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controllo sociale

Controllo sociale ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata 24m 54s

La pandemia legata al Covid-19 porterà con sé diverse conseguenze sia sul piano economico che sociale. In diverse città d'Italia si sta profilando un'organizzazione modulare dei territori, con particolare attenzione ai quartieri popolari e più poveri. In collegamento telefonico con un compagno di Torino facciamo il punto della situazione sui quartieri Aurora e Barriera di Milano.

Buon Ascolto!

La Parentesi del 17/02/2016"Mistificazioni neoliberiste"

Data di trasmissione
Durata 5m 50s
“Mistificazioni neoliberiste”

 

Immagine rimossa. Il 15 gennaio scorso è stato varato dal Consiglio dei Ministri il decreto legislativo sulle depenalizzazioni che prevede che una serie di reati non rientrino più nella casistica penale, ma vengano sanzionati amministrativamente. Nei vari commi di legge per i comportamenti in questione viene sostituito al termine “è punito” il termine “è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria”. Si tratta di illeciti svariati che vanno da reati cosi detti “Contro la fede pubblica” e cioè, per esempio, uso di atto privato falso, falsità in scrittura privata a quelli “Contro la moralità e il buon costume”, da quelli in “Materia di Previdenza” come omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali a quelli in “Materia di circolazione stradale” come la guida senza patente, solo per citarne alcuni e varrebbe la pena che ognuno/a se li andasse a leggere tutti.
In questa casistica estremamente varia è contemplato anche il reato d’aborto, cioè l’aborto fuori dalle regole imposte dalla Legge 194/78. La Legge 194/78 prevede la possibilità di aborto solo se viene seguito un percorso obbligatorio amministrativo e medico e solo nelle strutture pubbliche. Se la donna che vuole abortire non segue questo percorso e se non lo fa nelle strutture pubbliche, fino all’altro giorno, la trasgressione era penale. A seconda della gravità della trasgressione era prevista la multa fino a centomila lire, vale a dire 51 euro, o la reclusione fino a sei mesi. Ora le regole e il percorso sono rimaste le stesse, ma la trasgressione è stata depenalizzata e soggetta a multa da 5 mila a 10 mila euro.
Detta così sembrerebbe una buona cosa. Invece no, perché non intacca assolutamente lo spirito della legge. L’aborto, che dovrebbe essere libero, continua ad essere permesso solo secondo il percorso e i dettami della norma che, per inciso, non funziona affatto perché abortire nelle strutture pubbliche è un terno al lotto visto l’altissimo numero di obiettori di coscienza, nel Lazio l’80%, ma con l’ introduzione di una multa così alta si attua un ulteriore filtro fortemente classista. Tutto quello che passa attraverso il denaro è una discriminante di classe e, quindi, dato che la possibilità di abortire delle donne delle classi subalterne in strutture pubbliche è estremamente limitata, queste non potranno più abortire con il fai da te o, meglio, dato che necessariamente continueranno a farlo ,non andranno neppure in ospedale in caso di complicazioni per non prendersi anche la salatissima multa.
Quindi è evidente la mistificazione portata avanti da questa cosi detta depenalizzazione che si configura in maniera evidente come una forma di controllo poliziesco e di classe estremamente forte.
Ma non è un decreto infelice o mal riuscito, fa parte di una modalità specificatamente neoliberista di affrontare il sociale.
Fa parte di questa tendenza anche la spinta ad una riforma carceraria sempre più tesa a sostituire per molti reati la detenzione in carcere con misure alternative.
I richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia che focalizzavano l’attenzione sul sovraffollamento, sulle condizioni igieniche precarie, sulla mancanza di aree di socialità o cortili per l’aria, hanno costituito la chiave per un cambio di indirizzo politico che dovrebbe prevedere un maggiore ricorso alle pene alternative e sostitutive della carcerazione che non è solo italiano, è un indirizzo di tendenza nei paesi occidentali.
Anche qui, detta così, sembrerebbe una buona cosa. Invece no. Certo, stare fuori è meglio che stare in carcere, ma questa disponibilità del sistema neoliberista nasconde una strategia di controllo sociale devastante.
Se a un detenuto/a viene concesso di “espiare” la pena a casa, al lavoro, nei servizi sociali o in una qualunque configurazione esterna, la sua vita sarà per legge soggetta a controllo e anche quella dei familiari, dei datori di lavoro, dei colleghi, di tutte e tutti quelli che sono con lui/lei in relazione . In questo modo è possibile mettere in atto un controllo sociale serrato sul territorio e addirittura costringere il territorio ad autoregolarsi. Ognuno/a diventerà controllore di se stesso e degli altri.
Così il cerchio è chiuso, la vita è diventata un carcere e chi si vuole sottrarre è molto più individuabile, circoscrivibile e neutralizzabile.
La partecipazione alle manifestazioni, l’impegno politico, i tentativi di organizzarsi in lotte sociali contro la mancanza di alloggi, il caro scuola, la disoccupazione.. sono sanzionate amministrativamente con multe salate con il chiaro intento di dissuadere da subito chi può avere intenzione di portare avanti una qualsivoglia lotta.
Le persone non solo sono sottoposte ad un forte controllo poliziesco ma dovrebbero imparare ad autocontrollarsi, controllare gli altri/e e piegarsi ad un asservimento volontario.
Possiamo solo autorganizzarci e tagliare i ponti con questa impostazione sociale, rifiutare il coinvolgimento, rifiutare ogni collaborazione, smascherare i veri obiettivi che sono sempre ammantati da nobili motivazioni.
Siamo tutte e tutti detenuti politici.

La Parentesi del 14/10/2015 "Detenzione amministrativa"

Data di trasmissione
Durata 5m 20s

La Parentesi di Elisabetta del 14/10/2015

“Detenzione amministrativa”

Immagine rimossa.

La settimana scorsa ci sono state diverse iniziative a sostegno dei prigionieri/e politici palestinesi in sciopero della fame, incarcerati dal governo israeliano con lo strumento della detenzione amministrativa, la pratica “legale” per la quale un/una palestinese diventa prigioniero/a senza accuse né processo, una pratica rinnovabile di 6 mesi in 6 mesi. Sono oltre 350 i prigionieri/e in questa situazione e vengono presi di mira dagli arresti e “condannati” alla detenzione amministrativa in special modo i rappresentanti politici maggiormente esposti, come Khalida Jarrar, prelevata dalla sua abitazione in piena notte da reparti israeliani ad aprile perché rappresenterebbe “una minaccia per la sicurezza”.
Il principio della detenzione amministrativa è un concetto che nasce in Germania alla fine degli anni ’30 e rappresenta uno strappo importante al diritto così come noi lo conosciamo.
Nel diritto borghese una persona può essere condannata solo e soltanto per il reato che ha commesso e quando questo è stato dimostrato.
La detenzione amministrativa prevede, invece, che una persona sia sanzionata e internata non per quello che ha fatto, ma per quello che è, per una condizione, un’etnia, un credo politico o religioso, una situazione familiare o sociale… E’ il trascinamento dallo Stato di diritto allo Stato etico ed è un principio nazista.
Lo Stato si arroga il giudizio sul comportamento e non sugli atti, sull’essenza del pensiero e sulle modalità di vita e non sul reato. Ragione per cui non è necessario un giudice a decretare la detenzione amministrativa, ma è un provvedimento messo in atto direttamente dagli organi repressivi e di controllo nelle accezioni più svariate.
Nella Germania degli anni’30 nel campo di internamento di Ravensbruck, campo per sole donne e giovani ragazze, venivano internate tutte quelle che non erano gradite al sistema, quelle che erano madri, sorelle, parenti di antinazisti in senso lato, ma, la maggior parte veniva internata su indicazione dei servizi sociali e con delle motivazioni assai vaghe di “asozialen”.
E’ chiaro che la detenzione amministrativa è un grande strumento di controllo sociale, non solo perché interna tutte quelle e tutti quelli non graditi al potere, ma perché spinge anche i cittadini/e a diventare delatori/delatrici, controllori e controllore di se stessi e degli altri e a usare lo strumento della denuncia anonima.
Anche qui da noi c’è la detenzione amministrativa, ci sono i CIE, i centri di identificazione ed espulsione, veri e propri campi di internamento in cui vengono rinchiusi soggetti che non hanno commesso reati, ma che sono ritenuti irregolari. Ora tocca alle migranti ed ai migranti senza permesso di soggiorno o ai così detti “clandestini”, ma il principio può essere esteso a chiunque non sia gradito al sistema,
Sono stati istituiti dalla legge Turco-Napolitano nel 1998 e questo la dice lunga sull’area politica che è portatrice in questa società dei principi ideologici nazisti. Perché se i principi nazisti informano una società non dipende da quanto i simboli storicamente riconoscibili siano pubblici ed evidenti, ma da quanto un’ ideologia pervade la struttura e la modalità a cui si informano lo Stato, le leggi e il metabolismo sociale che ne deriva.
Il riformismo neoliberista, PD in testa, è il portatore dei principi di nazista memoria perché tende all’instaurazione di un governo diretto del potere economico eliminando la mediazione politica e ha la pretesa di normare ogni aspetto della nostra vita. Infatti, corollario della detenzione amministrativa sono le sanzioni amministrative relative al così detto ordine pubblico che vengono comminate direttamente dagli istituti di controllo poliziesco e sono state veicolate e fatte accettare usando situazioni e accadimenti a cui l’opinione pubblica è particolarmente sensibile. Una per tutte è il Daspo che prevede il divieto per i tifosi a cui viene applicato di accedere agli stadi e l’obbligo di firma durante le partite. E la tendenza è a trasferire questo tipo di modalità alla società tutta e soprattutto a chi manifesta dissenso etichettato subito come soggetto socialmente pericolo.
Quando si parla di solidarietà internazionalista mettiamo spesso l’accento sull’appoggio che diamo alle lotte che attuano percorsi di libertà e di liberazione in altri paesi ed è giusto che questa solidarietà venga messa in atto, ma l’aspetto più importante dovrebbe essere quello di riportare le lotte ad unità e a sintesi.
Quando manifestiamo solidarietà ai prigionieri politici palestinesi in detenzione amministrativa, in effetti, lottiamo per noi stesse e per noi stessi e quando ci battiamo per l’abolizione delle sanzioni amministrative e per la chiusura dei Cie a casa nostra, lottiamo anche per loro.

 

Trasmissione del 10/06/2014 "Computer indossabili, il controllo sul lavoro e oltre"

Data di trasmissione
Durata 56m 58s
  Puntata del 10/06/2015

Immagine rimossa.“Abiti luminosi e computer indossabili le nuove frontiere del controllo sul lavoro e oltre/ Governabilità/Lavoro: la formazione, la mediazione, il genere/ testimonianze, riflessioni, sistemi di difesa “

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/06/13/podcast-della-trasmissione-del-10062015/
http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/06/13/sul-lavoro-e-oltre/

 

“Sul lavoro e oltre”

di C.M.

L’azienda per la quale lavoro utilizza una società di consulenza esterna per la gestione/trattamento dei propri dipendenti. Le società di consulenza aziendale in generale consistono in èquipe di professionisti, quali psicologi del lavoro, sociologi specializzati nel campo delle risorse umane (gestione del personale) e personale che a vario titolo è specializzato nel campo della gestione del personale….

La gestione dei dipendenti attraverso l’impiego di queste società di professionisti da parte dell’azienda, si traduce nei fatti in uno strumento per asservire sempre di più il lavoratore-trice all’azienda.

Queste società di consulenza intervengono nel rapponel rapporto tra le due parti. Il compito implicito invece, cioè quello non dichiarato, è quello di tendere ad un asservimento totale del lavoratore-trice all’azienda e ad una pacificazione totale nel rapporto lavoratori-padronato.

Un esempio pratico che posso riportare in prima persona è l’organizzazione di cosiddetti corsi di formazione attraverso i quali vengono nei fatti messe in atto strategie per testare il livello di fidelizzazione del lavoratore all’azienda: in questi corsi di formazione si prevede un lavoro in team tra dipendenti e dirigenti, quindi nel caso in cui tu non voglia parteciparvi per qualsiasi tipo di motivo, vieni automaticamente emarginato ed escluso dal team. Sono strategie di inclusione/esclusione.
Questi corsi di formazione vengono poi utilizzati per presentare il lavoratore modello cioè stabilire una volta per tutte quali sono i requisiti fondamentali ai quali il lavoratore deve attenersi – è sottointeso- per poter mantenere quel posto di lavoro.
Riporto qui di seguito brevemente la descrizione di un corso di formazione organizzato dall’azienda, della durata di circa 4 ore, a cui ho partecipato in qualità di dipendente. Premetto che l’azienda per cui lavoro opera nel campo della ristorazione (bar-gelateria).

Il corso di formazione consiste in un incontro che si svolge nell’arco di una mattinata tra consulenti aziendali -una psicologa del lavoro e una sociologa- parte dirigenziale e dipendenti. L’ordine del giorno è così strutturato: 1)breve introduzione da parte dei consulenti (“perché siamo qui? Perché l’azienda vuole formarvi perché ha prospettive di ampliamento e quindi vuole seguirvi nel vostro percorso di crescita professionale”); 2) ognuno dei partecipanti a turno deve presentarsi in breve (il proprio percorso personale e lavorativo sintetizzato in qualche minuto) e deve dire quali aspettative ha rispetto al corso in questione; 3)esercitazione di gruppo (due gruppi) in cui i dipendenti devono consultarsi e descrivere il proprio ruolo e le caratteristiche principali del proprio lavoro, per poi riportarle al resto della “classe”; 4)Dopo questa fase, in cui un rappresentante di ciascun gruppo ha presentato agli altri la propria elaborazione, c’è la fase finale in cui i consulenti presentano ai dipendenti quale nello specifico, sono le caratteristiche a cui ciascun lavoratore deve attenersi. Qui di seguito il documento che viene distribuito e illustrato a noi dipendenti da parte dei consulenti:

TITOLO DELLA POSIZIONE: Operativo/banchista
REQUISITI PROFESSIONALI RICHIESTI:
• titoli di studio: conoscenza dell’inglese e/o più lingue
• requisiti fisici: 8 ore in piedi; sollevare pesi di 10kg
• esperienze pregresse maturate: 6 mesi
• automunito:sì
• altro: No fumatori
DIMENSIONE DELLA POSIZIONE
• numero di collaboratori con i quali lavorerà di volta in turno: di volta in volta, saranno i manager a comunicarlo
• turnazione: il piano turni verrà deciso dagli executive e comunicato dal manager di negozio
SCOPO/FINALITÀ DELLA POSIZIONE
assistere e gestire la clientela. Interfacciarsi con il Manager di riferimento per eccellenze e problematicità
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ
• promuovere la cultura e i valori dell’azienda
• gestire le operazioni con passione, integrità e competenza
• attitudine ad interagire con il pubblico
• abilità di vendita
• saper lavorare in team con armonia
• salutare il cliente
• controllo e gestione scorte materiale
• esposizione dei prodotti come da linee guida
• segnalare problematiche al manager di riferimento
• fornire consulenza al cliente nella scelta del prodotto
• offrire un assaggio del prodotto al cliente
• mantenere il negozio pulito e ordinato
• esporre i cartelli e i prezzi sui prodotti
PROFILO COMPETENZE:
• conoscenza del prodotto a 360 gradi
• conoscenza delle regole e lavorare per linee guida
• conoscere la cultura e valori dell’azienda
• conoscere la struttura gerarchica
• utilizzo degli strumenti quali registratore cassa, pc
• capacità di gestire lo stress
• lavoro in team
• flessibilità
• concretezza
ALTRE CARATTERISTICHE TICHIESTE
• rispetto delle gerarchie prestabilite
• personalità allegra, frizzante ed estroversa
• attenzione alla propria cura personale

E’ questo il modo in cui l’azienda forma il lavoratore, ponendolo cioè di fronte ad un modello ben preciso al quale – è sottinteso- il lavoratore deve aspirare ed adeguarsi.
Da notare le parti sottolineate che sono quelle secondo me più salienti: ad esempio il requisito fisico che viene ritenuto necessario è quello di saper rimanere in piedi per 8 ore di fila (laddove i nostri contratti prevedono per legge un orario di lavoro di 6 ore e 40 minuti al giorno…), e poter sollevare pesi di 10kg….Come a dire: “non ti lamentare se non riesci a stare 8 ore in piedi e se devi sollevare pesi, perché lo sai che è questa capacità che ti viene richiesta”. Oppure “il negozio deve essere mantenuto in ordine e pulito” significa si traduce nei fatti che tu lavoratore-trice hai anche il compito di pulire il cesso ad esempio ogni qualvolta questo sia ritenuto necessario dai capi…

Un altro esempio pratico, vissuto anche questo in prima persona è quando vengo invitata ad un colloquio informale/amichevole con la sociologa (tra l’altro mia ex collega universitaria…), in cui la conversazione inizia con lei che mi chiede “come ti trovi in questo lavoro? Quali problemi hai riscontrato? Con il titolare come ti trovi? Ti ha mai ripreso per qualcosa che non andava?”….

E’ chiaro come la modalità di gestione del personale attraverso l’impiego di specialisti del settore sia indirizzata ad incrementare ancor più il processo di atomizzazione ed individualizzazione dei lavoratori i quali vengono invitati a risolvere individualmente i propri problemi sul lavoro essendo predisposti per loro questo tipo di figure che si pongono come riferimento.
Queste società di consulenza aziendale prendono così il volto di una sorta di sindacato aziendale, totalmente affiliato all’azienda che in modo subdolo mantiene i dipendenti in una condizione di ricatto e quindi di totale asservimento. Tanto più che questo tipo di operazioni vengono presentate da parte dei datori di lavoro come iniziative positive che contribuiscono alla crescita professionale del lavoratore- trice, iniziative che quindi si pretende vengano apprezzate e accolte da parte del lavoratore come elargizioni benevole dell’azienda (“lo sapete che questi corsi per voi sono pagati da parte nostra….”).
E’ chiaro come in questi casi una coscienza di classe aiuterebbe a riconoscere questi tipo di interventi per quello che veramente sono e cioè strumenti di omologazione dei lavoratori e di adeguamento ad un modello di lavoratore completamente asservito all’azienda, che di fronte ad una problematica sul posto di lavoro si pretende risolva quella problematica individualmente, riportando il problema a chi è predisposto dall’azienda a questo compito. In questo modo qualsiasi tipo di possibile conflittualità lavoratore-datore di lavoro viene annullata ed estirpata alla radice.
In Appendice una breve considerazione di genere:
Faccio un tipo di lavoro al pubblico in cui la presenza di manodopera femminile è preponderante. Uno dei requisiti fondamentali sottintesi è la cosiddetta bella presenza. Per quale motivo un luogo di lavoro dovrebbe contemplare la presenza di lavoratrici che hanno una bella presenza? …in questo sistema sociale patriarcale dove il maschilismo è all’ordine del giorno e si insinua in ogni aspetto della nostra vita, si da per scontato che una bella presenza attiri maggiore clientela….

 

Trasmissione del 27/05/2015 " Strategie di controllo e repressione"

Data di trasmissione
Durata 1h 55m 36s

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/05/29/podcast-della-trasmissione-del-27052015/

 

Puntata del 27/05/2015

“Rote Zora e la sua banda è una fiaba di una ragazzina terribile che rubava ai ricchi per dare ai poveri: Fare bande, muoversi al di fuori della legge sembra essere oggi una prerogativa dei maschi. Ma soprattutto per questo i mille vincoli privati e politici, con cui veniamo soffocate come ragazze e come donne, ci dovrebbero rendere in massa “bandite” per la conquista della nostra libertà e della nostra dignità di essere donna. Le leggi, il diritto e l’ordine sono fondamentalmente contro di noi, anche se, combattendo duramente, abbiamo strappato due o tre diritti che, comunque, dobbiamo difendere continuando a lottare. La lotta radicale femminista e l’obbedienza alle leggi sono due cose che fanno a pugni tra loro”

Intervista a ROTE ZORA www.senzacensura.orgImmagine rimossa.

“ Strategie di controllo e repressione”

1) Stimolanti e tranquillanti Immagine rimossa.

2)Ordine Pubblico e Pubblica Sicurezza Immagine rimossa.

3)Fuori l’Italia dalla Nato Immagine rimossa.

La Parentesi dell'8/04/2015 "Controllo cosciente"

Data di trasmissione
Durata 5m
http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/04/09/la-parentesi-di-elisabetta-dell8042015/ “Controllo cosciente”

Immagine rimossa.
Il patriarcato intimidisce, esige, vieta, minaccia, coltiva la rassegnazione, offusca la coscienza e i desideri delle donne.

La lotta, oggi, poggia sulla capacità e possibilità di rigettare il controllo che il patriarcato esercita sui codici, sui canali di comunicazione, sulle modalità di decodificazione e interpretazione della storia.

La sfera globale della lettura della storia è necessaria per l’esistenza del femminismo

La donna merce è anche una forma della coscienza , anzi la sua forma inconscia per eccellenza, la sua forma automatica. Programmare la coscienza della donna-merce è un lavoro fondamentale della formazione semiotico ideologica borghese. E’ il suo strumento principe e il racconto, il ricordo, la storia e le gambe con cui cammina sono le socialdemocratiche. La coscienza del patriarcato opera per il loro tramite e i loro racconti e la loro storia hanno un carattere di feticcio, in essa si riflette l’apparenza della realtà, il carattere del mondo patriarcale. Dominio reale del patriarcato, nella metropoli imperialista , nella stagione neoliberista, vuol dire questo: assoggettamento della coscienza individuale delle donne ai programmi di comportamento della borghesia per ciascun rapporto sociale.

Viviamo in una comunità illusoria che produce una coscienza illusoria di sé, una catena che si può spezzare solo ponendo le proprie pratiche sociali in rapporto antagonistico assoluto con l’intera società capitalista patriarcale.

Da qui la necessità di smascherare la lettura socialdemocratica della nostra storia che opera censura e rimozione sullo spirito e la pratica femminista. Per questo si segregano, si omettono, si manipolano le motivazioni della trasgressione femminista dei codici di comportamento patriarcali, generate dai rapporti sociali antagonistici propri del femminismo, tentando attraverso il censurato ed il rimosso, la trasposizione, per via semiotica, dentro la donna.

Si vuole, in definitiva, che ogni donna assimili rappresentazioni e concetti elaborati dal patriarcato e si spaccia questa per coscienza spontanea e propria.

Ma la manipolazione borghese delle singole individualità è, sì, reale, ma è altrettanto instabile e mai definitiva, dal momento che è contraddetta, giorno dopo giorno, nel nostro vissuto quotidiano.

Le ideologie non sono finite e non hanno tutte lo stesso segno. Accanto a quelle che sposano la causa del dominio, di tipo tradizionale o verniciate a nuovo, ce ne sono altre che non sono rivolte al passato o alla sua conservazione, ma sono rivolte al futuro. Magari non hanno forme compiute, ma sicuramente abbozzi di motivazioni altre che si basano su un processo incessante di presa di coscienza delle stesse leggi di formazione della coscienza. La conquista di un tale obiettivo è frutto di una prassi sociale, di una lotta di classe e di genere per scrollarsi di dosso le incrostazioni accumulate in anni di complicità con l’ideologia e la pratica borghese e patriarcale.

Il controllo cosciente del proprio comportamento è una possibilità tutta da conquistare. Coscienza di genere è avere consapevolezza dei complessi meccanismi delle leggi e dei processi di interiorizzazione delle ideologie ufficiali, vecchie e nuove, significa capacità di progettazione consapevole del nostro futuro, significa pratica sociale orientata alla realizzazione delle nostre aspirazioni e alla liberazione di noi tutte.

La coscienza personale non si annulla nella coscienza sociale, ma in questa prende linfa e si arricchisce e si sviluppa e si consolida nel corso della rivoluzione sociale contro tutte le manifestazioni del dominio reale del capitale e del patriarcato.