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entropia massima

Matriarché: il principio materno per una società egualitaria e solidale

Data di trasmissione
Durata 43m 36s

C’è stato un momento nella storia dell’umanità in cui sono esistite società egualitarie e solidali, fondate sull’armonia con la natura? Secondo alcuni non solo ci sono state ma esistono tuttora, in alcuni luoghi del mondo, società pacifiche, fondate sull’equilibrio di genere e in accordo con la natura. Si tratta di organizzazioni matrilineari o matrifocali in cui la maternità è considerata il valore fondante. Matriarché è un progetto interdisciplinare volto proprio allo studio di queste società che, in passato, ma soprattutto nel presente creano un contesto sociale più armonico, dove la relazione uomo-donna e le relazioni in generale sono fondate sui princìpi della cura e della nonviolenza.

Partendo dal lavoro della ricercatrice tedesca Heide Goettner – Abendroth tradotto finalmente in italiano nel libro le società matriarcali proveremo a mettere  in evidenza  la connessione tra le società matriarcali e le “sensate” società della decrescita.

L'autrice scrive : “ In questi studi c’è comunque una aspetto che supera per importanza tutti gli altri, ed è l’insegnamento che offrono le società matriarcali, dalle quali possiamo trarre soluzioni ai problemi sociali di oggi ed il coraggio per fare i passi politici necessari a stimolare il processo di trasformazione della società patriarcale in una società umana. Alla luce delle profonde crisi ecologica, economica e politica che oggi stiamo affrontando, questa è un’assoluta necessità.”

L’idea che esisteva una forma di società chiaramente distinta dal patriarcato comparve solo nel XVIII e XIX con il lavoro di J.J. Bachofen e altri. Nel 861 scrive “Il diritto della Madre” aprendo la strada alla discussione in questo campo.

Tuttavia nel 1724 Joseph Francois Lafitau propone una narrazione della vita quotidiana degli Irochesi, presso i quali viveva in Canada, dando una descrizione particolareggiata specialmente per quanto riguarda l’importante ruolo delle donne. Il suo libro è un importante fonte di dati.

Il malinteso nato sull’idea del dominio delle donne è dovuto proprio allo studio di Bachofen che, scrivendo del matriarcato, usava anche il termine ginocrazia e diritto della madre. Questo pregiudizio ostacola ancora oggi la ricerca inerente gli studi matriarcali.

Ne parliamo lunedì 9 dicembre in Entropia Massima. Saranno presenti con Daniela Degan (Laboratorio Itinerante della Decrecita) Monica di Bernardo e Francesca Colombini le curatrici del Libro "Matriarché. Il principio materno per una società egualitaria e solidale".

 
In questo link trovate il documentario sugli studi matriarcali:
 .ExternalClass .ecxhmmessage P { padding:0px; } .ExternalClass body.ecxhmmessage { font-size:12pt; font-family:Calibri; }
https://www.youtube.com/watch?v=XrFP0QdxcKI
sollecitazioni su forme di socialità più armoniche e dove il rispetto tra i generi sia reale.

 

 

Ecco la puntata del 9 dicembre 2013:

 

Puntata 8- 9 dicembre 2013 - Società matriarcali

 

Fukushima Mon Amour

Data di trasmissione
Durata 48m 45s

Il disastro nucleare di Fukushima non è purtroppo un evento del recente passato, ma del presente e del prossimo futuro. Forse il peggio deve ancora venire e questa considerazione non è gratuito catastrofismo. In trasmissione cercheremo di capire insieme quali erano e sono le criticità tecnologiche e scientifiche e i pericoli connessi alle operazioni in corso e in programma. A conferma della gravità della situazione, l'appello di pochi giorni fa lanciato dalla Tepco, l'azienda responsabile dell'impianto, per una collaborazione internazionale che possa affrontare gli enormi problemi di "messa in sicurezza" degli impianti del mostro nucleare.

 

Ne parliamo il 25 novembre alle 20:15 durante "Entropia Massima".

 

 

Puntata 6- 25 novembre - Energie devastanti

 

Ninux: un'altra rete è possibile!

Data di trasmissione
Durata 45m 46s

Ninux.org è una Community wireless, un progetto alternativo di rete aperta e decentralizzata basata sulla partecipazione, quindi non vi sono proprietari, ma è di tutti quelli che ne vogliono far parte. Ne parliamo in "Entropia Massima" come esempio di buona pratica, nata dall'idea di relazionarsi tra pari, senza gerarchie, senza privilegi, senza esclusività dei mezzi di produzione e comunicazione. Una pratica che ci dimostra che un altro modo di organizzarsi e fare tecnologia è possibile, oltre che necessario.

 

ASCOLTA LA PUNTATA:

 

Puntata 5- 18 novembre - Tecnologia e autogestione

 

Makerz

Data di trasmissione
Durata 43m 15s

I maker rappresentano un movimento culturale contemporaneo, che estende su base tecnologica il DIY (Do It Yourself). Legato al movimento dell'open source, si propone di "fare" comunicando il come, in modo che i risultati siano riutilizzabili e migliorabili da altri/e.

Comunità crescenti di maker sperimentano nuovi approcci alla produzione basati su tecnologie a basso costo, anche su piccolissima scala. Nuovi processi di innovazione tecnologica e produttiva, emergenti dal basso e che si dispiegano su piccola scala, prefigurano un progressivo sganciamento dall'industria della produzione di massa, fino a teorizzare una nuova rivoluzione industriale.

Ne parliamo lunedì 28 ottobre alle 20:15 in Entropia Massima. Sono più che graditi gli interventi in diretta degli ascoltatori e delle ascoltatrici!

 

 

ASCOLTA LA PUNTATA:

 

Puntata 2- 28 ottobre - Tecnologia e autogestione

 

Verso l'economia del dono

Data di trasmissione
Durata 44m 58s

 

Genevieve Vaughan parlerà dell'economia del dono che si basa sulle cure materne, che sono necessarie in tutte le società, chiunque le faccia: le madri di nascita, la famiglia estesa o interi villaggi. Sono pratiche che possono essere realizzate  anche dagli uomini, ma nella nostra società patriarcale sono concretizzate  quasi esclusivamente dalle donne.


Dirà qualcosa sui nuovi studi di psicologia infantile che sostengono un differente pensiero rispetto Freud e Piaget:  i bambini piccoli non sono passivi ed egoisti, ma che sono altamente sociali fin dalla nascita. Quindi il materno è anche altamente sociale, e la comunicazione si impara già in modo pre-verbale attraverso il dare e ricevere nelle prime cure. Su questa base, che ha una logica del dare e ricevere, non del dare per ricevere si crea una economia del dono in cui vivono i bambini fino almeno ai quattro anni,  quando incominciano a capire lo scambio economico. Questo periodo di grazia si può estendere in parte fino ai 10-12 anni quando tutti si adattano alla società di mercato in cui vivono. Nelle società senza mercato questo adattamento non è necessario ed il tipo di personalità può essere molto diverso. Si racconta che gli indigeni nelle Americhe al momento della conquista  non compresero, in modo assoluto,  le motivazioni degli Europei che l’invasero.

 

 

ASCOLTA LA PUNTATA:

 

Puntata 1- 21 ottobre - Società matriarcali

 

Gen pensa  che il linguaggio e l'epistemologia di tutti si sviluppano in questo periodo dell'infanzia. Lo scambio ha un' altra logica che contraddice la logica materna unilaterale e quindi noi che viviamo nel capitalismo patriarcale siamo fin da giovani posti in una contraddizione interna fra due economie. In un  quadro più generale, il mercato funziona come un meccanismo per prendere i doni di tutti e della Terra.

Per una falsa idea di genere,  i maschi si allontanano dal materno e si adeguano al mercato, e poi le donne li seguano. Invece il materno è l'eredità di tutte/i alla quale nessuno dovrebbe rinunciare. E' un modo di comportamento, di valori e di distribuzione, un'economia che deve essere generalizzata alla società tutta per poter vivere in pace fuori  dalla competizione, dal dominio e dalla scarsità artificialmente creata.

Genevieve parlerà infine della rete International Women for a Gift Economy – (Femministe Internazionali per l'Economia del Dono), costituito nel 2001  e delle molte conferenze dove hanno fatto interventi. E' tornata da poco dalla Turchia dove è stata invitata a un Gif -festival - un festival del dono-  organizzato da un nuovo gruppo di donne e uomini internazionali che si dedica all'economia del dono. Racconterà anche qualcosa su vari tentativi  a praticare il dono in comunità.

Tutte le puntate della stagione 2013-2014

Data di trasmissione

Tutte le puntate della stagione 2012-2013

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Il prodotto sei tu

Data di trasmissione
Durata 45m 47s

La puntata omonima di Report (trasmissione in onda su Rai Tre) del 10 aprile scorso, ha trattato il tema della privacy su Internet, usando argomenti vicini a quelli che usiamo nella nostra trasmissione radiofonica quando parliamo di informatica e tecnocontrollo. Sorprendentemente (ma neanche troppo...), la puntata di Report ha destato critiche da parte degli entusiasti di Facebook e dei Social Network, critiche che sono state amplificate da alcuni media mainstream, in particolare da quotidiani come la Repubblica e L'Unità. Ne parliamo nella puntata di Entropia Massima di oggi, alla quale abbiamo voluto dare lo stesso illuminante titolo della puntata di Report: "Il prodotto sei tu". Riportiamo nel seguito una email anonima che abbiamo trovato in rete.

 

 

Spettabile redazione di Report,

siamo un gruppo di appassionati di informatica. Non e' importante quale.
La puntata del 10 aprile "Il prodotto sei tu" è stata
veramente interessante. Finalmente qualcuno che parla in tv di quanto
Facebook, Google e altri colossi del web minaccino la privacy! In un
modo decisamente avanzato, rispetto a quello che si vede passare sulla
televisione generalista. Seppur non impeccabile da un punto di vista
tecnico, siete comunque riusciti a far passare il messaggio che non si
può avallare e invitare all'uso di una tecnologia, posseduta da una
multinazionale straniera, che a discrezione può eliminare o censurare
contenuti e quindi interferire nello scambio ed il confronto
democratico tra i cittadini.

 

Il servizio secondo noi non era tecnicamente perfetto. Ad esempio, https
è stato presentato come un rimedio salvifico che Google e Twitter ed
altri hanno finalmente imboccato, mentre Facebook lo ritiene
facoltativo: questo ha poco a che vedere con la privacy.  Https e' per
la sicurezza, non per la privacy (due concetti profondamente diversi).
Inoltre non abbiamo apprezzato particolarmente la posizione sulla
pirateria e anch'essa c'entra ben poco con la privacy. Apprezzabili
invece i riferimenti alla differenza tra  "hackers" e  "crackers" e di
come i primi ritengano importante l'anonimato in rete. Ci pare pure che,
proprio perche' il pezzo voleva essere divulgativo, si poteva andare
oltre il pur giusto e circostanziato sollevamento delle obiezioni
inquietanti riguardanti la privacy, proponendo strumenti per
l'autodifesa. Sul finire della puntata avete accennato a TOR, anche se
come contromisura alla censura piuttosto che sul tema privacy. Inoltre
Tor e' un buon rimedio per google e soci ma serve a poco per
facebook. Il problema del tracciamento dei dati si risolve ora
abbastanza facilmente anche senza tor, ma usando le 'privacy extension'
dei browser, firefox ha vari 'plugin', IE ha il bottone privacy
browsing, Safari lo sta mettendo, ecc.
Il problema dell'uso di facebook e' solo di un uso piu' cosciente: se
proprio bisogna usarlo, dato che quel che scrivi la' dentro non e' tuo,
scrivi il meno possibile, scrivi poche informazioni personali, NON
METTERE MAI informazioni/foto su altri utenti o persone in generale,
evita di usare 'I like' e evita di usare applicazioni che diano
informazioni che non vuoi veramente dare (tutte quelle che dicono dove
sei, o che fai, o con chi sei). Qualsiasi cosa metti o pigi su facebook
da informazioni di te anche a chi ti vuole male (Stato compreso). Sii
sempre cosciente di quel che scrivi li'. Non dare amicizie a chi non
conosci. Cambia le preferenze per restringere agli amici la visibilita'
delle tue informazioni (ci sono vari tools javascript per fare questo in
automatico tramite booklet).

 

Nel servizio si poteva andare oltre e citare altri strumenti,
alternative e contromisure per proteggersi. Speriamo ci possano essere
successive puntate in cui questo potrà avvenire e che il servizio non
sia invece self-contained. Fermo restando che era ora che si iniziasse
a veicolare anche in televisione messaggi riguardanti la
centralizzazione delle informazioni, rischio censura e la questione
profilazione/pubblicità, saremmo felici di vedere nuove puntate ancora
più approfondite su questi temi.

 

E' strabiliante vedere come gli attacchi a questa puntata siano venuti
da quel sottobosco di blogger e tecnoentusiasti (ma tecnoignoranti) che
evidentemente si prendono molto sul serio, senza accorgersi che mentre
organizzano la loro vita online da un lato, dall'altro diventano un
prodotto su cui si specula e un bersaglio della repressione.

Insomma, la cosa sconvolgente non e' che abbiano trovato il servizio
brutto e malfatto (sarebbero opinioni), ma che lo abbiano attaccato
percependolo come un attacco ai loro totem e alla web economy. A nostro
giudizio, invece, sono state dette cose totalmente ovvie per chi lavora
su Internet, ma che evidentemente hanno infastidito chi usa caprinamente
e acriticamente il Web2.0. Per questo non comprendiamo la risposta di
Milena Gabanelli, che definisce "colti" coloro che vi hanno criticati,
difendendosi con l'affermazione che la trasmissione era comunque
destinata ad un pubblico più televisivo. Semmai è vero esattamente il
contrario e cioè che avete dato prova voi di esservi meglio documentati
(anche se con alcune carenze, come detto sopra).

 

Sicuramente per un utente medio di Internet sarebbe più facile e diretto
informarsi, ma ci viene da pensare che molti di loro non lo vogliano
nemmeno fare: non hanno tempo o voglia di cercare in Internet
informazioni sul loro giocattolino tanto amato. Il vostro servizio non
ha spalato merda su qualcosa, ma ha informato in modo abbastanza
corretto i cittadini. Ha messo un minimo di tarlo di critica verso degli
strumenti che la massa usa inconsapevole di molte cose.

 

Chi sguazza con certi strumenti, forse ergonomici, ma opachi all'utente
e parecchio pericolosi, mentre da un lato si alfabetizza all'uso di
Internet, dall'altro non fa quel passo in più che è necessario per
prendere consapevolezza del pericolo a cui espongono se stess*, e tutt*
noi di riflesso, usando certi strumenti o usandoli in un certo modo.
Perche' ignorano determinate questioni. Se siete interessati a
sviluppare queste tematiche, come speriamo, il vostro compito, adesso,
e' quello di informarli anche su cosa si puo' fare concretamente.

 

Infine, cara report, dato che hai mostrato con questa puntata
interesse per i temi a noi cari, ti invitiamo al prossimo hackmeeting
che si terrà a Firenze, per approfondire i temi affrontati e
continuare il lavoro di diffusione di consapevolezza sull'uso critico
degli strumenti informatici che quotidianamente utilizziamo.

 

Come si esce dalla società dei consumi

Data di trasmissione

La via è il Tao di Lao Tse….E’ al tempo stesso di più e di meno dell’etica così come la intendiamo in occidente. E’ una strada da inventare con l’aiuto di un maestro che forse non esiste. La via della decrescita è il ritorno della saggezza, e la saggezza non coincide con la ragione razionale.

  1.  
  2. La via della decrescita è un’apertura,un invito a trovare un altro mondo possibile. Questo altro mondo noi lo chiamiamo società della decrescita. L’invito è a viverci, qui e ora, e non in un ipotetico futuro, che, per quanto desiderabile, forse non vedremo mai. Questo altro mondo dunque sta anche in quello in cui viviamo oggi. Sta anche in noi. La via è anche uno sguardo, un altro sguardo sul nostro mondo, un altro sguardo su di noi.

  3. La via non è assicurata. Forse anche il Passaggio a Nord-Ovest per raggiungere il mondo dei sogni esiste soltanto in sogno. Ma la ricerca della via non è già la via? E’ possibile che alcuni, seguendo un maestro, l’abbiano già trovata? Forse, ma come saperlo?

  4. La via della decrescita è dunque prima di tutto una scelta. La decrescita scelta non è la decrescita subita. La via della decrescita è la via della semplicità volontaria? E’ anche la semplicità volontaria, ma non si esaurisce nell’etica della sobrietà. La via della decrescita è la rivoluzione economica e sociale? E’ anche la rivoluzione economica e sociale, ma non si riduce all’etica della resistenza, della rivolta e dell’insubordinazione.

  5. La via della decrescita è la strada della felicità? La via della decrescita è in ogni caso, una via di uscita dall’enorme decadenza generata dalla società della crescita . Una via d’uscita per recuperare la stima di se stessi. E’ la via per ricostruire una società decente. La società decente, dice il saggio, è una società che non umili i suoi membri. E’ una società che non produce rifiuti. La via della decenza è anche la common decency di George Orwell.

  6. La decenza comune significa avere ritegno, essere attenti, essere capaci di avere vergogna per quello che viene fatto al mondo e alle persone. La società della crescita è un mondo svergognato, un mondo in cui regna il disprezzo. E il desiderio di sfuggire al disprezzo è una aspirazione universale, (forse la sola veramente universale) che si realizza soltanto nelle società decenti. Un mondo decente forse non è un mondo di abbondanza materiale, ma è un mondo senza miserabili e senza brutture.

  7. La decrescita coincide con la lotta per la dignità degli zapatisti, con la “dignità ribelle”. La dignità esige che noi siamo noi stessi. Ma la dignità non vuol dire soltanto essere noi stessi. La dignità esiste soltanto se esiste l’altro. Perché noi siamo noi stessi soltanto in rapporto all’altro. E l’altro è altro in rapporto a noi. Dunque la dignità è uno sguardo. Uno sguardo su noi stessi che guarda anche l’altro, che a sua volta si guarda e ci guarda. La dignità dunque è riconoscimento e rispetto.

  8. La dignità è la lotta perché la dignità coincida con il mondo. Un mondo dove hanno posto tutti i mondi.

  9. Quando diciamo che la decrescita è un progetto politico, intendiamo che è anche un’etica, perché per noi, come per Aristotele, la politica non è concepibile senza un’etica, e viceversa, anche se è opportuno non confondere i due piani. Una politica che fosse soltanto un’etica sarebbe impotente o terroristica, ma una politica senza etica (come quella che viviamo soprattutto a partire dalla svolta degli anni novanta, dal grande balzo all’indietro neoliberale) vede il trionfo della banalità del male.

  10. L’etica della decrescita unisce disciplina personale e impegno nel mondo. Il ritiro dal mondo e la sola ricerca della perfezione individuale sono una forma di rifiuto dell’essere, come lo è l’impegno nel mondo senza la preoccupazione per la propria felicità. La militanza fine a se stessa è l’immagine speculare della guerra economica. Entrambe sono un rifiuto dell’essere. In nome del progresso distruggono la bellezza del mondo per inseguire la loro chimera. La fuga nel futuro, che sia l’avvenire radioso dell’utopia comunista o la redenzione in una trans umanità, è una negazione del presente e della condizione umana. La decrescita o sarà gioiosa o non sarà.

  11. La via della decrescita non è ne il rifiuto ne l’accettazione del mondo. E’ sia il suo rifiuto sia la sua accettazione. Bisogna rifiutare il mondo (immondo) dell’economia della crescita e accettare la vita come gioia.

  12. La decrescita è una accettazione dell’essere, e dunque dell’essere nel mondo e una testimonianza di gratitudine per il dono ricevuto della bellezza del cosmo. Il fatto di aver ricevuto questo dono forse è stato troppo trascurato, non soltanto dal puritanesimo rivoluzionario, ma anche dalla tradizione caritatevole cristiana.

  13. E’ vero che per quest’ultimo la natura è il dono primario. Non è sicuramente né la matrigna avara degli economisti, né la prostituta di Bacon, che bisogna asservire aggredendola.

Ma, a differenza di quanto avviene nelle tradizioni induista o buddista, nella tradizione cristiana la natura, creata per servire l’uomo, non partecipa della sua umanità. In Occidente, la visione cosmoteandrica di un San Francesco d’Assisi è rimasta marginale. Il cattolicesimo continua a muoversi su questa linea, come dimostra l’atteggiamento riservato, se non apertamente ostile, nei confronti degli adepti dell’undicesimo comandamento, “rispetta la natura in quanto creazione divina”. E l’antireligione marxista non è molto diversa.

  1. La via della decrescita è ecocentrica, ma è anche antropocentrica. Senza cadere in un integralismo ecocentrico, si può concepire un compromesso:l’uomo come “pastore dell’essere”, in una concezione che, seguendo Vittorio Lanternari, può essere definita “eco antropocentrica”. Testimoniare la compassione anche nei riguardi delle altre specie non è estraneo alla via della decrescita.

  2. In questo gli obiettori di crescita percorrono gli stessi sentieri dei popoli autoctoni, in particolare di quelli che venerano la Pachamama. La via della decrescita è quella del buon giardiniere, non quella del predatore. Il mito tecnico e prometeico di una artificializzazione dell’universo è una forma di rifiuto del mondo e dell’essere.

  3. La via della decrescita è anche quella della emancipazione e della conquista della autonomia. E’ la ricerca della libertà vera e non della sua caricatura, quella dell’edonismo sfrenato e senza regole proposto dalla pubblicità e dal marketing, e promossa dal nuovo spirito del capitalismo, falsamente gioioso e di fatto mortifero.

  4. Sostituire l’oppio del consumo sfrenato con l’otium, cioè con la “scuola”, quella dei greci, che indicava un “altrove”, libero da ogni preoccupazione di sopravvivenza, di lavoro e di mercato, riservato al tempo libero attivo, in cui il giovane individuo impara una sola cosa:”padroneggiare le proprie passioni”. La via della decrescita è un’uscita di emergenza dal vicolo cieco dell’immondializzazione. L’accettazione dell’essere non è una sottomissione all’esistente. Nella resistenza al consumismo, complice della banalità del male economico, l’obiettore di crescita trova la gioia di vivere.

  5. La via della decrescita è non violenta? Non è la via della violenza cieca, perché dalla violenza nasce solo violenza. Ma, anche se corroso dalla ruggine, il corsetto di ferro della modernità con tutta probabilità non si spezzerà da solo. Noi siamo i ribelli, i franchi tiratori della società della crescita. Siamo in agguato nella giungla delle imprese multinazionali. Siamo, alla nostra maniera, combattenti della quarta guerra mondiale contro l’ordine neoliberale.

  6. Noi siamo anche l’oasi nel deserto della società di mercato. Quando diciamo che esiste un altro mondo e che è in questo, intendiamo che si può e si deve vivere diversamente il presente. Noi cogliamo la possibilità di una fuoriuscita dall’economia, di una via di scampo verso una società e una civiltà emancipate e autonome.

  7. La via della decrescita è una utopia, una visione immaginaria del futuro: non una pura creazione mentale, ma una affermazione a partire dalla negatività del presente, dall’aberrazione di una società della crescita senza limiti. Ispirarsi a nuovi ideali ha già un suo peso sulla realtà di oggi, permettendo tra l’altro di esplorare le possibilità oggettive della loro realizzazione.

  8. La decrescita è un’arte di vivere. Un’arte di vivere bene, in accordo con il mondo. L’obiettore di crescita è anche un artista. Qualcuno per il quale il godimento estetico è una parte importante della sua gioia di vivere. L’etica della decrescita implica necessariamente un’estetica della decrescita. E tuttavia l’etica della decrescita non si riduce a un’estetica. Fare della propria vita un’opera d’arte non è l’obiettivo, ma uno dei risultati.

  9. La via della decrescita è un’ascesi. Limitandosi all’aspetto curativo e alla lotta contro la tossicodipendenza da consumismo, si può riprendere l’idea di Ivan Illich del “tecno digiuno”. La decrescita è un esercizio di emancipazione dalle protesi tecniche, una liberazione dalla servitù volontaria e un allenamento all’autonomia.

  10. La via della decrescita è una conversione di se stessi e degli altri. La conversione richiesta per realizzare la trasformazione sociale necessaria e desiderabile, presuppone che si crei un atteggiamento di accoglienza e di apertura a questo cambiamento. Questa educazione è, al tempo stesso, e indissolubilmente, sapere ed etica, resistenza e dissidenza.

  11. La via della decrescita non è ne moderna ne anti moderna. Noi inscriviamo pienamente il nostro progetto nel solco dell’illuminismo, o piuttosto della sua parte migliore, quella della emancipazione dell’umanità e della realizzazione di una società autonoma. Ma il progetto dei Lumi conteneva una terribile ambivalenza: se da una parte puntava a liberare l’uomo dalla soggezione alla trascendenza, alla tradizione e alla rivelazione, numi tutelari dell’Ancien Règime, dall’altra uno dei mezzi per realizzare quel progetto era il controllo razionale della natura attraverso l’economia e la tecnica. In questo modo, la società moderna è diventata la società più eteronoma della storia dell’umanità, sottomessa alla dittatura dei mercati finanziari e alla mano invisibile dell’economia, oltre che alle leggi della tecno scienza.

  12. L’artificializzazione del mondo finisce per compromettere l’identità stessa dell’essere umano. La realizzazione del progetto di autonomia attraverso la fuga in avanti tecno scientifica porta al transumanesimo. Oltrepassando le barriere biologiche che ci limitano, ci si vorrebbe emancipare dagli ostacoli legati al nostro condizionamento genetico.

  13. L’emancipazione attraverso la tecno scienza è una falsa emancipazione, ci mette in contrasto con la madre terra e rivela un rifiuto della realtà. La “negazione del suolo” che produce sradica l’uomo fino al punto di manipolare il suo corpo, di creare una minaccia forse mortale per la sua integrità e di farlo sparire nella transumanità vagheggiata dal bricolage delle nanotecnologie.

  14. Per questo il ritorno al locale ha un ruolo primario nel progetto della decrescita, in quanto ci lega alla madre terra contrapponendosi alla negazione della realtà insita nella crescita. La via della decrescita è riconquista della realtà e della terra che ne è il principio. Si tratta di abitare la terra come un territorio, un luogo di complicità e di reciprocità. Di ritrovare la nostra intimità con una dimensione originaria.

  15. La via della decrescita è quella della libera critica. E’ quella dell’autolimitazione e non dello scatenamento senza freni delle passioni tristi. La decrescita vuole riprendere il programma di emancipazione politica della modernità, affrontando le difficoltà che comporta la sua realizzazione.

  16. Se la decrescita e il progetto di costruzione di una società autonoma realizzano il sogno di emancipazione dei Lumi e della modernità, non lo fanno attraverso uno svincolamento dal legame con la natura e dal radicamento nella storia, ma al contrario riconoscendo la doppia eredità della nostra naturalità e della nostra storicità. Bisogna lottare contro l’illimitatezza dell’individuo e del suo rapporto con la natura che abbiamo preteso di creare. La via della decrescita è questa lotta.

  17. La via della decrescita è una emancipazione dalla religione della crescita. Richiede dunque necessariamente un “de-credere”. Bisogna abolire la fede nell’economia, rinunciare al rituale del consumo e al culto del denaro. Per alcuni teologi, la società della crescita poggia su una struttura di peccato. Contrariamente alla formula sventurata dell’enciclica Populorum progressio, lo sviluppo non è il nuovo nome della pace ma quello della guerra.

  18. Nella società della crescita non ci sarà mai più ne pace ne giustizia. Al contrario, una società della decrescita riporterà al proprio centro la pace e la giustizia. Non si vuole cadere nell’illusione di una mitica società perfetta in cui il male sarebbe sradicato definitivamente, ma inventare una società dinamica che affronta le sue inevitabili imperfezioni e contraddizioni dandosi come orizzonte il bene comune anziché l’avidità sfrenata. La via della decrescita non è una religione ne un’anti religione, è una saggezza.

  19. Per gli obiettori di crescita la ricerca della via è un dovere, ma non è un imperativo categorico di tipo kantiano, anche se noi facciamo nostro l’imperativo kantiano come riformulato da Hans Jonas: “ Agisci in modo che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana sulla terra”. Il principio di responsabilità di Jonas è parte integrante dell’etica della decrescita.