Questo sabato a Palermo verrà proiettato "Una storia proletaria" documentario a cura di Todomodo. In questo spazio radiofonico ne parliamo con un compagno di Palermo, che ci racconta com'è nata quest'iniziativa e come si svolgerà.
Cogliamo l'occasione per ricordare che è possibile sostere un nuovo progetto di Todomodo alla pagina: https://www.produzionidalbasso.com/project/la-nostra-isola-e-il-mondo-i…
Corrispondenza telefonica con una compagna dell'Assemblea No Guerra di Palermo che ha raccontato come si è svolto il presidio di solidarietà con Anan Yaesh, detenuto nel carcere di Terni sotto l'accusa di terrorismo e con richiesta di estradizione da parte dello Stato d'Israele.
Sotto la Prefettura di Palermo, a Via Cavour, la compagna dell'Assemblea ha spiegato cosa significa la decisione dalla giustizia italiana di non estradare a Yaeesh e ha raccontato come è andato l'incontro con il Prefetto della città.
"Nessuna è libera finchè non saremo tutte libere" recitava uno striscione l'otto marzo a Cagliari. Torniamo a parlare di quella giornata con una compagna ci racconta come sono andati i diversi appuntamenti, sia davanti al carcere ma anche per le strade della città. Una giornata densa di contenuti, l'iniziativa era quella di dare voce alle donne a cui la voce vogliono toglierla, in palestina come nelle carceri. I momenti di piazza sono stati caratterizzati per una partecipazione particolarmente coinvolgente.
ANAN YAEESH LIBERO! NO ALL’ESTRADIZIONE IN ISRAELE
DOMENICA 10 MARZO DALLE 14 ALLE 17 PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI TERNI
Il 29 gennaio 2024 le autorità italiane a seguito di una richiesta di estradizione
avanzata dalle autorità israeliane hanno arrestato Anan Yaeesh, attualmente detenuto nel
carcere di Terni.
Anan Yaeesh, 37 anni, è un palestinese originario della città di Tulkarem, in Cisgiordania, nel
corso degli anni ha condotto la propria attività politica all’interno del contesto della Seconda
Intifada; ha scontato oltre 4 anni nelle carceri dell’occupazione e subìto un agguato delle forze
speciali israeliane nel 2006, durante il quale ha riportato gravi ferite per i colpi a lui inferti.
Anan lascia la Palestina nel 2013, diretto verso l’Europa. Si reca inizialmente in Norvegia dove
viene sottoposto a degli interventi chirurgici per rimuovere i proiettili rimasti nel suo corpo per anni.
Nel 2017 raggiunge l’Italia, dove si stabilisce e dove nel 2019 ottiene un regolare titolo di
soggiorno e la protezione speciale dell’Italia per i suoi trascorsi politici in Palestina. Nel 2023 si
reca in Giordania, dove viene rapito dai servizi di sicurezza giordani allo scopo, con ogni
probabilità, di consegnarlo ad Israele.
Dopo oltre sei mesi di detenzione, a seguito della diffusione della notizia del suo arresto e il
pericolo che venisse consegnato alle autorità israeliane, i servizi di sicurezza giordani si trovano
nella condizione di doverlo rilasciare al fine di evitare malcontento e reazioni da parte dell’opinione
pubblica.
Nel novembre del 2023 torna in Italia, a L’Aquila, dove risiede, e viene arrestato il 29
gennaio a seguito di un mandato di cattura italo-israeliano; l’arresto ha luogo a seguito del
consenso da parte del governo italiano all’estradizione – è infatti sulla base delle indicazioni
del Ministro della Giustizia Italiano che viene portata avanti la richiesta di misura cautelare.
La decisione di procedere con l’estradizione è di enorme gravità, e alla gravità del fatto che
sia presa in considerazione l’estradizione di un cittadino palestinese alle autorità israeliane
(sulla base di ipotetiche azioni di resistenza, svoltesi nei territori occupati, tutelate quindi
dal diritto internazionale), si aggiungono anche una serie di considerazioni dettate dall’attuale
situazione politica.
In primis l’Italia consegnerebbe un palestinese alle autorità israeliane, le quali lo
processerebbero in un tribunale militare. Inoltre molteplici sono stati i rapporti di organizzazioni
e associazioni internazionali per i diritti umani -tra cui il consiglio ONU per i diritti umani- che
riportano e denunciano le inumane condizioni di detenzione e tortura nelle carceri israeliane.
In caso di estradizione, il destino di Anan sarà quello di essere condotto davanti ad una
corte militare e sottoposto a trattamenti disumani, condizioni detentive impensabili, che
hanno già causato negli ultimi quattro mesi la morte di nove prigionieri politici palestinesi,
uccisi nelle carceri israeliane dalla tortura e dalla negligenza sanitaria.
Inoltre, con ogni probabilità, gli elementi su cui sono state formalizzate accuse ad Anan
Yaeesh sono il frutto di oramai noti metodi d’investigazione e interrogatori considerati
illegali in Italia e compatibili con la definizione di tortura.
Riteniamo che questo episodio rischi inoltre di rappresentare un pericoloso precedente volto a
sdoganare l’estradizione e la consegna di palestinesi in Italia e in Europa dietro richiesta di
Israele che, ricordiamo, porta avanti la pulizia etnica e il massacro del popolo palestinese, la
colonizzazione e l’occupazione militare dei territori palestinesi.
Per la liberazione immediata di Anan Yaeesh, per far sentire la contrarietà ad un’estradizione in
aperta violazione del diritto internazionale e per far sentire ad Anan Yaeesh la voce solidale di chi
contrasta il genocidio del suo popolo,
DOMENICA 10 MARZO ORE 14-17 PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI TERNI
Coordinamento ternano per la Palestina
Torniamo a parlare di carcere: dalle risposte al presidio del 31 dicembre sotto il carcere di Rebibbia, alle parole delle persone recluse; dalle nuove forme di repressione, alle nuove leggi che potrebbero colpire chi lotta e chi resiste dentro, ma anche fuori. Con alcune compagne della cassa di solidarietà La Lima, affrontiamo tutto questo, sempre contro ogni carcere, giorno dopo giorno.
Per la puntata di fine anno, abbiamo scelto una serie di consigli letterari a cura della redazione di Radio Onda Rossa e di Tabula Rasa che hanno per tema "il carcere".
Un grazie anche a Paolo Persichetti e Sandro Bonvissuto per averci dato una mano con la realizzazione della puntata.
A tutte e tutti ricordiamo l'appuntamento del 31 dicembre a Roma fuori le mura di Rebibbia.
Il 31 dicembre ci sarà il presidio di fronte al carcere di Rebibbia. Da inizio dicembre la popolazione detenuta ha superato le 60mila persone. Sentiamo diverse voci che parteciperanno il 31 dicembre al presidio, proviamo a toccare i diversi temi che verranno portati quel giorno sotto le mura.
Radio Onda Rossa tiene da sempre una fitta corrispondenza con le persone detenute. Riceviamo tante lettere che raccontano la quotidianità e la vita ristretta, storie di solidarietà ma anche - tante - storie di abusi. Queste ultime in particolare non hanno nessuna possibilità di emergere perché alle/ai detenute/i viene tolta la voce. Leggiamo alcune lettere che ci sono arrivate nelle ultime settimane da diversi penitenziari d'Italia. Con l'occasione, vi ricordiamo la prossima uscita di Scarceranda 2024. Inoltre presentiamo un'iniziativa che si svolgerà questo sabato (18 novembre) alle ore 19 a Logos, festival della parola.
I prigionieri e le prigioniere prendono parola.
Sono sempre poche le voci che si esprimono sul carcere, sulla sua funzione e sulle sue progressive trasformazioni indissolubilmente legate a quelle dei tempi della società in cui è inserito.
Quelle poche diventano un numero più alto quando qualcosa accade al suo interno. Quando la sua quotidianità viene, per qualche ragione, interrotta.
A quel punto, però, i mass-media riportano solo le testimonianze di chi sembra essere l’unica fonte attendibile: i sindacati di polizia penitenziaria.
E le voci di chi vive la galera sulla propria pelle? Silenziate...
Quelle devono essere alte, molto alte, per essere ascoltate.
E a volte diventano urla.
È accaduto durante le rivolte dei prigionieri e delle prigioniere negli anni ‘70, quando anche fuori quelle mura la società era in piena trasformazione, grazie alle lotte portate avanti su tanti fronti (da studenti, lavoratori, donne...) e la connessione tra “dentro” e “fuori” era intensa e costante.
È accaduto nel marzo 2020, quando la paura del contagio e l’isolamento dai propri affetti (con l’interruzione dei colloqui familiari - detenuti) hanno vinto sulla rassegnazione in cui, negli ultimi anni, sembrava fossero cadute la maggior parte delle persone detenute.
Rivolte decise, esplosioni di rabbia. Forse non paragonabili a quelle di 50 anni prima per progettualità. Ma il grido diceva “noi esistiamo!” a fronte dell’assoluto disinteresse dello Stato nei loro confronti.
Rivolte sedate con violenza inaudita, anche a distanza di mesi, come accaduto a Santa Maria Capua Vetere (perché lo Stato non dimentica) e che hanno causato la morte di ben 14 persone, di cui 9 a Modena.
Ieri come oggi?
Quale era il tessuto prigioniero degli anni ‘70 e quale quello attuale?
Perché proprio a Modena la repressione si è manifestata nel modo più violento, provocando una strage mai avvenuta prima?
Perché a Santa Maria Capua Vetere, quella che da più parti è stata definita una mattanza, è avvenuta un mese dopo quelle rivolte?
E oggi, cosa sta accadendo all’interno delle mura perimetrali che delimitano l’isolamento tra chi è fuori e chi è dentro?
Come provare a superarle per ascoltare le voci che da lì dentro provengono?
Abbiamo scelto di confrontarci e approfondire questi temi in una tavola rotonda con gli autori di tre importanti volumi che negli ultimi anni hanno trattato di questi temi:
- L’aria brucia di Antonio Susca e Giancarla Rotondi
- La Settimana Santa di Luigi Romano
- Morti in una città silente di Sara Manzoli.
Ci vediamo sabato 18 novembre ore 19 a Logos festa della parola.
Mentre il governo per rispondere alla violenza sulle donne e ai problemi delle periferie propone più carcere e più polizia, le notizie di suicidi, morti e proteste nelle carceri si susseguono senza sosta.
Da Luglio un gruppo di attiviste e associazioni ha costruito un "Gruppo di supporto per i familiari dei detenuti morti in carcere", insieme a loro abbiamo ragionato di morti e sanità in carcere.
Nel redazionale commentiamo l'ultimo disegno di legge del governo, approvato sull'onda mediatica ed emotiva legata ai fatti di Caivano e Palermo, e passiamo in rassegna una serie di articoli usciti sui quotidiani degli ultimi giorni che parlano dei penitenziari di Regina Coeli e Rebibbia a Roma e del Mammagialla di Viterbo.
A Rebibbia dopo l'inchiesta che ha denunciato la distribuzione di cibo per animali ai detenuti, è notizia di ieri una protesta dei detenuti, principalmente di origine marocchina per avere notizie sui propri cari colpiti dal terremoto in Marocco, mentre a Regina Coeli un ragazzo di 21 si è tolto la vita.
A Viterbo i detenuti protestano per le condizioni gravissime che vivono, e per le mancate cure ad un detenuto lasciato morire dai medici e dagli agenti della penitenziaria che non sono intervenuti per tempo.