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silenzio assordante

Modena - La lotta di chi è costretto nei centri di accoglienza

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Un compagno ci racconta le recenti mobilitazioni portate avanti da chi è costretto, tra lavoro volontario obbligatorio e il ricatto dei documenti, a vivere nei centri di accoglienza in condizioni abominevoli.

Di seguito il comunicato diffuso dopo il corteo del 15 maggio scorso mentre per questo pomeriggio è prevista un'assemblea per continuare la lotta:

Lunedì 15 maggio, eravamo almeno 300 tra richiedenti asilo e solidali in corteo nelle strade di Modena, gridando “Documenti e libertà” e “Basta allo sfruttamento”, con striscioni e la nostra bandiera: “Dignità e documenti per i/le migranti”. Abbiamo percorso il centro-città per prendere parola e denunciare la condizione in cui siamo obbligati a vivere, e per ricordare a tutti e a tutte che non siamo invisibili, che esistiamo e che rivendichiamo i nostri diritti lottando.

Di fronte a tale mobilitazione, le istituzioni non hanno potuto ignorarci. Mentre le persone presenti continuavano a prendere parola, a cantare e a gridare sotto alla Prefettura, una delegazione ha incontrato la prefetta, chi ci ha promesso che tutte le persone richiedenti asilo hanno adesso la possibilità di ottenere la carta d'identità.
Rispetto ai tempi di attesa prima e dopo l'audizione della Commissione d'asilo, la prefetta afferma che le istituzioni e il governo si preoccupano quanto noi di accelerare i tempi di attesa, e che la legge Minniti va in quella direzione. Ma quello che non ha detto è che questa diminuzione dei tempi di attesa non mire a regolarizzarci, ma a renderci clandestini prima e più facilmente. Durante il corteo e davanti alla prefetta abbiamo quindi ribadito la nostra opposizione a questa nuova legge che ci rende ancora più precari.e, per esempio cancellando la possibilità di fare appello alla decisione della Commissione, e che riaprirà le prigioni per le persone senza documenti (CPR), di uno sarà proprio a Modena! Il nostro interesse non è il loro: le istituzioni vogliono rendere più efficace la produzione e l'espulsione dei clandestini, noi vogliamo i documenti e la libertà di movimento e installazione per tutti e tutte!
Abbiamo anche proclamato che il volontariato deve essere realmente volontario, denunciando i ricatti ai quali siamo sottomessi da parte di operatori e operatrici: ci viene detto che lavorare gratis serve ad avere i documenti, ma non è vero. Per integrarci, ci servono i documenti! In più abbiamo denunciato che spesso il pocket money è spesso dato in maniera non corretta, e che gli accompagnamenti sanitari non sono sempre fatti: la prefetta ha detto che farà dei controlli rispetto a ciò, vedremo se la situazione cambierà oppure no.

Il raduno, che era ancora numero e pronto a dimostrare la sua determinazione, dalla Prefettura è partito in corteo verso la Questura, per avere delle risposte sulla questione dei permessi di soggiorno temporanei. Abbiamo incontrato il capo della Questura in presenza dei responsabili di vari offici, che hanno assicurato che la lista di prenotazione per rinnovare il permesso di soggiorno temporaneo è sbloccata e che quindi oggi è possibile fissare l'appuntamento in Questura.
Abbiamo chiesto di poter fare questo genere di pratiche senza l'operatore/operatrice se si rifiuta di accompagnarci, nonostante in teoria sarebbe il loro lavoro. Abbiamo anche denunciato che riceviamo spesso dei documenti già scaduti. Entro 7 giorni dovranno risponderci su queste questioni.

Sono state fatte delle promesse, delle altre rivendicazioni non sono state ascoltate: in ogni caso non ci fermeremo, la mobilitazione è solo all'inizio! Ci nascondo la legge e i nostri diritti per raccontarci delle bugie. Nei abbiamo abbastanza di queste condizioni di vita umilianti, ne abbiamo abbastanza di farci trattare come se non avessimo diritti. Viviamo qui, restiamo qui, continueremo a lottare qui!

Per questo chiediamo di partecipare a un nuovo incontro pubblico domenica 21 Maggio in Piazza Matteotti a Modena alle ore 16:00.
La lotta continua

20 maggio presidio al carcere di Livorno: la parola ai famigliari di Stefano, ucciso dal carcere

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In redazione con la famiglia di Stefano che ci racconta il doloroso vissuto che ha portato alla morte del loro caro.
Per il 20 maggio è previsto un presidio al carcere di Livorno, in solidarietà con le persone detenute e i loro famigliari, perché ciò che è successo a Stefano non accada mai più.

Di seguito il comunicato di indizione del presidio:

Il 22 gennaio 2017 muore a Napoli, nell’ospedale San Giovanni Bosco, Stefano Crescenzi di anni 38.

Stefano era entrato in carcere il 19 marzo 2013 e sin dall’inizio della sua carcerazione il suo stato psico-fisico si era rivelato del tutto inadeguato a sostenere il regime detentivo. Di lui, infatti, si sapeva che era sottoposto da anni ad una specifica terapia farmacologica poiché, a causa di un grave incidente stradale, soffriva di crisi epilettiche oltre ad essergli stata diagnosticata una sindrome bipolare. Sua madre si era immediatamente recata al commissariato per consegnare a coloro che avevano eseguito l’arresto i farmaci necessari alla salute di Stefano. Nonostante le rassicurazioni lo sforzo della madre risultò vano: i farmaci e la prescrizione medica non furono mai dati a suo figlio…

Durante il suo primissimo periodo di detenzione, passato nel carcere romano di Regina Coeli, Stefano provò a togliersi la vita ma un suo compagno di sezione riuscì a salvarlo.
I segnali premonitori di quanto sarebbe accaduto c’erano già tutti ma chi gestisce le vite altrui, i carcerieri nei loro molteplici peculiari ruoli (giudici, secondini, personale medico detentivo, periti di tribunali, colletti bianchi del DAP etc. etc…) non hanno occhi per vedere, accecati come sono dal loro ruolo di potere e di giustizieri. Stefano viene ritenuto uno che finge di stare male, perché in realtà ciò che vuole è uscire dal carcere… Porsi la banale domanda sul “chi non lo vorrebbe?” è legittimo ma ci porterebbe da un’altra parte.

Il Dap (come spesso accade) inizia a fare di Stefano uno dei tanti “pacchetti postali” che di punto in bianco si trovano ad essere trasferiti da un carcere ad un altro. Regina Coeli, Torino e Terni, dove sembra alla fine essere assegnato. In quest’ultimo carcere le condizioni di salute di Stefano precipitano ed i familiari, che vanno regolarmente a trovarlo a colloquio, in pochi mesi si trovano di fronte un ragazzo dimagrito di oltre 50 kg, che si muove su una sedia a rotelle quasi sempre accompagnato da un altro detenuto, che persevera in atti autolesionisti, che non riesce a mangiare ma continua ad essere imbottito di psicofarmaci diversi da quelli che assumeva quando era libero, avendo il personale medico deciso di cambiargli la cura.

Da Terni, Stefano, viene mandato a più riprese ma sempre per brevi periodi nel carcere di Livorno e lì detenuto nel reparto di osservazione. Nel frattempo i suoi familiari presentano varie istanze al giudice competente chiedendo che il proprio caro venga ricoverato in arresto domiciliare presso un ospedale al fine di ricevere le cure adeguate. Il giudice, alla loro terza istanza, decide per una consulenza nominando un medico legale al fine di eseguire una perizia medica. La sera dello stesso giorno in cui il perito redige la relazione medica per la quale, a suo avviso, Stefano non solo è compatibile con la detenzione ma anche le cure ricevute all’interno del carcere sono adeguate, la direzione di Livorno decide di non voler più correre rischi assumendosi la responsabilità della vita di Stefano e, da buon Pilato, se ne lava le mani: lo trasferisce nel carcere di Secondigliano, dove c’è un reparto clinico.
Ma ormai è troppo tardi. Da Secondigliano, dopo una settimana, viene mandato urgentemente all’ospedale Cardarelli e da lì al San Giovanni Bosco in reparto rianimazione. Ed è lì che Stefano morirà il 22 gennaio.

Una storia, una storia come tante come troppe. Dall’inizio di quest’anno già 35 detenuti sono morti all’interno delle galere. Una storia alla quale non è possibile rassegnarsi. Non certo i familiari di Stefano i quali con coraggio e determinazione portano avanti la loro personale battaglia affinché quanto accaduto al loro caro non accada più. Queste le parole di Tamara, mamma di Stefano: “Non c’è solo mio figlio. E’ successo a mio figlio? Può essere che se noi denunciamo quanto accaduto la prossima volta questi giudici ci pensano due volte prima di rifare la stessa cosa con un’altra persona! C’è tanta gente che purtroppo finisce in galera! E allora, io lo faccio pure per gli altri! Per mio figlio e pure per gli altri!”

Ancora una volta l’arroganza degli esecutori della legge, il loro pregiudizio, ha avuto ragione sulla vita di qualcuno decretandone la morte. Ancora una volta il carcere si dimostra uno strumento esiziale. Scopo del carcere è distruggere: l’identità, il pensiero, la dignità, l’agire e persino i corpi di chi lì viene sequestrato.
Parlano di “custodia cautelare” ma si trasformano in carnefici!

SABATO 20 MAGGIO ORE 15:00
DAVANTI IL CARCERE DI LIVORNO – VIA DELLE MACCHIE

ODIANDO IL CARCERE GIORNO DOPO GIORNO

PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON LE PERSONE DETENUTE E I LORO FAMIGLIARI.
PERCHÉ QUELLO CHE È SUCCESSO A STEFANO CRESCENZI NON SUCCEDA MAI PIÙ

Per chi vuole organizzarsi e partire con i pullman da Roma: evasioni@canaglie.org

L'autorganizzazione è la nostra scelta di lotta: sul corteo nazionale a Foggia del 24/4

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Con un compagno che vive nella tendopoli di San Ferdinando (Calabria) parliamo della mobilitazione No Confini - No Sfruttamento e del corteo nazionale avvenuto a Foggia il 24 aprile scorso.

Attraverso il suo intervento apprendiamo della liberazione delle 17 persone arrestate il 30 marzo scorso, come rappresaglia riguardo la rivolta avvenuta il 27 ottobre 2016 nel CARA di Borgo Mezzanone.
Al loro fianco, prima del corteo, un presidio si è infatti svolto davanti le mura del carcere di Foggia.

Le analisi del compagno si dilungano sulle modalità scelte per portare avanti la lotta, nel tentativo di allargare la responsabilità collettiva e fronteggiare le organizzazioni che vogliono contenere e appropriarsi dei percorsi di autorganizzazione.

L'intervento è in inglese, tradotto in italiano.

La legge Minniti-Orlando contro le persone immigrate e gli accordi con la Libia

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Durante l'ultima puntata di Silenzio Assordante, grazie al contributo di una compagna, abbiamo affrontato tecnicamente le disposizioni contenute nella nuova legge per reprimere le persone immigrate.

Nel secondo contributo audio trovate qualche dettaglio sugli attuali accordi tra Italia e Libia.

Torino - La lotta nel CIE/CPR di Corso Brunelleschi e la solidarietà in strada

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Con un compagno di Torino ci aggiorniamo sulla situazione nel Centro per le espulsioni di Corso Brunelleschi e sulle proteste delle persone recluse.

In conclusione vi raccontiamo una serata di resistenza alle retate nel contesto di continui controlli e rastrellamenti in un quartiere della città.

24/4 Corteo nazionale a Foggia e mobilitazioni "No Confini No Sfruttamento" a Potenza e San Ferdinando

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Attraverso tre corrispondenze continuiamo a parlarvi delle mobilitazioni No Confini No Sfruttamento.

Il primo contributo è con un compagno che vive in uno dei ghetti della provincia di Foggia.
Con lui presentiamo il corteo nazionale previsto per lunedì 24 aprile a Foggia contro sgomberi, repressione e deportazioni.
 

La seconda corrispondenza è con un compagno che vive nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria. Con lui ci aggiorniamo riguardo l'attuale repressione e parliamo della mobilitazione prevista per il 13 aprile.

Per concludere una corrispondenza con un compagno di Potenza. Con lui raccontiamo la quotidiana oppressione di chi vive nei centri di accoglienza e vi parliamo del corteo in preparazione per il 25 aprile a Potenza.