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Sgombero delle famiglie rom in via Scarsellini a Torino

Data di trasmissione
Durata 10m 2s

Ha suscitato molta attenzione mediatica, anche al di fuori dei confini piemontesi, lo sgombero di alcuni alloggi popolari occupati da famiglie di origine rom a Torino, in via Scarsellini. Abbiamo chiesto un commento sulla vicenda a Dijana Pavlovic, attivista ed esponente del Movimento Khetane.

Di seguito il comunicato stampa del Movimento Khetane.

Legalità e umanità: lo sgombero di via Scarsellini a Torino
Otto famiglie rom - 58 persone, 30 bambini - sono state sgomberate venerdì 14 aprile dagli alloggi popolari che occupavano abusivamente da due anni nella periferia sud di Torino. Assessori regionali e comunali richiamano questo intervento al necessario ripristino della legalità. Si dice legalità e umanità, di solito. Ci sembra vergognoso che in questo caso l’unica alternativa proposta alle famiglie sia stata mettere le mamme nei centri di accoglienza ma con un figlio solo, se per caso ne hanno di più, gli altri da soli nelle comunità, i padri per strada. In questo caso legalità e umanità non sono andate d’accordo, ed è inutile dire che ovviamente nessuno ha accettato. Questo avviene mentre a Roma UNAR, ente governativo, presenta la Strategia nazionale per l’inclusione di rom e sinti che prevede ben altre modalità di intervento.
Il movimento Kethane rom e sinti per l’Italia, attivo a livello nazionale e locale e al quale aderisrcono circa 12.000 rom e sinti, ritiene che interventi di questo genere non fanno altro che spostare il problema da qualche altra parte, anche dal punto di vista della legalità, rendono ulteriormente precarie le condizioni di vita di queste famiglie, e chiede all’amministrazione comunale di rendersi disponibile per individuare modi e pratiche che sappiano davvero coniugare legalità e umanità, nel rispetto delle norme e delle legittime aspettative di vita di 30 bambini e delle loro famiglie.
LA STORIA
Maggio 2020 una mattina, vigili, rappresentanti comunali e assistenti sociali si presentano in Via Germagnano 10, al campo Rom di Torino che era lì da venti anni e dove generazioni di Rom sono nati, cresciuti e si sono sposati e del quale facevano parte anche le 58 perone sgomberate..
L’allora amministrazione comunale guidata dalla sindaca Appendino fece una vera guerra per il superamento di Via Germagnano, successivamente ne farà anche un vanto per averlo chiuso.
L’unica proposta agli abitanti del campo è stata: 500€ per lasciare l’insediamento sottoscrivendo un documento che accertasse il tutto. A chi rifiutava di andarsene è stato detto che il campo sarebbe stato chiuso lo stesso e che gli assistenti sociali si sarebbero “occupati” dei bambini.
Le famiglie erano in uno stato precario con lavori saltuari, molti anche svaniti durante il periodo del Covid. Era assolutamente irrealistico aspettarsi che con un incentivo di 500 euro senza nessun progetto e in una situazione di grave precarietà queste famiglie potessero non occupare le case o ricreare baracche abusive. Probabilmente gli incentivi per uscire dal campo sono finiti nelle mani del racket delle occupazioni delle case popolari controllato da italiani. E come sempre, queste situazioni sono state abbandonate per due anni, lasciando spazio alla parte prepotente e criminale, e quando si è deciso di ristabilire la legalità nessuno ha distinto tra persone bisognose che cercano di sopravvivere meglio che possono e che anche in una situazione di estremo disagio hanno raggiunto un minimo di progresso e di stabilità e quelli invece che creavano disordine e disagio. Sono stati sgomberati tutti, senza il minimo rispetto delle raccomandazioni e delle disposizioni europee che prevedono alternative stabili per i casi del genere.

Corteo a Torino - Al fianco di Alfredo, al fianco di chi lotta!

Data di trasmissione
Durata 7m 18s

Corrispondenza telefonica con una compagna dalla piazza di Torino al fianco di Alfredo Cospito.

Di seguito

AL FIANCO DI ALFREDO, AL FIANCO DI CHI LOTTA!

La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione venerdì scorso suona come una condanna a morte: Alfredo Cospito deve stare al 41bis e lì deve morire. Si chiude anche l’ultimo piccolo spiraglio di possibilità legale e si apre definitivamente la strada che porterà alle estreme conseguenze dello sciopero della fame portato avanti ad oltranza, per lui e per “noi” . La linea della fermezza e dell’intransigenza hanno prevalso in tutti i livelli dello Stato. Il potere esecutivo e quello giuridico, non sempre sovrapponibili, hanno compattato le loro fila e fatto fronte comune. Questo allineamento d’interessi, non importa se eterodiretto o meno, risuona come una dichiarazione di guerra interna. Il messaggio è chiaro nella sua crudezza: nel prossimo futuro la tolleranza starà a zero. Con una guerra alle porte d’Europa - e che ne sta già ridisegnando gli assetti – che diventa di giorno in giorno sempre più globale, le nostre menti non possono che ritornare ai giorni cupi precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale, tra chiamate alla mobilitazione generale e leggi marziali. Contesti estremamente diversi ma in cui è possibile rintracciare una qualche similitudine e parallelismo. Non vedere un’intima connessione tra guerra in Ucraina e repressione interna ci sembra miope, la logica che ci deve muovere ad agire contro la guerra e la NATO è la medesima che ci deve portare in strada per Alfredo e per la sua, che poi non è solo sua, battaglia. Lotte apparentemente diverse ma che in realtà non lo sono come ampiamente dimostrato dalle azioni e dagli interventi che hanno accompagnato il grosso corteo chiamato dai portuali sabato scorso a Genova. Inutile qui soffermarsi sull’ipocrisia di uno Stato che per giustificare il 41bis bolla Alfredo come stragista mentre di stragi ne compie di continuo (e i/le mort* del naufragio di Crotone sono lì a gridare giustizia, quella con la “g” maiuscola). Più interessante crediamo sia sottolineare, ancora una volta, la strategia repressiva complessiva: chiudere sistematicamente tutti gli spazi possibili di contestazione per tentare di farla finita con le istanze di cambiamento sociale recidendo anche i fili che collegano queste esperienze (già ridotte al lumicino e molto isolate, ma non è questa la sede per approfondire queste complicate questioni) con la loro memoria. Il 41 bis per Alfredo, la riapertura del caso di Cascina Spiotta, lo sgombero di un centro sociale, sono fatti apparentemente distanti ma in perfetta continuità. Per fugare ogni dubbio, qui non vogliamo dire che ci sia una sorta di “ufficio” in cui la sequela di DDL e operazioni di polizia e giudiziarie dell’ultimo decennio siano state dettagliate e programmate ma fare notare in controluce la strategia implicita della macchina statale. Come già avevamo scritto, la vicenda di Alfredo potrebbe contribuire a spezzare e disinnescare questa spirale repressiva. Fondamentale sarà riuscire a cogliere l’opportunità di portare la lotta di Alfredo al di fuori di una logica meramente anti-repressiva e provare così a sperimentare nuove angolature di attacco. Una cosa la possiamo affermare fin da ora: esisterà un prima ed un dopo la morte di Alfredo Cospito. La possibilità che la battaglia fino all’ultimo respiro di Alfredo venga assunta da tutti e tutte come una battaglia per riprendersi degli spazi di azione e legittimità politica in un paese che continuamente reprime ogni forma di conflitto e dissenso anche solo simbolico, crediamo ci siano tutte. La speranza è che questo sussulto dei movimenti per poter continuare a vivere e ad agire si riesca a legare con istanze sociali di una popolazione sempre più colpita da crisi, ansia e guerra.

 
 
 
 

INFOWARFARE – 13/14 dicembre due giorni di dibattito all’università di Torino

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L’intento dei collettivi è quello di costruire una visione critica con la quale interpretare la narrazione dominante dei fenomeni del nostro tempo, per emanciparsene, nonché capire di quali strumenti si ha a disposizione. Si aprirà con un dibattito di presentazione delle iniziative, si continuerà provando a mettere a critica i diversi modi in cui vengono presentate rivoluzioni, resistenze e forme di antiimperialismo dai media occidentali, partendo dagli esempi di Rojava, Palestina e Iran. Uno dei temi che toccherà la riflessione sarà la fornitura di armi in Ucraina, ingombrante nelle narrazioni dominanti, tanto da togliere totalmente spazio agli ambiti di autonomia dal basso che provano a rispondere alla guerra. Si proseguirà con un’analisi del mondo dei social dalla prospettiva diretta di chi prova a confrontarsi con quell’ambito, necessario per comunicare e aprire spazi di informazione alternativa ma che incontra problemi rispetto alla semplificazione dei temi politici o che comunque incontra l’ostacolo di un algoritmo che risponde ad un meccanismo di viralità e profitto.

Il grande tema dell’ecologia politica, grazie alla collaborazione con diversi collettivi, verrà affrontato in una maniera diversa, pratica, attraverso la costruzione di laboratori artistici per reinventarsi pratiche quotidiane collettive di autorecupero.

 

Ne parliamo con il Cua di Torino

Torino: due nuove occupazioni

Data di trasmissione
Durata 4m 27s

Nuova occupazione a Torino, viene occupata una banca.

Sono due le occupazioni a Torino nella settimane:

- La polisportiva occupata Iris Versari (occupata dai e dalle compas della palestra Iris Versari che stava all’Edera) occupata una settimana fa (sono dei campetti con spogliatoi che già si erano occupati simbolicamente la settimana dopo lo sgombero)
- Il circolo occupato La Crepa occupato stamane e che sarà uno spazio dove incontrarsi e portare avanti le lotte in quartiere ed in città (è una ex banca filiale Intesa San Paolo)

Pedalata contro lo sgombero di edera squat a Torino

Data di trasmissione
Durata 15m 2s

Sabato 15 ottobre a Torino pedalata contro sgomberi e repressione organizzata da edera squat, spazio sociale sgomberato all'inizio del mese. Di seguito il comunicato che ci arriva da Torino.

Lo sgombero dell'Edera è solo l'inizio: inizio di Edera on the Streetz, un modo diverso e diffuso di resistere. Inizio di una campagna di sgomberi che dichiara di non voler salvare nessun posto.
Per questo per noi è fondamentale esserci, ed esserci ora!
Sabato 15 Ottobre ci troviamo in Piazza Castello per una pedalata che attraverserà il centro città per portare una prima risposta nei punti sensibili della metropoli, per raccontare quanto accaduto ed indicare chiaramente i responsabili. La biciclettata si sposterà in seguito verso la periferia Nord-Ovest, verso quel quartiere che è dove abbiamo deciso di rimanere per continuare i percorsi di socialità e lotta che sono nati in questi anni.
Al termine della pedalata aperitivo musicale ai giardini Cavallotti.
Maggiori info presto.
Intanto, continuiamo a infestare la città, rilanciamo la mobilitazione, costruiamo resistenza al deserto che ci vogliono imporre.

La lotta delle ragazze di Torino alle Vallette

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Insieme ad una delle autrici di un articolo uscito sull'Essenziale di ieri, che parla della lotta delle detenute nella sezione femminile del carcere delle Vallette di Torino, approfondiamo chi sono e per cosa lottano le "Ragazze di Torino". Le condizioni nelle carceri italiani sono gravissime, il numero di suicidi dopo soltanto 2/3 del 2022 già eguagliano il numero di quelli del 2021. Dopo un'estate bollente per chi l'ha passata rinchiusa in una cella, tramite le relazioni costruite con le compagne del movimento No Tav che hanno attraversato la sezione femminile del carcere delle Vallette riusciamo a farvi arrivare il grido di lotta delle detenute.

Climate Social Camp Torino

Data di trasmissione
Durata 10m 35s

Collegamento con un compagno che si trova a Torino per il Climate social Camp. Il Climate Social Camp vuole riflettere sui danni della crisi ecoclimatica che si traduce anche in una crisi sociale, migratoria ed economica che colpisce in modi ed intensità diverse le diverse fasce della popolazione, prime fra tutte le categorie oppresse: i popoli del Sud del mondo, le classi sociali più povere, le persone migranti, le donne, le persone LGBTQI+, le persone con disabilità.