Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa !

silenzio assordante

Aggiornamenti sul CPR di Corso Brunelleschi a Torino

Data di trasmissione
Durata

Il CPR di Corso Brunelleschi a Torino è stato teatro, nelle ultime settimane, di proteste ed evasioni. Ne parliamo al telefono con una compagna.

 

ANCORA UNA VOLTA

Il muro d’acqua che nel fine settimana è piombato su Torino, a uniformare il grigiore di questa città tra cielo e asfalto, non ha spento i bollenti spiriti di chi è rinchiuso nel Cpr di corso Brunelleschi e da giorni si sta battendo per mandare un segnale: non si è disposti a soccombere senza colpo ferire. Sulla spinta delle rivolte che sono avvenute dopo la morte di Faisal, nella notte tra domenica e lunedì i reclusi dell’area gialla hanno tentato in gruppo la fuga. Un ragazzo è riuscito a conquistare la libertà senza essere ripreso, a lui va il nostro saluto con la speranza che possa continuare a lottare nel cammino tortuoso attraverso la fortezza europea, mentre tutti gli altri sono stati riacciuffati, pestati e riportati in sezione.

Purtroppo in questi giorni ci è giunta anche l’amara notizia che Djallo, il ragazzo che aveva testimoniato in merito al decesso, è stato trasferito a Roma nel Cpr di Ponte Galerie insieme ad altri 13 reclusi.

Anche le proteste individuali non sono mancate in questi ultimi giorni. L’assenza di cure adeguate sbandierata oramai in lungo e in largo è solo il picco più alto di una serie di condizioni che stritolano l’esistenza dei reclusi. Già alcune settimane fa ci era arrivata la notizia che ai reclusi veniva somministrato solo un litro di acqua potabile al giorno mentre dai rubinetti usciva solo acqua bollente. Non è un caso infatti che da venerdì 12 luglio per tre giorni una buona parte dei detenuti del centro abbia portato avanti uno sciopero della fame, per protestare tra le altre cose contro il cibo immangiabile che gli viene distribuito.

La pioggia quindi è piombata su Torino e l’acqua si è insinuata attraverso le strutture fatiscenti del Cpr e ha allagato le stanze dell’area blu. A riportare la notizia anche alcuni rinomati media locali, che però si guardano bene invece dal tuffarsi nel pantano delle contraddizioni, dal parlare di tentativi parzialmente riusciti di evasione, ovvero dal diffondere quelle notizie pericolose (per l’indicazione che danno) e politicamente poco spendibili, sopratutto in questa parentesi di ritorno sulle scene dell’affair Cpr e il rinnovato interesse di alcuni “buoni” politici sensibili alla questione.

Purtroppo però non si possono neanche chiudere gli occhi sulle difficoltà che riscontrano tutti quei solidali disposti a saltare a pié pari il campo della mera rappresentazione (o dei tentativi di riformare queste strutture o dedicarsi alla cura di alcuni casi disperati), per provare piuttosto ad abbattere le mura o sostenere chi è disposto, da dentro, a farlo. I presidi davanti al Cpr sono molto importanti, creano una continuità e sono forse anche ciò che fa sentire dentro la possibilità di reagire ai soprusi senza che questi gesti cadano nel vuoto, ma da soli non bastano. La frustrazione nel vedere alcuni ragazzi arrampicati su un tetto a gridare aiuto mentre dentro la polizia reprime con le botte i tentativi di protesta, forse è direttamente collegata non solo alla mancanza di idee e azioni da mettere in campo, ma anche alla mancanza di una prospettiva a medio termine nella quale inquadrare la costruzione di un rapporto di forza reale. Sapere che oggi non si è in grado di fare granché per rintuzzare la violenza e l’arroganza della polizia è un problema, ma ancora peggio è il rischio di accorgersi che non si è in grado di pensare e mettere in pratica i vari passi che portano al superamento di questa impasse. Non è cosa facile, anche partendo dal livello di controllo e repressione che evidentemente si scatena non appena si provi ad agire concretamente in questa direzione. Un percorso che si compone di tanti aspetti, a volte anche noiosi e ripetitivi come informare le persone che abitano nei quartieri dove viviamo di quello che accade dentro, come portare avanti ostinatamente presidi, volantinaggi e saluti anche quando dentro non succede niente e vige la risacca, come provare a mantenere alta l’attenzione con iniziative di vario genere in grado di non far dimenticare a nessuno, a partire da noi stessi, chi sono i responsabili di questa guerra spietata. Un percorso il cui obiettivo minimo riemerge proprio dai fatti di questi giorni: come arrivare preparati alla prossima rivolta, piuttosto che rincorrerla con fatica?

Eppure le rivolte dei reclusi, che riaffiorano attraverso qualsiasi bufera salviniana o di qualche altro boia di Stato, sono lì a ricordarci l’urgenza di questa sfida. Non solo perché l’apporto di chi lotta fuori potrebbe fare una piccola differenza, ma perché c’è da domandarsi se davanti alla nostra coscienza, alla nostra voglia di essere un pezzo effettivo di questo scontro di classe, vogliamo privarci di questa occasione. 

macerie @ Luglio 17, 2019

Deportazioni e resistenze: corrispondenza con Divine

Data di trasmissione
Durata
Durata

Due collegamenti telefonici con una compagna da Milano e con Divine, appena uscito dal CPR di Bari

Buon ascolto!

Bari - Sabato 20 Luglio presidio al CPR

Lunedì 15 luglio verso le ore 13 la polizia si è presentata presso l’abitazione di Divine per condurlo in questura, dove gli è stato notificato un inaspettato decreto di espulsione ad personam, firmato direttamente dal ministro Matteo Salvini.

Nonostante il compagno vivesse in Italia da una ventina d’anni e avesse tutte le carte in regola per la sua permanenza, attraverso un’udienza per direttissima il giudice ha convalidato la misura di espulsione, appellandosi a denunce varie, tra cui la finalità di terrorismo da cui Divine era stato assolto anni fa. Gli è stata quindi data, su richiesta dell’avvocato, un’ora di tempo per prendere dei vestiti e un telefono, che gli è stato sequestrato, ed è stato caricato su un’auto diretta all’aeroporto di Milano Malpensa, dove è stato tenuto in regime amministrativo presso gli uffici della Polizia di Frontiera in attesa dell’esecuzione dell’espulsione, esecutiva dalle 18.53 di lunedì (orario di termine dell’udienza) e da effettuare entro le 48 ore successive.

E’ subito girata la voce tra compagni e compagne, amici ed amiche, e una sessantina di persone si sono recate a Malpensa nel pomeriggio di martedì 16 luglio, dove alle 19.10 un aereo della Air Italy, diretto a Lagos (Nigeria), sarebbe dovuto partire con a bordo Divine. I solidali presenti si sono mossi in piccoli cortei all’interno dell’aeroporto con striscione e megafono, sempre ovviamente seguiti da un ingente concentramento di digos, finanza, polizia e carabinieri, informando tutti e tutte dello scempio che stava per avvenire e bloccando in alcune occasioni i gate d’imbarco. Nel frattempo gli avvocati hanno preparato una serie di ricorsi, tra i quali uno in particolare diretto alla Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), per sospendere l’ordinanza ministeriale, viziata da diverse irregolarità tra cui il fatto che Divine è stato assolto dai reati su cui è basato il provvedimento di espulsione. La Cedu ha infatti considerato la situazione di Divine urgente e ha accolto il ricorso sospendendone l’espulsione, ma è a questo punto che è entrato in scena il subdolo gioco del Ministero dell’Interno: nonostante Strasburgo avesse accettato il ricorso degli avvocati tramite una sentenza esecutiva di sospensione, le autorità presenti nell’aeroporto per un giorno intero si sono rifiutate di dare garanzie riguardo alla non deportazione di Divine e alla sua liberazione. Le procure di Bologna e Milano, la polizia di Malpensa e il Ministero dell’Interno si sono rifiutati di dire agli avvocati in che stato fosse il compagno e dove si trovasse. Solo in tarda serata è giunta la notizia che Divine non era stato rimpatriato, questa è stata l’unica notizia che ci è giunta.

Ma non finisce qui: la mattina del 17 luglio Divine riesce a trovare il modo di contattare dei compagni e delle compagne, raccontando di essere stato trasferito la sera precedente nel CPR di Bari, informato della sospensione della sua deportazione solo poco prima del trasferimento. Alcune ore dopo veniamo informati che Divine si trova in udienza con un avvocato d’ufficio – riguardante il mantenimento dello stato di detenzione nella gabbia barese – alla quale però il compagno rifiuta categoricamente di presenziare, richiedendo di essere difeso dai propri avvocati. Il giudice ha accolto il rinvio e l’udienza è stata quindi rinviata a venerdì 19 luglio alle ore 9, giorno in cui saranno presenti i suoi legali.

Conosciamo Divine, la sua forza, il suo coraggio, la sua determinazione e sappiamo che non si farà piegare da questo ennesimo sopruso, sappiamo che il suo morale è abbastanza alto. Non è un caso che sia stato mandato proprio presso il CPR di Bari, uno dei lager peggiori d’Italia se non il peggiore, conosciuto per la violazione dei diritti umani, la segregazione e le torture vessatorie che lo rendono agli occhi di tutti una struttura duramente punitiva in cui spesso vengono deportati migranti ribelli.
In questi giorni la solidarietà dei compagni di varie città è stata forte e tempestiva e ha reso chiaro a sbirri e magistrati che Divine non è solo e che le loro sporche manovre almeno in questo caso non passeranno sotto silenzio. Ora è importante che la nostra voce si alzi ancora di più contro le mura di quella fottuta gabbia, per Divine e per tutti coloro che ogni giorno, circondati dal silenzio e dall’indifferenza vigliacca della gente, vengono privati della libertà perché poveri, indesiderabili, colpevoli di aver varcato una linea immaginaria chiamata confine. Per tutto questo sabato pomeriggio alle 17:00 saremo a Bari con un presidio davanti al CPR chiediamo a tutti, compagni amici e solidali di venire numerosi.
Sappia il signor ministro e la sua corte che dovunque lo trasferiranno per allontanarlo dalla solidarietà noi saremo lì, e saremo anche nelle nostre città, nelle strade o in qualsiasi luogo ci andrà a genio a reclamare la liberazione immediata del nostro compagno.

Anche quando potremo riabbracciarlo di nuovo non smetteremo di tornare sotto quelle mura, davanti a quelle sbarre identiche a quelle di altre infami gabbie sparse per la Fortezza Europa, per portare avanti con ogni mezzo possibile la lotta contro il sistema che le ha rese e le rende possibili ogni giorno.

A TESTA ALTA, SENZA PAURA DELLA REPRESSIONE, FINCHE’ DI GABBIE E CPR NON POSSANO CHE RIMANERE SOLO MACERIE.
DIVINE LIBERO, TUTTI LIBERI, TUTTE LIBERE!

Genova: porti chiusi… alle armi

Data di trasmissione
Durata
Durata

Vi proponiamo due contributi usciti su https://radiocane.info/ sulla lotta dei lavoratori del porto di Genova

Buon ascolto!

Una piccola ma significativa vittoria quella ottenuta dai lavoratori del porto di Genova che nei giorni scorsi si sono rifiutati di prestare lavoro per una nave cargo saudita e il suo mefitico carico di guerra, replicando l’esempio di quanto accaduto alla stessa nave nel porto francese di Le Havre. Già da tempo alcuni lavoratori avevano preso parola in merito: «Non possiamo tollerare che armi, bombe e mezzi militari passino sulle banchine e sulle navi dove lavoriamo, tantomeno vogliamo collaborare a questi traffici, ben sapendo dove sono diretti (in Arabia Saudita, per esempio) e come saranno impiegati (la carneficina degli yemeniti, per esempio). Il sistema portuale è un perno della logistica e le materie prime e semilavorati in transito sono spesso sporchi, per così dire, di sangue provenendo da Paesi ricchi di risorse naturali ma estratte e lavorate in condizioni di schiavitù che spesso portano alla malattia se non alla morte dei lavoratori. Tanti fuggono per arrivare in Paesi dove sicuramente si aspettano condizioni migliori di vita, ma incontrano i porti chiusi da meschini governanti italiani ed europei che li vorrebbero schiavi, colonizzati ma “a casa loro”. Forza lavoro a basso costo qui come altrove».
Dalle parole ai fatti: per un giorno i lavoratori del porto sono riusciti a ribaltare l’assunto criminale del governo italiano sui porti chiusi chiudendo a loro volta l’accesso ai trafficanti di morte.
Un compagno portuale ci racconta i fatti di questi ultimi giorni.

Un lager per immigrati sta per riaprire a Milano

Data di trasmissione
Durata

Un lager per immigrati sta per riaprire a Milano

Nell’autunno 2019, il CPR di via Corelli a Milano dovrà riaprire. I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono lager in cui vengono rinchiusi gli emigranti senza documenti per essere poi deportati nei loro paesi d’origine. Si tratta di una segregazione su base razziale che utilizza pestaggi, psicofarmaci, stupri e violenze di ogni natura come strumenti di controllo dei reclusi. L’esistenza di queste strutture è inaccettabile.
Il CPR fa parte di un programma, in fatto di politiche sull’immigrazione, che parte da lontano con la legge Turco- Napolitano che istituì questo genere di reclusione amministrativa, recentemente riaggiornato con la legge Minniti-Orlando e infine ripreso dal governo Lega-M5S con un inasprimento in materia di odio razziale e guerra ai poveri.
L’applicazione della legge Salvini su sicurezza e immigrazione coinvolge chi non si conforma al sistema dominante, emigranti e non. L’introduzione di regole sempre più complesse per ottenere i documenti, il potenziamento della repressione e degli strumenti di controllo hanno lo stesso scopo: limitare la libertà di tutti e tutte e abbassare, fino a eliminare, il livello di conflitto.
Ricordando le lotte contro il CPR avvenute in passato e discutendo della situazione presente, vogliamo iniziare a organizzarci contro il nostro nemico comune.

Torino: sullo sgombero dell'occupazione di Borgo Dora e la giornata di lotta del 2 Luglio

Data di trasmissione
Durata

Al telefono con una compagna parliamo dello sgombero di questa mattina della casa di Borgo Dora a Torino e della giornata di lotta prevista per il 2 luglio.

Da https://www.autistici.org/macerie/:

Silvia è stata trasferita al carcere delle Vallette per poter presenziare martedì 2 luglio a un processo in merito a uno sfratto, sarà quindi presente in aula. Vogliamo cogliere l’occasione per essere anche noi presenti e salutarla direttamente, farle sentire tutto il nostro affetto e la nostra forza, la stessa che ci ha trasmesso lei nella sua sfida al sistema carcerario.

Martedì sarà presente anche Leo, compagno anarchico che sta scontando dei definitivi e che ha partecipato allo sciopero contro l’AS2 de L’Aquila. Non sappiamo se verrà tradotto da Lucca oppure se lo costringeranno a presenziare in videoconferenza, in entrambi i casi l’invito anche qui è di mandargli un saluto dall’aula dove si terrà l’udienza.

APPUNTAMENTO ore 8:30 davanti al Tribunale “Bruno Caccia”.

Aggiornamenti sulla protesta nel carcere dell'Aquila

Data di trasmissione
Durata

In collegamento telefonico con una compagna ci aggiorniamo sullo sciopero della fame iniziato il 29 maggio scorso e sulla situazione attuale delle proteste nelle sezioni AS2 da parte di compagni e compagne

Buon Ascolto!

DAL REGNO DELL’AQUILA - AGGIORNAMENTI SULLO SCIOPERO DELLA FAME:
Oggi, 28 giugno 2019, le tre compagne anarchiche rinchiuse nella sezione A.S.2 del carcere di L’Aquila, hanno posto fine allo sciopero della fame iniziato dalle stesse Silvia e Anna lo scorso 29 maggio, facendone comunicazione ufficiale all’istituto penitenziario.
Hanno anche scritto una dichiarazione di conclusione dello sciopero che hanno spedito via posta ad alcune realtà di movimento.
Dal colloquio che si è svolto stamattina con alcune delle avvocate, apprendiamo anche la notizia relativa alla prosecuzione dello sciopero della fame in sostegno alle rivendicazioni delle compagne, oltre che di Marco, detenuto ad Alessandria, anche di Alfredo, detenuto a Ferrara. È ora urgente dare anche a loro comunicazione tempestiva dell’interruzione dello sciopero da parte delle compagne.
In vista di un’udienza che si terrà presso il tribunale di Torino il prossimo 2 luglio, che vede imputata con altri/e anche Silvia alla quale è stata autorizzata la presenza in aula, comunichiamo che il suo trasferimento è avvenuto già oggi.
Anna e Natascia proseguiranno nei prossimi giorni la protesta tramite battitura, unendosi a quella ancora in corso nelle sezioni di 41bis.
A breve le dovute considerazioni.

SCIOPERO DELLA FAME: aggiornamenti sulle compagne e i compagni - PRESIDIO AL CARCERE DI L'AQUILA [domenica 23/6]

Data di trasmissione
Durata

DOMENICA 23 GIUGNO – ORE 15:00

TUTTE E TUTTI A L’AQUILA, ANCORA UNA VOLTA!

PRESIDIO AL CARCERE DI PRETURO

Anna e Silvia, anarchiche rinchiuse nella sezione di Alta Sicurezza 2 del carcere di Preturo, il 29 maggio hanno intrapreso uno sciopero della fame.

Chiedono il trasferimento in un altro carcere e la chiusura della sezione A.S.2 de l'Aquila.

Altre anarchiche ed altri anarchici prigioniere/i le hanno affiancate in questa lotta entrando a loro volta in sciopero della fame nelle carceri di Ferrara, Alessandria, Sollicciano (Firenze), Lucca, Uta (Cagliari).

Numerose azioni di solidarietà sono state compiute in Italia e in altri paesi.

Ora tutti sanno che il trattamento a cui le due compagne sono sottoposte nel super-carcere de L’Aquila è emanazione diretta delle regole imposte nelle sezioni immediatamente prossime alla loro, quelle a regime di 41bis, che qui contengono circa 150 persone.  

Ora tutti sanno che il regime di 41bis regolamentato dal D.A.P. per conto del Ministero della Giustizia dello Stato Italiano istituzionalizza la tortura.

La notizia della prosecuzione dello sciopero della fame, in seguito ad alcune azioni che hanno costretto media e TG a parlarne, ha raggiunto anche le celle del 41bis del carcere di Preturo. Lunedì 17 giugno è iniziata una battitura nella sezione femminile, che è andata avanti nei giorni, per la durata di mezz’ora. La sua eco è arrivata fino alle sezioni di 41bis maschili, dove si è rafforzata, perché altri detenuti hanno iniziato a battere sulle sbarre.

Il 20 giugno, un’altra anarchica è stata portata nella stessa sezione A.S.2 per la cui chiusura Silvia, Anna, gli altri - tra cui Marco e Alfredo anche loro ancora in sciopero della fame - e noi tutti/e ci stiamo battendo. Si tratta di Natasha, arrestata un mese fa in Francia, portata a Roma-Rebibbia in seguito all’estradizione e tradotta infine nel carcere de L’Aquila.

Al suo arrivo ha formalizzato la sua adesione allo sciopero della fame in corso, iniziato da lei due giorni prima a Rebibbia.

Il medico che da settimane sta facendo richiesta di entrare a visitare Silvia e Anna non ha ancora ricevuto l'autorizzazione.

Alla 4° settimana di sciopero della fame dobbiamo, e vogliamo, tornare sotto le mura del carcere de L’Aquila.

Al fianco delle nostre compagne. Al fianco di tutti e tutte le detenute in lotta.

I Compagni e le Compagne

21 giugno 2019

Stones against walls: 50 anni di lotta

Data di trasmissione
Durata

Giugno 1969.

Dopo mesi di violenza, repressione e vessazioni, la notte tra il 27 e il 28 giugno la rabbia favolosa è esplosa. Frocie, lesbiche, trans* armat* di bottiglie, scarpe coi tacchi e sassi, sono uscit* dallo Stonewall Inn – locale gay di New York tenuto già da tempo sotto tiro dalle forze dell’ordine – e hanno detto basta alle aggressioni della polizia, hanno respinto al mittente la violenza che l* perseguitava e che impediva loro di essere e fare quello che volevano.

Nello stesso anno innumerevoli membri delle Black Panthers venivano uccis*, ferit* o arrestat* dalla polizia negli Stati Uniti, in Italia la strategia della tensione faceva esplodere 5 bombe a Milano in Piazza Fontana e la polizia faceva “cadere” dalla finestra Pinelli… mentre succedeva tutto questo, a New York, nel Greenwich Village in particolare, le nostre sorelle froce, trans, butch, travest*, puttane, migrant*, pover* e senzatetto venivano perquisite, minacciate, picchiate ed arrestate ogni giorno perchè non accettavano di adattarsi all’assurda legge che imponeva di indossare almeno tre capi che appartenessero al genere assegnato alla nascita, perché non rientravano nell’immaginario del sogno americano.

Quella notte si sono ripres* le strade e hanno camminato a testa alta un* accanto all’altr* per rivendicare la propria esistenza e libertà di essere ed amare chiunque volessero.
E’ stato insieme la fine e l’inizio di qualcosa: la fine di una storia millenaria di paura e vergogna, di vite vissute nel buio, arrangiandosi ad immaginare esistenze che non destassero sospetto negli altri; ma anche l’inizio del nostro orgoglio, della gioia di rivendicarsi divers*, stran*, non addomesticat* né addomesticabil*, il colpo di scena che lascia tutt* senza fiato e scompagina l’ordine dell’esistente.

La rivolta di Stonewall è un pezzo della storia di tutt* coloro che sentono di essere e desiderare qualcosa di diverso da quello che è stato già preparato per loro.
Da quel giugno 1969 sono passati 50 anni. Da allora la comunità lgbtqi+ ha iniziato a ricordare quella data, a farne un anniversario. Sempre più, tuttavia, questo anniversario si é allontanato dallo spirito originario. Le nostre vite sono oggi colonizzate ed espropriate per farne nicchia di mercato, un brand per ripulire l’immagine di governi che si spacciano per inclusivi delle differenze. I nostri desideri vengono incasellati in un’asfissiante retorica della normalità che ci vorrebbe tutt* in coppia, unit* civilmente e al lavoro per produrre e contribuire al “progresso economico”.

In una fase storica in cui a colpi di decreti sicurezza sulle città cala la scure del decoro e della lotta al degrado, le crociate anti-gender rendono sempre più difficile parlare di differenze, di sessualità, di liberazione dei corpi. La norma binaria che ci vorrebbe tutt* maschi o femmine si impone con tutta la sua forza, negando l’esistenza di tutte quelle soggettività che rifiutano il binarismo di genere, mentre le lotte per i diritti sembrano essere – comunque a fatica – l’unico spazio di azione, in una corsa costante a rosicchiare briciole di riconoscimento.

Ora piú che mai vogliamo ricordare che la notte di Stonewall é stata una rivolta e non una parata, vogliamo celebrare le persone indefinibili, fuori norma, eccedenti e straripanti che c’erano quella notte e che ci saranno sempre.

Quest’anno abbiamo una ragione in piú per essere favolos*, arrabbiat* e anche per divertirci!

Al fianco delle compagne e dei compagni in sciopero della fame

Data di trasmissione
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata

Il 29 maggio nel Tribunale di Torino si è svolta la prima udienza per l’occupazione di c.so Giulio 45. Dietro a uno schermo era presente anche Silvia, in videoconferenza, che ha comunicato l’inizio per lei e Anna, detenute a l’Aquila, di uno sciopero della fame. Questa lotta ha l’obiettivo di contrastare le condizioni a cui sono sottoposte equiparabili al 41 bis e la chiusura della sezione in cui sono detenute. Nei giorni successivi hanno aderito allo sciopero della fame Stecco, Giovanni, Alfredo, Ghespe, Marco e Leo. Tante le iniziative di solidarietà in diverse città per appoggiare anche da fuori la lotta all'interno delle carceri.

Qui di seguito il testo del comunicato letto in aula da Silvia e le corrispondenze con chi ha portato fuori dalle carceri le voci della lotta.

Buon ascolto!

“Ci troviamo da quasi due mesi rinchiuse nella sezione AS2 femminile de L’Aquila, ormai sono note, qui e fuori, le condizioni detentive frutto di un regolamento in odore di 41bis ammorbidito.
Siamo convinte che nessun miglioramento possa e voglia essere richiesto, non solo per questioni oggettive e strutturali della sezione gialla (ex-41bis): l’intero carcere è destinato quasi esclusivamente al regime 41bis, per cui allargare di un poco le maglie del regolamento di sezione ci pare di cattivo gusto e impraticabile, date le ancor più pesanti condizioni subite a pochi passi da qui, non possiamo non pensare a quante e quanti si battono da anni accumulando rapporti e processi penali. A questo si aggiunge il maldestro tentativo del DAP di far quadrare i conti istituendo una sezione mista anarco-islamica, che si è concretizzato in un ulteriore divieto di incontro nella sezione stessa, con un isolamento che perdura.
Esistono condizioni di carcerazione, comune o speciale, ancora peggiori di quelle aquilane. Questo non è un buon motivo per non opporci a ciò che impongono qui.
Noi di questo pane non ne mangeremo più: il 29 maggio iniziamo uno sciopero della fame chiedendo il trasferimento da questo carcere e la chiusura di questa sezione infame.”
Silvia e Anna