Uniti un po’ sono cambiati grazie soprattutto alla forza di questo un movimento. 

Elezioni USA: un commento con Silvia Baraldini

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Durata 1h 55m 46s

Dopo giorni di scrutinio, arriva infine il nome del nuovo Presidente degli Stati Unti: il democratico John Biden. Non ha sfondato come il Partito Democratico sperava non raggiungendo la maggioranza al Senato che rimane in mano ai Repubblicani. Donald Trump esce di scena con delle elezioni che hanno visto una partecipazione elettorale enorme, riportando la popolazione statunitense alle urne. Un dato sembra subito chiaro, il movimento Black Lives Matter ha portato gli americani a schierarsi riguardo una controversia che va avanti ormai da più di 150 anni e che dopo la guerra civile ancora non si è risolta: i diritti degli afroamericani.

Ne parliamo con Silvia Baraldini.

Black Lives Matter anche da noi? Una conversazione con Angelica Pesarini

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Durata 34m 1s

Anche l’Italia deve confrontarsi con la potenza del movimento antirazzista, mettendo in tensione concetti e pratiche che i bianchi danno per assodati. Ne discutiamo con Angelica Pesarini ricercatrice afrodiscendente che su questo ha pubblicato un lungo articolo su Jacobin Italia.

Uno sguardo sugli USA: con noi Alessandro Portelli

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Durata 22m 15s

Alessandro Portelli, docente di letteratura angloamericana alla Sapienza, analizza con noi le implicazioni e gli scenari del Black Lives Matter. 

Sempre di Alessandro Portelli, dal Manifesto: 

"C’è qualcosa di mitologico nell’immagine del poliziotto col ginocchio piantato sul collo della vittima a Minneapolis – San Giorgio che calpesta il drago sconfitto, la divinità purissima che schiaccia il serpente, perfino il cacciatore bianco sull’elefante o il rinoceronte ucciso in safari… Sono figure della vittoria della virtù sulla bestia, dello spirito sulla natura, della civiltà sul mondo selvaggio … E del bianco sul nero. Così deve essersi sentito il poliziotto Dereck Chauvin, domatore sul corpo prostrato di George Floyd in mezzo alla strada, davanti agli occhi di tutti.

Ma in questa immagine il senso si capovolge: l’animale è quello che sta sopra e calpesta, e la vittima calpestata è quella che invoca il più umano e insieme il più simbolico dei diritti: il respiro, vita del corpo e soffio dello spirito. A Minneapolis, la civiltà è la bestia, l’ordine è selvaggio, la legge è l’arbitrio, l’umanità è soffocata e soppressa. Jack London lo chiamava il Tallone di ferro; stavolta è un ginocchio, a New York al collo di Eric Garner era un braccio; ma la sostanza è la stessa.

Anche per questo in strada non sono scesi solo i fratelli e le sorelle afroamericani, i più prossimi alla vittima, ma anche tanti di quelli – bianchi e latini, uomini e donne – che sempre più si sentono sul collo il ginocchio mortale della disuguaglianza crescente, della precarietà della sussistenza, della perdita dei diritti, dello svuotamento della democrazia. Come il drago, il rettile, la selvaggina nelle icone, questi esseri umani non hanno diritto di parola nell’agiografia vittoriosa del potere. Il respiro spezzato di George Floyd e di Eric Garner è anche una figura della loro voce negata.

E’ una parte di America senza diritto di parola, senza voto e senza rappresentanza quella che è esplosa in tutto il paese. Lo stato è in mano a forze che lo pensano come potere di dominio senza responsabilità di governo; quando il paese diventa ingovernabile sanno solo minacciare sparatorie ed evocare “cani feroci” da scagliare addosso ai manifestanti – salvo andarsi a nascondere nel bunker come di un ditta torello spaventato dai suoi stessi sudditi. Peraltro, la vigliaccheria è funzionale anche a un consapevole disegno politico: drammatizzare la situazione, accentuare il conflitto, radicalizzare le aree di consenso su cui si basa il sostegno elettorale di Trump, far dimenticare la disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria, cogliere l’occasione per criminalizzare il dissenso. C’è un’intenzionale parallelismo fra il gesto di Trump di scendere le bunker e quello del vicepresidente Cheney dopo l’11 settembre: come dire che la crisi di adesso è la stessa di allora (e i “terroristi” sono gli “antifa”) e legittima la stessa politica securitaria, le stesse violazioni e sospensioni della democrazia di allora.

Né l’alternativa possono essere le parole flebili, convenzionali, di prammatica (e soprattutto: parole, in un momento che avrebbe bisogno di azioni, di gesti significativi) che sono venute da Biden e del partito cosiddetto democratico, che peraltro di scheletri nell’armadio ne ha fin troppi. Fino a una settimana fa, la più plausibile candidata democratica alla vicepresidenza era Amy Klobuchar, ex pubblico ministero della contea di Minneapolis, che in quanto tale aveva lasciato correre, e anzi appoggiato, l’aggressività endemica della polizia ed era addirittura accusata di aver lasciato indenne in un caso precedente lo stesso Derek Chauvin. Anche se è ormai chiaro che non sarà lei la prescelta, il solo fatto che si fosse pensato a lei per la vicepresidenza (e quindi in futuro addirittura per una possibile candidatura presidenziale) ci dice quanto questi temi fossero estranei alla visione del gruppo dirigente democratico.

La sola opposizione in questo momento sta nelle strade. La “violenza” non piace a nessuno; ma se i senza parola non avessero alzato la voce Dereck Chauvin l’avrebbe fatta franca per l’ennesima volta come tutti gli altri; e se non avessero parlato con il fuoco nelle strade le istituzioni si sarebbero limitate a licenziarlo ma non l’avrebbero, troppo tardi, incriminato. Tutti applaudivano quando un grande scrittore come James Baldwin, sugli echi biblici di un grande spiritual, ammoniva: la prossima volta il fuoco. Bene, la prossima volta è questa, il commissariato di polizia a Minneapolis brucia davvero. E adesso che le parole di Baldwin diventano fatti, tutti a stigmatizzare la violenza come se non li avessero avvertiti prima, invece di domandarsi che cosa potevamo fare perché non fosse ancora una volta inevitabile e che cosa dovremo fare, quando i fuochi sembreranno spegnersi, perché non sia necessario che tornino a divampare un’altra volta.

Per fortuna, nelle strade d’America c’è stato anche il gesto concreto di un’altra opposizione, che segna davvero una novità storica – e viene da gruppi imprevisti di lavoratori. Hanno cominciato gli autisti degli autobus di Minneapolis, rifiutandosi di potare in carcere i manifestanti arrestati. Ma il messaggio più potente viene propria da dentro quello sarebbe il campo avverso: sono i poliziotti che si uniscono ai cortei dei manifestanti, che solidarizzano con la protesta, che dicono basta alla solidarietà a priori con i propri colleghi picchiatori e assassini. Mi colpisce che gli episodi più clamorosi vengano da realtà con un forte potere simbolico: Camden, New Jersey (città di Walt Whitman, poeta della democrazia, e periferia disastrata), Flint, Michigan (la città operaia della General Motors e Michael Moore, avvelenata dagli scarichi industriali nelle acque col sillenzio del governo federale), e soprattutto Ferguson, Missouri, la città dove l’assassinio di Michael Brown e la repressione militare della protesta hanno aperto nel 2014 una nuova fase che culmina (per ora) con gli eventi di oggi. A Ferguson, la polizia era armata come un esercito di occupazione, e addestrata a pensare ai manifestanti, letteralmente, come “nemici”. Che poliziotti di Ferguson si inginocchino in omaggio a un afroamericano ammazzato da uno come loro significa che c’è un limite a tutto, che questo limite è stato oltrepassato, e che qualche coscienza comincia a cambiare. Forse non basta, ma non era mai successo prima. Forse, adesso che il drago si scuote, anche San Giorgio comincia ad avere qualche dubbio."

 

USA: attivista nera uccisa

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Durata 11m 20s

Sadie Roberts-Joseph, un'attivista della comunità nera di Baton Rouge (Louisiana) è stata uccisa. Fortissimi i sospetti che l'omicidio sia opera di suprematisti bianchi.

Una compagna ci racconta chi era Sadie, il suo coinvolgimento nelle rivolte di Ferguson, e le violenze e gli omicidi dei gruppi suprematisti bianchi contro militanti di Black Lives Matter.