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Manifestazione violenza degli uomini sulle donne

Data di trasmissione
Durata 55m 9s
Durata 1h 0m 51s

Ascolta  le fasi preparatorie della imminente manifestazione nella trasmissione “È una calamità di cui ci rendiamo perfettamente conto” a cura del Coordinamento Lesbiche Romane del 20 Novembre 2007 (211ª puntata)

Di seguito anche la puntata del 27 Novembre 2007 (212ª puntata)

 
Manifesto per la ricomposizione di un percorso di lotta contro la violenza maschile sulle donne

La nostra analisi della violenza maschile sulle donne è radicale, nel senso che ne indaga le
radici, il percorso alle nostre spalle è lungo e approfondito, le nostre pratiche sono
conflittuali.
In Italia un giorno sì e uno no un uomo uccide una donna.
Il termine “femminicidio” indica ogni forma di violenza commessa da un uomo su una
donna in quanto donna: stupri, violenze e abusi fisici, molestie, persecuzioni, ecc.
La violenza degli uomini sulle donne è frutto della cultura e del sistema patriarcale.
Serve a mantenere le donne sottomesse ed a punire e a riappropriarsi delle lesbiche.
La violenza degli uomini sulle donne serve a perpetuare questo sistema di oppressione, il
patriarcato, che è perfettamente alleato degli altri sistemi economici (capitalismo, neo-
colonialismo) e con i dispositivi ideologici di oppressione (fascismo e razzismo).
Ci sono dei chiari e forti nessi tra la violenza privata e domestica sulle donne e la violenza
istituzionale e dello stato, sempre sulle donne.
La violenza sulle donne non ha colore, né passaporto, né classe, né età, ma ha un unico
genere: sono gli uomini a compierla.
L’assassino ha le chiavi di casa. I luoghi della violenza sono molti, ma gli uomini che la
commettono sono quasi sempre conosciuti: mariti, padri, fidanzati, ex fidanzati, ed altri
uomini conosciuti, datore di lavoro, professore, medico.
Per le donne la precarietà economica significa minor reddito e dipendenza economica dai
mariti. Femminilizzazione del lavoro, destrutturazione del mercato del lavoro, precarietà,
disoccupazione, peggioramento delle condizioni lavorative, misure anti crisi... spingono le
donne ai margini del mercato del lavoro e le obbligano a sopperire alla mancanza cronica
di servizi sociali.
I media esistono in quanto vendono i corpi delle donne. Sistema massmediatico e sistema
educativo perpetuano la cultura della violenza e i ruoli stereotipati di sottomissione delle
donne.
Nei Cie la polizia stupra. La violenza sulle donne è perpetrata sistematicamente dagli
uomini in armi e in divisa, nei commissariati, nei Cie, nelle carceri.
Gli uomini in divisa ricattano, sottomettono e torturano con abusi e violenze sessuali le
donne e soprattutto quelle senza documenti, rinchiuse, fermate in manifestazioni.
Gli uomini legalmente armati stuprano ed uccidono le donne perché possono farlo. Godono
di tutti i privilegi dell’appartenere alle istituzioni (esercito e forze dell’ordine) che agiscono
il monopolio della violenza da parte dello Stato: hanno le spalle coperte, sono impuniti e
sono addestrati per farlo.

Gli uomini in armi e in divisa stuprano e uccidono le donne nei territori occupati: dai luoghi
del mondo in cui sono impegnati in missioni militari all’estero, a tutte le città italiane in cui
sono impegnati nelle operazioni di controllo del territorio e “strade sicure”.

Non è questa la sicurezza che vogliamo. Denunciamo la strumentalizzazione della violenza
maschile sulle donne per fini repressivi, razzisti e di controllo sociale.
Con l’aumento del controllo sociale diffuso le donne vengono ricacciate in famiglia e ciò
significa maggior esposizione alla violenza: le donne sono doppiamente controllate, dai
mariti e dallo Stato.
Parliamo di stupri di guerra e di guerra quotidiana degli uomini contro le donne. La
sistematicità della violenza degli uomini in divisa è la cartina tornasole della violenza degli
uomini sulle donne.
Gli uomini in divisa stuprano nei commissariati perché tutti gli uomini stuprano (picchiano,
ricattano sessualmente, ecc.) nelle famiglie.
Ci riguarda tutte. Un singolo stupro toglie potere a tutte noi, è una ferita per ognuna di
noi. Mentre accresce i privilegi di tutti gli uomini e aumenta la loro capacità di controllo
sulle donne, attraverso la paura.
Un singolo stupro limita la libertà di ognuna di noi. Per questo è importante la solidarietà
tra tutte le donne.
Guai a chi ci tocca.
Le donne sanno difendersi quotidianamente dalla violenza degli uomini.
Le pratiche di autodifesa femminista fanno parte dei nostri percorsi.
Autodifesa significa:
sapere che no significa no, nella vita quotidiana
riconoscere quando il proprio spazio vitale viene invaso
fidarsi del proprio istinto e riconoscere una situazione di pericolo
riconoscere che stiamo vivendo all’interno di una situazione di violenza
rivolgersi ad altre donne
autodifesa è il lavoro delle compagne dei centri antiviolenza, è autodifesa legale
autodifesa è un centro antiviolenza che si costituisce parte civile
Vogliamo fare un passo avanti: diciamo a tutte le donne che possono e devono difendersi!
mfla

 
 
 

Molto più di 194! Mobilitazione contro i no194 a Bologna

Data di trasmissione
Durata 21m 53s

La corrispondenza di una compagna della rete di gruppi, associazioni, collettivi e singole femministe, transfemministe, queer, trans, lesbiche e gay che si è data il nome di una Favolosa Coalizione, che sabato 13 giugno a Bologna scende in piazza contro la chiamata dei NO\194 ma anche e soprattutto rilanciando politiche che tengano al centro l'autodeterminazione.

 

Segue il comunicato della assemblea #Moltopiùdi194, che si è svolta il 3 giugnosera al Centro delle donne di Bologna, per discutere del percorso di mobilitazione contro l’arrivo del comitato NO194 in città  e dell’ordinanza che la Prefettura sta preparando a questo proposito.

 

Siamo una Favolosa Coalizione di gruppi, associazioni, collettivi e singole femministe, transfemministe, queer, trans, lesbiche e gay. Il 19 aprile, in piazza Santo Stefano, le abbiamo cantate alle sentinelle in piedi, ed ecco che una nuova sortita degli ultracattofascioconservatori ci spinge a tornare in piazza.

Il comitato “no194″ ha annunciato l’intenzione di manifestare il 13 giugno, per nove ore, davanti all’ospedale maggiore di Bologna contro il diritto di interrompere una gravidanza non desiderata.
Abbiamo poi appreso che, per impedire questa iniziativa, la prefettura sta preparando un’ordinanza che vieterà indiscriminatamente qualunque manifestazione politica in prossimità di luoghi ritenuti “sensibili”, come ospedali pubblici e privati, ma anche campi sinti e rom (!). Non ne siamo affatto felici, né consideriamo questa ordinanza un successo politico. Questo provvedimento ci sembra invece funzionale a ridurre le pratiche del dissenso, a normalizzare le tensioni sociali, a costruire uno spazio pubblico apparentemente liscio e pacificato, a trasformare le questioni politiche in questioni di ordine pubblico.

Da femministe e transfemministe sappiamo bene che gli ospedali non sono affatto un luogo neutro perché la salute è da sempre un terreno di scontro politico.

Gli ospedali sono già abitati dal conflitto: lo sono ogni volta che una donna che vuole abortire incontra un medico obiettore, ogni volta che le viene negata la pillola del giorno dopo, ogni volta che una persona trans deve sottostare a un protocollo medico e burocratico deciso da altri, ogni volta che un* bambin* intersex viene sottoposto a interventi chirurgici inutili e dannosi per “normalizzare” i suoi genitali o per rimuovere le sue gonadi, ogni volta che qualunque paziente, per qualunque ragione, viene infantilizzat* e privat* del diritto a scegliere e autodeterminarsi.

Non faremo battaglie di retroguardia nel campo della libertà delle scelte riproduttive, sessuali, affettive. Scenderemo in piazza contro l’iniziativa dei prolife, in difesa del diritto a interrompere una gravidanza e della possibilità per ogni donna di decidere della propria vita. Ma vogliamo molto di più della legge 194.

Vogliamo combattere la piaga dell’obiezione, che consente a medici e infermieri di sottrarsi al dovere di erogare assitenza sanitaria alle donne che decidono di abortire, vogliamo parlare della difficoltà di accedere alla contraccezione di emergenza e all’aborto farmacologico – la pillola RU486, è al momento disponibile solo in alcune parti d’Italia -, vogliamo riattivare un discorso pubblico sulla sessualità e la salute ripensando la funzione dei consultori e avviando nuove sperimentazioni di neomutualismo.

Insieme combattiamo l’imperativo morale e sociale della riproduzione cosiddetta “naturale”, l’idea che il nostro destino sia riprodurci e che se non lo facciamo non siamo complete, l’idea che l’unico luogo legittimo per fare figli sia la famiglia nucleare eterosessuale, che l’unica sessualità “normale” sia quella etero e penetrativa, e che comunque è sempre meglio non parlarne apertamente, specialmente alle/ai più giovani. In questo senso vediamo una chiara continuità, che vogliamo sottolineare, nel tipo di società propagandato dalle varie sentinelle, manif pour tous, nogender, vogliolamamma e no194.

Non vogliamo sopravvalutare la capacità di proselitismo o di orientamento del dibattito pubblico da parte di questi gruppi, ma non possiamo non re-agire agli attacchi che le donne, le lesbiche, le trans, i trans e le froce ricevono costantemente da più fronti. Tentano di patologizzarci, di “sequestrarci” i corpi, di negare la nostra stessa esistenza, ovvero l’esistenza di tutte le forme di vita e soggettività che eccedono l’eterosessualità obbligatoria, schiacciando di nuovo, dopo quarant’anni di lotte, il ruolo della donna sulla figura della madre e della moglie “sottomessa”, da mettere sotto tutela, negandoci la possibilità di compiere scelte autonome sulla nostra vita e il nostro corpo.

Questo era l’incubo totalitario della società fascista, questo è l’immaginario degli attuali ultracattofascioconservatori, questa è la tentazione che si ripropone in un momento di crisi e di ristrutturazione anche dei ruoli di genere.

Il 13 giugno avremmo voluto organizzarci per partecipare alla manifestazione regionale delle e dei migranti per il permesso di soggiorno minimo di due anni, alla quale aderiamo attivamente, consapevoli dei nessi razzisti e nazionalisti che legano la Bossi-Fini e il delirio dei no194, i quali sostengono che “la 194 è peggio delle leggi razziali” per relativizzare la gravità storica del nazifascismo e legittimare il razzismo di ieri e di oggi. Consapevoli che le lotte di autodeterminazione riguardano il diritto a trasformare e abitare il nostro corpo come vogliamo, così come la libertà di dimorare nel luogo che abbiamo scelto e di spostarci altrove.

Invitiamo tutti e tutte all’assemblea organizzativa martedì 9 giugno alle 21 al Centro delle donne di via del Piombo 7 e al laboratorio creativo in piazza Nettuno mercoledì 10 giugno alle 18.30 per costruire insieme delle pratiche gioiose, autodeterminate, desideranti che consentano anche il 13 giugno, davanti all’ospedale Maggiore, un protagonismo delle soggettività che sono direttamente sotto attacco, in continuità con le pratiche creative e comunicative che hanno caratterizzato decenni di lotte contro le strumentalizzazioni politiche sul corpo delle donne, dalla mobilitazione contro l’ingresso degli antiabortisti nel consultorio di Zola Predosa ai presidi contro i seguaci del fu Don Benzi al sant’Orsola, fino alla piazza contro le sentinelle del 19 aprile scorso.

 

Assemblea ‪#‎Moltopiùdi194‬ del 3 giugno 2015

La lotta delle lavoratrici della logistica di Mr Job a Bologna. Processi di autorganizzazione nelle campagne

Data di trasmissione
Durata 53m 58s

Secondo incontro con la rete Campagne in lottaper parlare delle situazioni di sfruttamento nelle campagne di lavoratrici e lavoratori, spesso provenienti da altre zone del mondo e dei processi di autorganizzazione.

 

Nella seconda parte della trasmissione si parla della lotta delle facchine della Mr Job, all'Interporto di Bologna, che autorganizzate con il SI Cobas stanno ottenendo sostanziali miglioramenti della loro situazione lavorativa.

La lotta paga!

 

 

Campagna in lotta: rompere l'isolamento di lavoratrici e lavoratori immigrati

Data di trasmissione
Durata 51m 7s

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Approfondimento con le compagne di "Campagna in Lotta" , una rete che tenta di rompere l'isolamento delle lavoratrici e dei braccianti migranti.

Da Foggia al Piemonte, passando per la Basilicata a Rosarno un excursus dello sfuttamento sessuale nelle campagne italiane, rompere l’isolamento dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati, attraverso pratiche ed azioni che possano produrre consapevolezza ed una conseguente autorganizzazione di percorsi di lotta.