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silenzio assordante

Bologna: la solidarietà che spaventa la procura

Data di trasmissione
Durata 28m 55s

In collegamento telefonico con un compagno da Bologna parliamo dell'operazione "Ritrovo" a carico di compagni e compagne impegnati/e nella lotta contro le carceri e i centri di detenzione amministrativa.

Di seguito il comunicato di solidarietà della Rete Evasioni: https://www.inventati.org/rete_evasioni/?p=3646

INSIEME NEL CUORE E NELLA LOTTA

Tra gli atti a sostegno dell’operazione repressiva del 13 marzo, la Procura di Bologna dichiara apertamente la necessità di togliere di mezzo le persone disposte a lottare e di farlo preventivamente, in considerazione dell’attuale momento storico in cui tensioni sociali potrebbero scatenarsi in tutto il paese.

Le accuse rivolte a 12 compagni/e sono istigazione a delinquere, danneggiamento, imbrattamento e incendio, nel quadro di un’associazione con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Anche quella Procura è convinta che bisogna vivere di miseria e di carcere, e così altre 7 compagne e compagni sono detenuti e altri/e 5 hanno l’obbligo di dimora e di firma.

Descrivere chi vive di solidarietà come “istigatore” non rappresenta solamente un pesante capo di imputazione dal punto di vista di anni di carcere da richiedere. La figura dell’istigatore fa emergere l’ennesimo tentativo manipolatorio dello Stato. La responsabilità di ciò che avviene all’interno di qualsiasi luogo di reclusione, così come nella società tutta, risiede esclusivamente nelle scelte politiche dei vari governi. Chiunque viva sulla propria pelle lo sfruttamento, l’impoverimento, l’esclusione, il pericolo della propria incolumità causata proprio da quelle stesse politiche, sa bene verso chi rivolgere la propria rabbia e non ha certo bisogno di suggerimenti terzi. Lo ha ben dimostrato l’immediata risposta delle persone detenute all’irresponsabile e cinico disinteresse dello Stato sulla gestione dell’emergenza Covid, con le spontanee rivolte di marzo dentro le carceri e le proteste ancora in corso. Così come lo hanno sempre dimostrato le rivolte avvenute all’interno dei centri di detenzione per immigrati.

Da due mesi ci sono rivolte nelle carceri di tutto il mondo perché le persone detenute non accettano di essere condannate al contagio del Covid nel contesto atroce di privazione della libertà.
C’erano Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma e Tommi davanti le mura di tutte le carceri?
Probabilmente sì. Tante Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi e tante/i noi.

La lotta per un mondo giusto, la lotta per la libertà, la lotta contro ogni forma di autorità, non è “istigazione” bensì solidarietà ed è, e sempre sarà, patrimonio di tutti e tutte noi.

In un mondo di muri, droni, guerre, segregazione razziale, violenza di genere e sfruttamento c’è chi sceglie da che parte stare.
SIAMO CON VOI
LIBERI TUTTI LIBERE TUTTE ORA
Rete Evasioni

Mercato sociale: ancora una volta la povertà messa a profitto

Data di trasmissione
Durata 28m 4s

Nasce a Roma il progetto dei "mercati sociali", ennesima misura per "aiutare" le famiglie in difficoltà. Nella sostanza si tratta di una proposta di lavoro socialmente utile svolto gratuitamente e retribuito attraverso dei "punti" spesa. In studio cerchiamo di approfondire come questa ennesima misura di colpevolizzazione e sfruttamento della povertà si stia articolando sul territorio cittadino. Cerchiamo, inoltre, di ricostruire i precedenti che hanno gradualmente strutturato il concetto di lavoro gratuito in Italia.

Bonafede e i PM antimafia per calpestare la vita di migliaia di persone detenute

Data di trasmissione
Durata 33m 8s

A due mesi dalle rivolte nelle carceri italiane, mentre migliaia di persone detenute continuano a vivere in condizioni inaccettabili, cambiano i vertici del DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria), prendendo un piega autoritaria e sviando l'attenzione dai veri problemi della popolazione detenuta. Ne parliamo con un compagno in collegamento telefonico.

Buon Ascolto!

Una sanatoria non fa primavera

Data di trasmissione
Durata 30m 13s

In collegamento telefonico con una compagna facciamo il punto sulla sanatoria per la regolarizzazione delle persone migranti.

Di seguito un contributo dal collettivo Campagne in Lotta: https://campagneinlotta.org/una-sanatoria-non-fa-primavera-non-e-con-un…

 

Una sanatoria non fa primavera: Non è con una regolarizzazione che si decide chi sta dalla parte giusta

Da qualche giorno circola una bozza del decreto che dovrebbe regolarizzare gli ‘immigrati extracomunitari’ in possesso di garanzie di ingaggio in agricoltura. Si parla di una ‘sanatoria’ in due tempi (i braccianti subito e tutti gli altri rimandati a settembre), ma guai a pronunciare la parola per non scatenare le ire di qualche bestia. Da quando Coldiretti e Confagricoltura hanno lanciato l’allarme sulla carenza di stagionali dovuta al lockdown, il dibattito è infuriato su media e social, dando vita a proposte improbabili, sostenute e poi bocciate da soggetti che non paiono conoscere il significato della parola ‘coerenza’ – come ad esempio la Ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova, che inizialmente blandiva le associazioni di categoria aprendo al lavoro ‘volontario’ in campagna per i percettori di reddito di cittadinanza e cassa integrazione, o magari alla semplificazione dei voucher per mettere al lavoro anche studenti e pensionati, ebbene sì, signore e signori (reclutiamoli dalle case di riposo magari, così possono almeno morire all’aperto!). 

Ma è evidente che, a meno di non abolire il reato di riduzione in schiavitù (che comunque vale solo per qualcuno), di italiani da mandare a lavorare nei campi se ne troverebbero pochissimi, e così ecco farsi strada l’ipotesi della sanatoria. Figurarsi che addirittura i rumeni e gli altri cittadini europei ‘di serie b’ disertano il lavoro bracciantile in Italia! E non solo per il coronavirus. Sono almeno tre anni che le cifre ufficiali raccontano di una lenta ma inesorabile fuga di lavoratrici e lavoratori comunitari. Chiunque abbia una possibilità di scelta dai campi scappa a gambe levate e per ottime ragioni, di cui non ci sembra necessario dare conto. Ed è da un po’, almeno da un anno, che le associazioni di agricoltori spingono per avere ‘più immigrati’, anche per via del contenimento degli sbarchi successivo ai criminali accordi di Minniti con la Libia, e poi al blocco dei porti di salviniana memoria. Lo stesso Minniti oggi sostiene appunto la sanatoria, pardon, la regolarizzazione. C’è chi adduce motivazioni economiche, chi anche sanitarie, ma la sostanza non cambia: si parla di regolarizzare solo quando ai cittadini elettori si può raccontare che ci guadagnano anche loro – e non perché se ‘gli altri’ hanno più diritti anche quelli di chi li dà per scontati sono meglio garantiti, ché questo deve rimanere un segreto. Di questo avviso ‘utilitarista’ sembrano essere anche i sindacati, CGIL in testa, che ha avuto l’ardire di proporre i ‘permessi per calamità naturale’ previsti dal primo decreto Salvini – durata 6 mesi, non convertibili, insomma carta straccia, giusto il tempo di salvare i raccolti e poi torni irregolare ed espellibile. Ma le richieste di regolarizzazione si sono moltiplicate da più parti, con USB che propone due petizioni distinte, una per i braccianti e l’altra per le badanti, salvo poi per bocca di alcuni suoi dirigenti VIP dire che ‘bisogna regolarizzare tutti’, sempre per coerenza. E c’è chi dice sanatoria per tutt* e subito. Ma occorre fare forse qualche passo indietro. 

A dicembre 2019 e poi a febbraio 2020, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dichiarava al parlamento l’intenzione del governo di procedere ad una regolarizzazione di chi potesse dimostrare possibilità di impiego; insomma una sanatoria con tutti i crismi, come se ne fanno da trentacinque anni a questa parte in Italia. Se il governo si era finalmente deciso, dopo 8 anni in cui alle politiche che da sempre producono irregolari non sono stati affiancati canali per la regolarizzazione di alcun tipo (tranne quelli, sempre più stretti, della protezione internazionale), non era certo grazie a qualche petizione. Se le pressioni datoriali sono storia vecchia, le lotte di chi vive nei ghetti e nei campi di lavoro ed è costretto a lavorare in campagna lo sono ancora di più. Dopo Rosarno, dopo Nardò, non ci stancheremo mai di raccontarlo, sono seguiti anni di manifestazioni, presidi, blocchi, in Puglia e in Calabria ma anche a Roma. Allo stesso tempo, i sindacati e gran parte della società civile si dissociavano da queste lotte, le ignoravano o peggio le intralciavano attivamente, appropriandosi del loro potenziale e poi disattivandolo completamente per guadagnare facile popolarità. Salvo poi sgomitare oggi per provare ad accaparrarsi lo scettro della vittoria e rivendicare la regolarizzazione come un loro risultato. Dove eravate il 6 dicembre 2019 quando gli abitanti dei ghetti chiedevano documenti? In alcuni casi eravate di fronte alle telecamere, a dire che chi blocca il Porto di Gioia Tauro, esasperato da una vita ai limiti dell’immaginabile, è un criminale. A fare congetture sul fatto che ci fossero regie occulte e irresponsabili. Nella maggior parte dei casi, come sempre, semplicemente zitti. Zitti anche davanti alle botte, alla repressione, alla violenza e agli abusi quotidiani. Fino a quando non avete scorto, dio benedica le pandemie!, un comodo spiraglio, un’opportunità senza rischi. Chiedere una sanatoria ora non significa soltanto oscurare le lotte (e le fughe) che hanno portato fin qui, proprio come vogliono i padroni. Significa proprio consegnar loro le chiavi di tutto, e dire che sì, è giusto pensare a regolarizzare solo quando di mezzo c’è un rischio troppo grosso anche per ‘noi’, e per i nostri stomaci mediterranei.

Qualsiasi sia il risultato finale di questo osceno dibattito, siamo certe che ci sarà da lottare ancora. Con chi verrà truffato per avere un contratto, con chi si vedrà rifiutare la domanda di regolarizzazione, con chi proprio non potrà accedervi, con chi riperderà il sudato permesso, con chi dovrà comunque vivere in baracca, lavorare senza tutele per un salario sempre troppo basso, rischiare la vita per andare al lavoro. Sarà allora che, ancora una volta, sapremo chi sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, degli irregolari, dei reclusi, di chi lotta.      

 

 

Controllo sociale ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata 24m 54s

La pandemia legata al Covid-19 porterà con sé diverse conseguenze sia sul piano economico che sociale. In diverse città d'Italia si sta profilando un'organizzazione modulare dei territori, con particolare attenzione ai quartieri popolari e più poveri. In collegamento telefonico con un compagno di Torino facciamo il punto della situazione sui quartieri Aurora e Barriera di Milano.

Buon Ascolto!

Torino: prove di lotta ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata 21m 56s

Da https://macerie.org/index.php/2020/04/23/prove-di-lotta-ai-tempi-del-corona/

Imparare a lottare ai tempi del Coronavirus. Questa l’esigenza al centro del corteo che questa mattina è partito da corso Giulio Cesare 45. Un’esigenza quanto mai impellente viste le crescenti difficoltà economiche che attanagliano tanti e tante, in una spirale che neanche i più ingenui e ottimisti ritengono possa essere fermata dalle iniziative messe in campo dal governo.

 

Iniziare ad impare a lottare ai tempi del Coronavirus, a partire dal trovare un modo per stare in strada, sentendosi al sicuro da un punto di vista sanitario, e facendo sentire al sicuro chi volesse avvicinarsi. Tutti i manifestanti indossano quindi una mascherina e mantegnono una certa distanza l’uno dall’altro. Chi distribuisce volantini indossa i guanti, e dei pezzi di stoffa usa-e-getta vengono utilizzati per coprire il microfono quando qualcuno vi parla. Attenzioni che accompagnano anche gran parte degli interventi in cui si descrive come comprensibile la paura nello scendere in strada per il timore di contagiare o essere contagiati, ma si ripete con altrettanta insistenza l’importanza di trovare i modi per affrontarla.

Se non ci sono ricette pronte su come fare, per l’assoluta novità di questi problemi epidemiologici, possiamo però esser certi che restare in casa non può essere la soluzione.

Alla lunga, e si tratta di una lunghezza difficilmente misurabile visto che il rischio contagio non sparirà certo con l’inizio della Fase 2 e potrebbero ripresentarsi misure antiassembramento dure a morire, alla lunga, dicevamo, rinchiudersi in questo isolamento e trovarsi da soli a cercar di capire come pagare l’affitto e le bollette, come mettere assieme i soldi per fare la spesa e per tutte le altre esigenze che abbiamo, non farà che aumentare la disperazione e il senso di impotenza.

Rimandare il problema a un futuro quanto mai indefinito non potrà esserci d’alcun aiuto.

Una notevole attenzione e diversi segnali di condivisione e incoraggiamento hanno accompagnato la prima parte del corteo su corso Giulio Cesare fino all’incorocio con corso Palermo. Non appena la manifestazione si è diretta verso corso Vercelli si è trovata alle calcagna alcune camionette della polizia. Allo stesso tempo, alla testa del corteo, è stato sbarrato il passo da un numero ancor più ingente di blindati: alcuni manifestanti sono riusciti a sfuggire alla morsa della polizia e una trentina sono invece rimasti intrappolati. Una trappola che ha fatto saltare tutte quelle misure di distanziamento messe in campo fino ad allora e che ha attirato l’attenzione di numerosi uomini e donne affacciatisi ai balconi e alle finestre per vedere cosa stava accadendo. Dopo un tentativo tanto goffo quanto inutile di portar via microfono e impianto, la polizia si è limitata ad accerchiare i manifestanti mentre altri celerini davano intanto la caccia alle persone sfuggite al fermo. Una situazione di stasi, durata un paio d’ore, che è stata l’occasione per parlare della situazione che stiamo vivendo con i tanti rimasti affacciati ai balconi e con quelli scesi in strada.

Le sensazioni avute in precedenza si sono ulteriormente consolidate in questo imprevisto presidio in corso Vercelli. Dai pollici in alto mostrati da chi non si sentiva di fare di più, agli espliciti applausi provenienti da diverse finestre e balconi, a quanti in strada hanno sfidato il fare minaccioso dei celerini per lanciare delle bottiglie d’acqua o delle merendine o si sono uniti ai tanti cori che intramezzavano gli interventi al microfono. Una solidarietà palpabile che ha permesso di comprendere un po’ meglio l’aria che tira in quartiere, di cui si era già avuto un assaggio domenica scorsa.

Un’aria di cui devono essersi rese conto anche le forze dell’ordine che dopo un primo approccio muscolare hanno optato per una linea più soft, anche se i continui battibecchi tra i dirigenti di piazza mostrano che evidentemente non tutti erano d’accordo. Non accollandosi di caricare tutti di forza sui furgoni e non sapendo bene che pesci pigliare, i questurini hanno alla fine proposto ai manifestanti di lasciarli andar via a gruppi di cinque, distanziati gli uni dagli altri di qualche metro. Le persone bloccate hanno rilanciato chiedendo il rilascio delle due persone fermate nel trambusto e durante le cariche, condizione accettata. Avuta la sicurezza che i due fermati erano liberi, il presidio è tornato ad essere un lungo serpentone, che si è diretto verso corso Giulio Cesare 45, non prima di aver salutato gli uomini e le donne solidali con cui per qualche ora si è condivisa quest’inaspettata esperienza.

Occorrerà continuare a parlarsi e sperimentare forme di lotta in grado di contrastare la miseria che ci si para davanti senza però incrementare il rischio contagio. La manifestazione di oggi è stato un primo tentativo, di certo non esauriente. Una cosa però si respira nell’aria…il coraggio e la voglia di lottare potrebbero diventare contagiose.

Immigrazione, sanatorie, regolarizzazioni, documenti... ripartiamo dalle lotte!

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La diffusione del virus e la sua gestione, sin da subito, hanno fatto emergere le numerose contraddizioni del sistema in cui viviamo e che abbiamo contribuito a creare, in cui la salute delle persone vale meno del profitto che possono produrre.
Una fra tutte riguarda l'accesso ai documenti per migliaia di persone immigrate che sono costrette a vivere senza alcun riconoscimento giuridico. Nelle ultime settimane infatti abbiamo assistito ad una lunga pletora di articoli e dichiarazioni, che hanno coinvolto diversi esponenti del governo, i sindacati e il mare magnum dell'associazionismo, ancora una volta uniti nel sostenere che bisogna regolarizzare le persone straniere perché servono! Ci si ricorda della necessità di una sanatoria nel momento in cui l’emergenza sanitaria mette alcuni settori dell'economia del paese in ginocchio e rischia di crollare il castello di carte costruito negli anni sullo sfruttamento e sul contenimento di lavoratori immigrati.
In campagna come in città, nei centri di accoglienza come in frontiera e nei CPR le persone immigrate hanno lottato, in diverse forme per la libertà di movimento, per poter accedere ai servizi e a un lavoro regolare.
Come procedono allora queste lotte nell'era del COVID? Come metterle in connessione? Quali scenari si aprono in questa fase di emergenza e come incidere su queste dinamiche?
Ne parliamo venerdì 24 aprile su Radio Onda Rossa, all'interno del programma Silenzio Assordante, alle 16:00, a partire dagli interventi e dalle esperienze di lotta di persone che vivono sulla propria pelle il problema dei documenti e si organizzano insieme per trovare una soluzione, in Italia e non solo, anche in questo periodo di isolamento forzato.

Nuove App per combattere il Covid-19: ne parliamo con il collettivo Ippolita

Data di trasmissione
Durata 26m 54s

Per contrastare il contagio del Covid-19, molti governi stanno adottando misure che mettono a forte rischio la privacy delle persone. Ma qual è il confine tra la tutela della salute e il controllo generalizzato? Come si sta muovendo lo stato italiano?
Ne parliamo con il collettivo Ippolita in collegamento telefonico.

Buon Ascolto!