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In USA la più grande manifestazione antisionista di Jewish Voices for Peace

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Alla prima bomba caduta su Gaza, il movimento pro-Palestina ha invaso immediatamente le strade e piazze delle maggiori città Americane - New York, Chicago, San Francisco, Los Angeles - per chiedere a gran voce al governo americano e alla presidenza Biden di non essere piu’ complice di una guerra che ha sempre piu’ il sapore di un vero e proprio genocidio. 

Ogni anno gli Stati Uniti forniscono ad Israele aiuti militari per un valore di quasi 4 miliardi di dollari. A questi se ne devono aggiungere altri 14 promessi proprio ieri da Biden in un discorso trasmesso a reti unificate, al ritorno da un viaggio lampo proprio in Israele. Cifre spaventose, che sembrano confermare la storica parzialita’ con cui gli Stati Uniti hanno da sempre affrontato la questione palestinese.  

Eppure in queste settimane qualcosa sembra essere cambiato, almeno nella societa’ americana e sicuramente nella comunità ebraica. In particolare nell’ultima settimana, le due piu’ importanti organizzazioni ebraiche con orientamento anti-sionista sono state protagoniste di importanti azioni di protesta in supporto della popolazione di Gaza.

Fondata nel 1996, Jewish Voices for Peace e’ la piu’ grande organizzazione ebraica anti-sionista and insieme a If not Now (un’altra organizzzazione ebraica anti-sionista) hanno organizzato due giorni fa la piu’ imponente azione di attiviste e attivisti ebrei in supporto dei Palestinesi nella storia degli Stati Uniti. Prima hanno circondato la Casa Bianca, poi hanno occupato l’atrio del Congresso Americano mentre alcune delegazioni hanno incontrato alcuni parlamentari per chiedere un immediato cessate il fuoco. Mai si era vista una tale mobilitazione della comunita’ ebraica in supporto del popolo palestinese. 

Ancora prima delle recenti azioni, Jewish Voices for Peace si era già impegnata in importanti campagne che avevano l’obiettivo di mettere in discussione i legami politici/economici esistenti tra gli Stati Uniti e Israele. Per esempio negli scorsi mesi, l’organizzazione aveva portato avanti la campagna No Tech for Apartheid chiedendo l’immediata interruzione del Progetto Nimbus. 

Il progetto consiste in un contratto di quasi un miliardo di dollari che lo Stato di Israele ha firmato con Google e Amazon per lo sviluppo di tecnologie che verranno usate per sorvegliare e opprimere il popolo Palestinese. La campagna aveva due obiettivi. Il primo era quello di contattare i maggiori azionisti di queste due compagnie e convicerli a presentare una risoluzione in cui si condannava l’apartheid israeliano. Il secondo obiettivo era quello di aiutare lavoratrici e lavoratori dei due giganti tech ad organizzare una giornata di azioni per protestare contro il contratto. Il risultato e’ stato una serie di azioni distribuite in 4 citta’ americane che hanno coinvolto più di mille tra lavoratrici e lavoratori.

Jewish Voices for Peace ha avuto anche un ruolo fondamentale nel sottolineare il legame tra le varie polizie americane e le forze militari israeliane. L’organizzazione ha infatti portato avanti un’ imponente campagna contro il programma di addestramento tra le forze di polizia statunitensi e quelle israeliane. Le loro azioni miravano ad evidenziare il legame tra il tipo di addestramento che la polizia statunitense riceveva dai colleghi israeliani e la crescente militarizzazione e brutalità delle forze dell’ordine americane.

Quest’ ultima campagna e’ secondo me molto importante perché ci permette di capire come siamo arrivati a questo punto. Fino ad ora, gli organi di informazione e la politica istituzionale era sempre riuscita a presentare la comunita’ ebraica come monolitica nel suo supporto ad Israele. Questa volta invece assistiamo ad una spaccatura che rende molto difficile, soprattutto per il partito Democratico, utilizzare il lutto degli ebrei come giustificazione per il continuo aiuto militare e politico ad un regime che pratica un apartheid spietato nei confronti del popolo palestinese. 

Cominciamo col dire che storicamente una larga parte della comunità ebraica negli Stati Uniti ha sempre avuto un ruolo molto importante nei movimenti radicali dal basso. Questo e’ in parte dovuto alle migrazioni tra la fine dell'800 ed inizio ‘900 di molti ebrei - soprattutto dai paesi dell’Europa dell’Est- con forti simpatie socialiste, comuniste e anarchiche. Questa tradizione non si e’ mai pero’ tradotta in un’aperta critica alle politiche israeliane.

Negli ultimi 10 anni, però, il movimento dal basso americano si e’ contraddistindo per la sua capacita’ di creare coalizioni intorno a temi che hanno permesso di creare una piu’ larga piattaforma politica. Nel 2016, per esempio, i leader e membri di varie tribù di nativi americani hanno portato avanti una dura protesta contro la costruzione di un oleodotto che sarebbe dovuto passare all’interno della riserva Standing Rock. La protesta ricevette il supporto di molte realta’ antagoniste americane le quali riuscirono a mobilitare le persone mostrando come la lotta dei nativi americani contro l'oleodotto non era solamente una lotta ambientalista, ma anche una lotta anti-colonialista con le tribu’ dei nativi pronte a rivendicare il diritto di riprendersi e proteggere le loro terre. Anche la dura repressione che quel movimento subì fu usata dal movimento per collegare le proteste dei nativi americani con la ribellione che le comunita’ nere stavano portando avanti contro la brutalita’ poliziesca. Ecco che allora questi due movimenti, il movimento dei nativi americani e quello del Black Lives Matter si ritrovano insieme in una lotta che ha molti punti in comune.

 E’ a questo punto che il linguaggio usato per descrivere la violenza razzista della polizia si fonde con la retorica anti-colonialista dei nativi americani. A questo si deve aggiungere un terzo elemento rappresentato dal profondo lavoro che i gruppi anti-razzisti hanno fatto all’interno di molte comunita’ bianche (quello ebree incluse) per far capire che i bianchi avevano un importante ruolo in questo progetto politico. Il punto è che lo stato di polizia razzista americano e lo sterminio e marginalizzazione dei nativi americani non esisterebbero senza il supporto attivo dei bianchi.  

E’ in questo contesto che molti membri della comunità ebraica cominciano a vedere come il rapporto tra gli Stati Uniti e lo Stato di Israele si basi su una comune visione politica che negli Stati Uniti aveva generato i movimenti di protesta di cui loro gia’ facevano parte.

Gli stretti rapporti tra la polizia americana e l’esercito israeliano e gli insediamenti illegali dei coloni israeliani vengono ora letti attraverso le lenti politiche del movimento dei Black Lives Matter e dei nativi americani. Ecco allora la realizzazione che la creazione di un forte movimento ebreo anti-sionista rappresentava un importante contributo ad una lotta che a questo punto ha assunto una dimensione internazionalista.

Le storiche ed eccezionali azioni di protesta a cui molti ebrei americani hanno preso parte in questi giorni devono allora essere lette come un grande successo di tutto il movimento radicale americano. Queste proteste segnano un importante cambiamento delle dinamiche politiche interne agli Stati Uniti rispetto alla questione palestinese.

L’impossibilta’ di tacciare il movimento sceso in piazza in supporto dei Palestinesi di anti-semitismo, costringera’ il partito Democratico ha fare una riflessione seria su come comportarsi ed esprimersi, soprattutto alla vigilia di una cruciale campagna elettorale che culminera’ con le elezioni presidenziali nell’autunno del 2024. Non e’ un caso allora che già 16 parlamentari democratici abbiano deciso di sponsorizzare una mozione che chiede l’immediato cessate il fuoco. O che piu’ di 400 membri mussulmani ed ebrei dello staff del partito democratico abbiano firmato una lettera aperta in cui si chiede ai parlamentari di fare di piu’ per il raggiungimento del cessate il fuoco e di una soluzione politica che risolva veramente la quesitone palestinese.

Ovviamente la reazione dell’ala più conservatrice della comunità ebraica americana non si è fatta attendere. Per esempio nelle ultime settimane, importanti benefattori delle maggiori università americane hanno fatto pressione perché nei campus fossero vietate qualsiasi tipo di manifestazione pro-Gaza e chiesto una piu’ aperta condanna dell’attacco condotto dai militanti di Hamas da parte dei rettori. Ma è quando si aprono i maggiori giornali americani e si ascoltano i principali network che si avverte come il linguaggio stia lentamente cambiando.

Ancora una volta bisogna guardare alle lezioni imparate durante le proteste del movimento Black Lives Matter. In quei giorni, gli attivisti bianchi hanno imparato che e’ importante usare il loro privilegiato accesso ai media per amplificare la voce delle comunita’ nere perche’ la societa’ americana ascoltera’ e valutera’ quegli argomenti in maniera diversa semplicemente perche’ a parlare e’ un bianco. 

In maniera simile, in questi giorni i giornali, le radio e le televisioni americane hanno dato spazio - anche se a volte limitato - a voci della comunità ebraica che apertamente criticavano le politiche israeliane. E’ facile tacciare un arabo di antisemtismo. Piu’ difficile e’ zittire migliaia di ebrei che chiedo a gran voce la fine del genocidio palestinese.

Certo il recente viaggio di Biden in Israele sembra suggerire che la politica istituzionale sia sorda rispetto alle richieste del movimento sceso in piazza, ma la sensazione che si ha guardandosi intorno e’ che in questi giorni qualcosa sia veramente cambiato.

Università USA in sciopero

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In questa corrispondenza andiamo in California dove un dottorando ci fa una panoramica del sistema universitario californiano anche a fronte dello sciopero indetto dal sindacato UAW (United Auto Workers).
Si parla delle rivendicazioni avanzate in particolare sui quattro punti chiave che hanno portato dottorande, dottorandi e tutte le altre categorie di lavoratori e lavoratrici presenti nelle università a scioperare.

USA: si è deciso l’esito di ben 132 referendum

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Come spesso accade, durante le elezioni americane i cittadini sono chiamati a votare anche su una serie di referendum che possono avere un importante impatto sulla società. Lo scorso 8 Novembre si e’ deciso l’esito di ben 132 referendum distribuiti in 37 stati. Alla fine del 2022 gli Americani si saranno espressi su ben 140 referendum.

In queste ultime elezioni, i media si sono soprattuto concentrati sui 5 referendum dedicati alla questione aborto. In tutti e cinque i casi, il voto ha confermato che la maggioranza dei votanti vuole mantenere l’accesso all’aborto legale. In Michigan, Vermont e California il diritto alla libertà riproduttiva e’ diventato costituzionale. Mentre in Montana e’ stata sconfitta la proposta di riconoscere lo statuto di persona al feto. Per finire, in Kentucky non e’ stato approvato un emendamento alla costituzione dello stato che avrebbe negato il diritto all’aborto. A questi cinque referendum bisogna aggiungere quello votato in Kansas lo scorso Agosto. Anche in quel caso, la proposta di approvare un emendamento alla costituzione che avrebbe proibito il riconoscimento di un diritto all’aborto e’ stata sonoramente sconfitta. 

Un’altra questione su cui spesso gli americani sono chiamati a votare nei referendum è quella della droga. Non e’ un caso che dei 19 stati in cui l’uso della mariuana a scopo ricreativo e’ legale, 13 l’abbiano legalizzato proprio attraverso questo tipo di referendum. Quest’anno si e’ votato in cinque stati, ma solo in Maryland e Missouri il referendum e’ stato approvato, mentre in Sud and Nord Dakota e Arkansas i no hanno prevalso. Sempre sulla questione droga, in Colorado e’ passato un referendum che decriminalizza alcune sostanze psichedeliche e approva la creazione di centri dove le persone possono essere assistite mentre assumono queste sostanze. Un simile referendum era stato approvato in Oregon nel 2020. 

Quest’anno sempre in Oregon e’ stato approvato un nuovo referendum che in pratica decriminalizza l’uso personale di qualsiasi droga, incluso eroina e cocaina. Mentre la vendita di queste sostanze è ancora punita con il carcere, le persone sorprese con modiche quantità di stupefacenti rischiano una multa massima di 100 dollari o la visita ad uno dei centri contro la dipendenza. Questi centri verranno in parte finanziati dalle tasse sulla vendita di mariuana - legale sin dal 2014 -. 

Ovviamente non tutti i referendum proposti hanno degli intenti per così dire progressisti. Per esempio in Iowa e’ stato approvato un emendamento alla costituzione che riconosce il diritto a possedere un’arma da fuoco. Mentre in Nebraska e Ohio sono stati passati due referendum che introdurranno nuove regole sull’accesso al voto, chiaramente mirate a limitare il voto delle persone di colore.

Un voto che non ha ottenuto molta pubblicita’ ne’ nei media americani ne’ tantomeno in quelli italiani e’ stato quello che ha portato all’eliminazione di qualsiasi riferimento alla schiavitu’ o lavori forzati come forma di punizione dalla costituzione di 4 stati. Questa non e’ stata la prima volta che si e’ votato su questo argomento. Già nel 2018 in Colorado era stato approvato un simile referendum, mentre in Nebraska e Utah era stato approvato nel 2020. 

La presenza nelle costituzioni di alcuni stati americani di un riferimento alla possibilita’ di forzare qualcuno a lavorare contro la propria volonta’ puo’ essere spiegata con il fatto che questa eccezione e’ contenuta tutt’ora nel 13esimo emendamento della costituzione americana. Approvato nel 1865, subito dopo la fine della Guerra Civile, questo emendamento oltre a segnare la fine - almeno sulla carta - della schiavitu’ negli Stati Uniti, ha anche introdotto un’eccezione contemplando la reintroduzione di questa pratica nel caso di persone condannate per un crimine. Fu proprio grazie a questa eccezione che negli stati del sud la schiavitu’ fu reintrodotta grazie all’approvazione di alcune leggi (le cosiddette Black Codes) che miravano a creare una larga popolazione carceraria di colore che poi poteva essere costretta a lavorare nei campi di quelle stesse persone che prima della guerra civile li avevano costretti in schiavitu’.

Prima del voto di Novembre, si poteva trovare un simile linguaggio nelle costituzioni di ben 20 stati. Nello stato del Vermont questa eccezione va persino oltre. La sua costituzione infatti contempla la possibilita’ di costringere qualcuno alla schiavitu’ anche per il pagamento di un debito o di una multa.

Se da una parte e’ molto difficile ignorare il significato simbolico di questa vittoria, dall’altra non e’ ancora chiaro che tipo di implicazioni avra’ per tutte quelle persone che ogni giorno sono costrette a lavorare in condizioni disumane nelle carceri americane. Come molti esperti hanno sottolineato, le giustificazioni legali con cui gli stati americani forzano le persone incarcerate a lavorare, raramente fanno riferimento a questi emendamenti. Certo e’ che proprio quest’anno il parlamento californiano si e’ opposto all’approvazione di un simile referendum proprio per paura di dover poi garantire alle persone incarcerate lo stipendio minimo che ad oggi in California e’ di 15 dollari all’ora. Per far capire che tipo di contributo economico la popolazione carceraria da’ a questo stato, ricordiamo per esempio che circa il 30% dei pompieri che ogni anno cerca di contenere i devastanti incendi californiani sono persone incarcerate pagate poco più di 37 centesimi all’ora. 

Più in generale, secondo un recente documento pubblicato dall’American Civil Liberties Union, la popolazione carceraria americana produce ogni anno beni per un valore superiore ai 2 miliardi di dollari e garantisce servizi e manutenzione nelle prigioni per un valore annuo di circa 9 miliardi. 

Questi profitti sono garantiti mantenendo la paga media tra i 13 e i 52 centesimi all’ora, con stati come il Texas, la Florida e la Georgia in cui lo stipendio minimo per una persona che lavora in carcere e’ di zero dollari all’ora. E’ chiaro allora che se una persona e’ costretta a lavorare in queste condizioni, la distinzione tra lavoro e schiavitu’ e’ minima. 




 

  

 

  


 

USA: ad un anno dalla morte di George Floyd

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Durata 4m 48s

Ad un anno dalla morte di George Floyd in molti si stanno domandando se veramente gli Stati Uniti stiano finalmente cambiando.

Di certo la polizia non ha cambiato di molto il suo comportamento considerando che durante il processo a Derek Chauvin, gli Stati Uniti hanno registrato una media di tre persone uccise dalla polizia al giorno.

Ma in questi mesi, la stampa non ha fatto altro che parlare della morte di George Floyd come di un evento che ha profondamente segnato l’anima degli americani. “Racial reckoning” come dicono qui negli Stati Uniti.

La verita’ e’ che questa espressione e’ apparsa sui giornali americani negli anni 60’s - quando la polizia bianca del sud manganellava dimostranti di colore scesi in strada per difendere il diritto al voto e ad una vita dignitosa. E’ apparsa di nuovo negli anni 70’s -quando le famiglie bianche residenti nei sobborghi delle ricche città del nord si sono opposte all'ultimo disperato tentativo del governo federale di integrare le scuole. Ed è apparso ancora negli anni 80’s - quando organizzazioni neo-naziste uccidevano commentatori radiofonici di origini ebree e facevano esplodere bombe nei palazzi federali. Ed è stato usato ancora negli anni 90’s -quando il video del  pestaggio di Rodney King fece il giro del mondo.

La dinamica e’ sempre la stessa, un evento drammatico scuote la società bianca americana, politici e mainstream media solennemente denunciano le radici profondamente razziste di questo paese e poi tutto piano piano viene dimenticato, fino a quando un nuovo evento drammatico fa ricominciare tutto da capo.

Questa volta, però, sembrava diverso. Le proteste scoppiate subito dopo la morte di George Floyd sono state salutate dalla stampa americana come la più larga e multirazziale mobilitazione nella storia degli Stati Uniti. Le immagini sembravano dimostrare che quel ginocchio di Derick Chauvin premuto sul collo di Floyd per più di nove minuti era troppo anche per l’america bianca.

Eppure un recente sondaggio sembra suggerire che il supporto dei bianchi americani per il movimento Black Lives Matter stia velocemente evaporato. E questo lento declino sembra spiegare come mail il cambiamento, che sembrava inevitabile l’estate scorsa, ora non e’ piu’ cosi scontato.

Per esempio la campagna Defund the Police che la scorsa estate aveva dominato le primarie democratiche e che alcuni membri del partito avevano indicato come la vera causa dietro i deludenti risultati elettorali, ha registrato -se si escludono alcune eccezioni - una brusca frenata.

Uno studio condotto l’anno scorso da Bloomberg City Lab che ha preso in considerazione il bilancio di 34 tra la piu’ grandi citta’ degli Stati Uniti ha concluso che in media la riduzione del budget dei vari dipartimenti di polizia e’ stato meno dell’1%. Una percentuale irrisoria se si considera che queste citta’ sono state forzate a degli ingenti tagli dovuti agli effetti dei vari lockdown anti-Covid. Nonostante le proteste della scorsa estate e le difficili condizioni economiche dovute alla pandemia, la maggior parte delle città considerate in questo studio continuerà a devolvere più di un quarto del loro bilancio alla polizia.

Spesso le autorità cittadine hanno respinto le richieste del movimento facendo leva su dei dati che indicano un aumento della criminalità in quasi tutte le maggiori città americane. Inutile sottolineare che quelle statistiche stanno proprio a dimostrare il fallimento di quelle politiche che vedono nella polizia l’unica soluzione a problemi che sono in realtà di natura sociale ed economica.

Il movimento dietro alle proteste per la morte di George Floyd rivendica però delle vittorie importanti. Se e’ vero che i tagli ai bilanci della polizia non sono stati così ingenti, sicuramente hanno interrotto un trend che aveva visto quegli stessi bilanci raddoppiare nel giro di pochi anni.

Ancora più importante e’ il fatto che quelle proteste hanno radicalmente cambiato il dibattito politico americano. Il fatto che Biden abbia deciso di ricordare il primo anniversario dalla morte di George Floyd invitando la sua famiglia alla Casa Bianca e’ la dimostrazione dell’enorme valore simbolico di questa tragedia.

Certo Biden spera di poter usare questo evento per convincere il congresso ad approvare una limitate riforma della polizia e mettere così fine ad una questione che sta creando non poche tensioni all’interno dei Democratici. Ma le proteste della scorsa estate hanno messo in chiaro il fatto che l’obiettivo non e’ riformare le forze dell’ordine, bensì ri-immaginare il significato stesso del concetto di sicurezza.

Il fatto che non esista testata giornalistica in America che in questi mesi non abbia parlato della campagna defund the police, o non abbia intervistato un’attivista impegnata nella campagna per l’abolizione del carcere, o che non abbia recensito un libro dedicato all razzismo nelle istituzioni americane dimostra il successo che questo movimento ha avuto nel dettare una nuova agenda politica.

Infine la vittoria più importante ottenuta da questo movimento e’ stata quella di aver creato una nuova e più salda alleanza tra le varie comunità di colore. Il movimento che e’ sceso in piazza per protestare l’uccisione di Gorge Floyd e’ lo stesso movimento che negli ultimi mesi si e’ mobilitato in supporto all comunita’ asiatica vittima di attacchi razzisti durante la pandemia o che la scorsa settimana e’ scesa in piazza in solidarieta’ con il popolo palestinese. In una società dove il potere politico ed economico e’ nelle mani dei bianchi, la solidarietà tra comunità di colore e’ cruciale.

E allora ad un anno dalla morte di George Floyd si puo’ dire che gli Stati Uniti un po’ sono cambiati grazie soprattutto alla forza di questo un movimento. 

USA: ancora sull'uccisione dell'afroamericano Oscar Grant

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Durata 8m 28s

Apriamo questa corrispondenza con una notizia riguardante la morte del giovane afroamericano Oscar Grant, ucciso nel 2009 da un poliziotto del servizio metropolitano che unisce la città di San Francisco alle altre città della baia. Oscar stava tornando a casa dopo aver festeggiato il capodanno a San Francisco quando fu ucciso sulla banchina della stazione di Fruitvale con un colpo alla schiena mentre era a terra ammanettato. La sua morte rappresenta uno dei primi casi di violenza poliziesca diventato virale grazie ad un video catturato da un cellulare e le proteste che ne seguirono crearono le fondamenta di quello che poi diventerà il movimento del Black Lives Matter.

La riapertura del caso segue la pubblicazione di un dossier in cui si sottolinea ancora una volta le responsabilità dei poliziotti nella morte di Grant. In particolare il dossier si sofferma sul ruolo dell’agente Anthony Pirone nel creare le condizioni che portarono alla morte del giovane afroamericano.

Pirone e’ il poliziotto che ammanetto’ Grant sulla banchina e secondo i numerosi video che catturarono l’omicidio mostrano che l’agente colpì ripetutamente Grant al capo anche dopo averlo ammanettato. Pirone inoltra menti’ agli investigatori affermando che Grant tentò ripetutamente di reagire all’arresto, affermazione smentita dai video e dai testimoni. Infine, il dossier sottolinea come l’agente abbia usato un linguaggio razzista e denigratorio durante l’arresto della vittima.

Il documento rivela per la prima volta il fatto che sia Pirone che Mehserle, l’agente che sparò il colpo mortale, avevano a carico numerose denunce per uso eccessivo della forza. In particolare l’agente Mehserle era stato accusato di condotta violenta sei volte nel solo 2008. Un fatto questo che nun fu’ discusso durante il processo che portò alla condanna per omicidio colposo a due anni di prigione, anche se poi l’agente fu rilasciato dopo soli 11 mesi.

La riapertura del caso si concentrerà’ sulla condotta di Pirone e degli altri agenti presenti sulla scena al momento dell’omicidio, ma non potrà riconsiderare la posizione di Mehserle in quanto già condannato per la morte di Grant in via definitiva.

 

Durante la conferenza stampa organizzata dalla famiglia di Oscar Grant, lo zio - conosciuto dal movimento come “Uncle Bobby” - si e’ detto felice di vedere il caso finalmente riaperto,  ma anche preoccupato perché ad 11 anni dalla morte del nipote numerosi reati potrebbero cadere in prescrizione. Su quest’ultimo punto, l’avvocato della famiglia e’ stato molto duro nei confronti del pubblico ministero mettendo in discussione la serietà di questa nuova indagine. Certo e’ che il movimento ha ritrovato nuova linfa negli ultimi mesi e continuerà a chiedere a gran voce giustizia per la morte di Oscar Grant.

 

Intanto continua a crescere la tensione negli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali. Durante il primo dibattito tra i due candidati, Trump non solo si e’ rifiutato di condannare l’estrema destra, ma ha anche invitato i suoi sostenitori a sorvegliare i seggi durante le votazioni di Novembre. Ad una diretta richiesta del moderatore di condannare le violenze dei gruppi di destra come i Proud Boys, Trump ha risposto con l’ambigua frase “Stand back and stand by.” In pratica un invito a prepararsi per il giorno delle elezioni.

 

Ricordiamo che queste elezioni sono le prime da quando il divieto per il Partito Repubblicano di mandare i suoi sostenitori fuori dai seggi e’ stato sospeso da un giudice nel 2018. Il divieto era stato istituito nel 1981, dopo che I Democratici avevano denunciato i Repubblicani di aver pagato poliziotti fuori servizio per intimidire elettori di colore fuori da alcuni seggi in New Jersey. Il divieto era stato riconfermato nel 1987, 1990 e 2004 per poi scadere appunto nel 2018. I repubblicani hanno già detto di voler mobilitare 50 mila sostenitori per controllare le votazioni ai seggi degli stati che risulteranno fondamentali per l’elezione del prossimo presidente. 

 

Tra questi stati c'è lo stato del Michigan dove nei giorni scorsi l’FBI ha arrestato 13 persone legate all’estrema destra con l’accusa di pianificare il rapimento della governatrice democratica Gretchen Whitmer. Nei mesi scorsi alcuni membri di questo commando avevano partecipato alle manifestazioni anti-lockdown che furono organizzate nella capitale dello stato. Durante una di quelle manifestazioni, un gruppo di uomini armati fecero irruzione nell’aula del consiglio durante una seduta. In seguito a quell’azione, numerosi membri del consiglio di Stato del Michigan cominciarono ad andare al lavoro indossando giubbotti antiproiettile.

 

In quei giorni, Trump aveva usato Twitter per criticare duramente la governatrice fino a chiedere, in uno dei suoi classici tweet scritti tutto in maiuscolo, di “liberare il Michigan.” Un tweet che e’ difficile non collegare al tentativo di rapimento sventato in questi giorni. Sono proprio questo tipo di collegamenti che spaventano numerosi studiosi dell’universo eversivo della destra americana. Nei giorni seguenti il dibattito televisivo tra Trump e Biden, membri di diverse milizie hanno cominciato a discutere l’idea di recarsi armati ai seggi elettorali il giorno delle elezioni. 

 

Se e’ vero che stiamo parlando di una piccola minoranza, i numeri non sono da sottovalutare. Secondo il New York Times, negli Stati Uniti ci sarebbero almeno 300 milizie per un totale di circa 20 mila uomini, mentre secondo una lista pubblicata dall’Atlantic il gruppo paramilitare piu’ noto negli Stati Uniti - gli Oath Keepers - conterebbe almeno 25 mila membri di cui almeno due terzi e’ stato o e’ tutt’ora nell’esercito o nella polizia. 

 

A questi numeri bisogna aggiungere individui che si aggregano in gruppi paramilitari temporanei. L’esempio più recente riguarda il gruppo armato recatosi in Kenosha lo scorso 25 agosto dove si stavano svolgendo delle manifestazioni in seguito al ferimento da parte della polizia di Jacob Blake. Secondo le indagini più recenti l’invito a creare il gruppo armato denominato “Kenosha Guard” era apparso su Facebook solamente 13 ore prima che un suo membro, il 17nne Kyle Rittenhouse, uccise due manifestanti e ne ferì un terzo.     

 

Oltre a chiedere ai suoi sostenitori di assediari i seggi elettorali, il partito repubblicano sta usando altre tattiche per impedire agli americani, soprattutto agli americani di colore, di votare. Il governatore repubblicano del Texas ha deciso di rimuovere numerose raccoglitori dove e’ possibile depositare la scheda elettorale nel caso in cui si decida di non recarsi ai seggi o di votare in anticipo. In California, invece, il partito repubblicano ha sistemato in luoghi strategici, per esempio vicino alcune chiese, dei raccoglitori non ufficiali col probabile intento di confondere gli elettori e elettrici. 

Ricordiamo che negli Stati Uniti e’ possibile votare settimane prima della data ufficiale. Ieri, per esempio sono stati aperti i seggi in numerosi stati con incredibili code soprattutto nei quartieri di colore. Nei social media sono apparse numerose foto di code chilometriche con testimonianze che parlavano di attese tra le 8 e le 12 ore. Texas e Georgia hanno registrato un record per quello che riguarda l’affluenza ai seggi con l’area intorno ad Atlanta che ha registrato un incremento del 450%. A questo bisogna aggiungere il milione di Americani che ha già spedito il proprio voto per posta. 

 

Chiudiamo questa corrispondenza con un aggiornamento sulla campagna “Defund the Police,” la richiesta cioè di tagliare i budget dei dipartimenti di polizia e investire quelle risorse in programmi sociali nelle comunità più povere. Questo tipo di richiesta non e’ nuova, ma e’ diventata mainstream in questi ultimi mesi grazie al movimento che e’ sceso in piazza per protestare la morte di George Floyd. 

 

Purtroppo l’iniziale entusiasmo e’ andato scemando con il risultato che anche le citta’ piu’ liberali come Minneapolis, Seattle e Portland non hanno votato gli ingenti tagli publicizzati nelle prime settimane di protesta. Minneapolis, la citta’ in cui Geroge Floyd e’ stato ucciso, e’ in questo senso l’esempio piu’ eclatante. Dopo le prime mobilitazioni, l’intero consiglio cittadino si era presentato ad una assemblea pubblica ed aveva annunciato il progetto di smantellare l’intero dipartimento di polizia. Poche settimane dopo il teatrale annuncio, alcuni membri del consiglio hanno cominciato a fare marcia indietro rendendo possibile solamente la creazione di una task force che presentera’ una proposta di riduzione delle forze di polizia l’anno prossimo.

 

A Seattle, il movimento aveva chiesto il dimezzamento del budget della polizia ottenendo solamente una riduzione di meno dell’1%. A Portland, invece, il dipartimento di polizia ha visto il proprio budget ridotto di un misero 4%. 

 

Dietro questo fallimento c’e’ sicuramente la paura del partito democratico di essere etichettato come il partito anti-polizia alla vigilia di un voto in cui Trump sta giocando tutte le sue chances di vittoria sulla questione sicurezza. La verita’ e’ che la polizia si e’ gia’ pesantemente schierata a favore dei Repubblicani con tutti le maggiori sigle sindacali già da tempo apertamente schierate a favore di Trump.

 

Il movimento comunque si sta continuando ad organizzare. In particolare, in numerose citta’ americane come Oakland, Fresno e Seattle attivisti e attiviste hanno attivato dei servizi alternativi alla polizia soprattutto per quello che riguarda emergenze mediche e psicologiche. E’ con questo tipo di iniziative che il movimento ha deciso di mettere sotto pressione le autorità cittadine e mostrare che le citta’ americane hanno bisogno di meno poliziotti e piu’ servizi. 

USA: Covid19 nel carcere di San Quintino

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Durata 6m 3s

San Quintino

 

La situazione nel carcere californiano di San Quintino sta velocemente deteriorando. La scorsa settimana abbiamo raccontato di come il virus fosse arrivato all’interno del carcere in seguito alla sciagurata decisione di trasferire 121 detenuti proveniente da un’altro carcere dove il virus era gia’ presente.

 

Nel giro di pochi giorni il numero di detenuti risultati positivi al virus era salito a piu’ di 300. Questa settimana il numero e’ schizzato a piu’ di mille, 1300 per la precisione con almeno 7 detenuti  gia’ deceduti. Secondo informazioni provenienti dall’interno del carcere, le autorità hanno deciso di installare delle tende da campo nel cortile interno per ospitare i detenuti più malati. 

 

Al momento almeno 20 detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame per denunciare le criminali condizioni in cui sono costretti a vivere quest’emergenza. Gia’ ad inizio giugno uno studio pubblicato dal Dipartimento di Salute Pubblica dell'Università di Berkeley aveva dichiarato che per evitare le drammatiche conseguenze del virus nel carcere californiano, il numero di persone detenute doveva essere ridotto almeno del 50%.

 

Eppure solamente ora le autorita’ hanno rilasciato un comunicato in cui affermano di essere impegnati a sviluppare un piano per il rilascio di tutti i detenuti con una pena da scontare inferiore ai 180 giorni e dei detenuti piu’ a rischio. Misure che gli attivisti avevano proposto mesi fa proprio per evitare quello che purtroppo sta succedendo oggi. 

 

Nonostante la forte mobilitazione avvenuta anche al di fuori del carcere, sino ad oggi nessun leader del partito Democratico californiano, compreso il Governatore, si e’ recato a San Quintino per valutare la situazione.

 

Budgets

 

La scorsa settimana si sono votati  i budget cittadini per il prossimo anno fiscale. In alcune città, come per esempio in Minneapolis, il voto e’ stato posticipato di alcune settimane proprio a cause delle manifestazioni che le hanno attraversate.

 

Le autorita’ cittadine erano sotto pressione. Da una parte dovevano fare i conti con le perdite dovute ai lockdown indetti per contenere la diffusione del viru. Dall’altra c’erano le richieste dei manifestanti di dare un taglio netto ai bilanci dei vari dipartimenti di polizia. 

 

Come molti attivisti temevano alla vigilia dei voti, i tagli alla fine sono stati limitati e spesso illusori. Prendiamo per esempio la decisione della citta’ di New York di tagliare un miliardo di dollari dal budget della polizia.

 

Cominciamo col dire che il dipartimento di polizia di New York e’ il piu’ costoso dipartimento degli Stati Uniti con un budget complessivo di almeno 11 miliardi di dollari. Questo e’ il risultato dei costanti aumenti di bilancio votati dalle varie giunte cittadine negli ultimi cinque anni. Dal 2015 ad oggi, infatti, la polizia ha visto il suo budget crescere del ben 18%. Un aumento inspiegabile considerando che la popolazione e’ rimasta praticamente costante e il numero di crimini commessi e’ continuato a scendere. Nonostante questo, ad oggi la citta’ di New York ha un poliziotto ogni 160 abitanti.

 

Questi numeri testimoniano come la citta’ abbia subito negli ultimi dieci anni una forte militarizzazione che si e’ concentra soprattutto nei quartieri poveri e di colore. Non e’ un caso allora che delle quasi 130 mila citazioni fatte dalla polizia newyorkese l’anno scorso, ben l’85% e’ stata fatta per infrazioni commesse da persone di colore.

 

I tagli varati dalla giunta bloccheranno l’assunzione di poco piu’ di mille nuovi poliziotti e ridurranno i fondi disponibili per pagare gli straordinari. E’ da notare che ques’ultima voce tende sempre ad essere superiore a quella preventivata all’inizio dell’anno fiscale e quindi la riduzione e’ puramente simbolica.

 

Altri 350 milioni dollari preventivamente stanziati per pagare i poliziotti addetti alla sicurezza delle scuole sono stati semplicemente aggiunti al bilancio del dipartimento dell'educazione, ma non e’ chiaro se quei soldi saranno investiti in un programma alternativo o se invece quei soldi alla fine saranno comunque torneranno nelle casse del dipartimento di polizia.

 

Che questo nuovo bilancio non avrebbe soddisfatto le richieste dei manifestanti era facile da capire considerando che, come ha ammesso lo stesso sindaco De Blasio, i tagli al budget della polizia sono stati proposti dalla polizia stessa. 

 

Critiche sono state mosse anche nei confronti del bilancio appena votato a Los Angeles. Anche in questo caso i tagli al dipartimento di polizia sono stati minimi (solo l’8%) e si concentrano soprattutto sui fondi messi da parte per pagare eventuali straordinari. Come abbiamo gia’ detto per il caso di New York, questo tipo di tagli non garantisce che quei soldi finiscano comunque nelle tasche del dipartimento.

 

L’unica buona notizia che arriva dalla città californiana e’ che il numero di poliziotti scenderà per la prima volta dal 2013 sotto le 10mila unità.

 

La destra continua ad attaccare i manifestanti

 

Intanto continuano gli attacchi alle manifestazioni in supporto al movimento del Black Lives Matter. Sabato notte a Seattle, un 27enne ha investito due manifestanti durante un blocco dell’autostrada che attraversa la città. Secondo le prime ricostruzioni, il giovane avrebbe preso l’autostrada contromano proprio per aggirare i blocchi che la polizia aveva istituito alle rampe di ingresso per proteggere i manifestanti e avrebbe aggirato le tre macchine che i manifestanti avevano messo per bloccare il traffico. Durante la notte, una delle due donne ferite nell’attacco, la 24enne Summer Taylor e’ morta mentre la 32enne Diaz Love e’ ancora ricoverate in condizioni critiche. Dawit Kelete, questo il nome del giovane alla guida della Jaguar che ha investito le due dimostranti, ora rischia 13 anni di carcere.

Due giorni dopo, in Indiana, un’altra macchina ha investito altri due manifestanti che partecipavano ad una manifestazione sempre in supporto del movimento del Black Lives Matter.
 

Volvevo chiudere questa corrispondenza con alcuni numeri che danno un senso della situazione degli Stati Uniti nel 2020:

Per il quarto mese consecutivo almeno il 30% degli Americani non e’ risucito a pagare l’affitto o le rate del mutuo. Questi numeri diventano ancora piu’ drammatici se si considera che il blocco degli sfratti approvato in numerose citta’ all’inizio della pandemia sta per scadere.

 

Secondo i recenti dati pubblicati dal governo federale quasi due milioni di Californiani che hanno fatto domanda per il sussidio di disoccupazione ancora non hanno ricevuto il primo assegno. Stiamo parlando di quasi la metà delle persone che ha presentato domanda. Ricordiamo inoltre che la California rappresenta la settima economia mondiale. Il suo PIL e’ superiore a quello della Gran Bretagna.

 

Infine, ieri la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che i datori di lavoro non sono più obbligati ad includere la pillola contraccettiva nelle assicurazioni sanitarie. Questa decisione potrebbe impedire l’accesso a metodi contraccettivi sicuri a quasi 126 mila donne.  


 

USA: sciopero carceri e il caso Khashoggi

Data di trasmissione
Durata 34m 19s

Con il nostro corrispondente in USA parliamo di tre argomenti:

- dello sciopero in 34 carceri statunitensi tra agosto e settembre

- la condanna di un poliziotto bianco a Chicago per aver ucciso un ragazzino nero di 17 anni

- il caso Khashoggi, il giornalista saudita con green card statunitense ucciso nel consolato saudita ad Istanbul