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USA

A 50 anni dalla rivolta nel carcere di Attica

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In corrispondenza con Silvia Baraldini raccontiamo le origini della rivolta scoppiata il 9 settembre 1971, le rivendicazioni e l'autorganizzazione delle persone imprigionate nel carcere di Attica e la strage compiuta giorni dopo, il 13 settembre.
Quale relazione c'era fra dentro e fuori il carcere?
Come si muoveva la solidarietà?
Cosa accadeva nelle altre carceri e quali erano le condizioni di prigionia?
Com'è mutata la situazione nelle carceri statunitensi?

11 settembre 2001 - 2021

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Con Antonio Mazzeo, a partire dall'anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle di New York l'11 settembre 2001 e l'abbandono dell'Afghanistan da parte delle truppe USA e degli altri paesi nell'estate 2021, si tenta una ricostruzione di questi 20 anni: i cambiamenti geopolitici, le guerre, la crescita della militarizzazione, i "fronti interni", primo fra tutti la guerra quotidiana contro le migranti e i migranti.

Verso XX G8 Genova: la stagione dei controvertici in Usa e Germania

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Terzo appuntamento per questo ciclo di trasmissioni di racconto e memoria verso il ventennale del G8 di Genova.
Abbiamo continuato a parlare di quella che abbiamo chiamato "la stagione dei controvertici" (1996-2001) e lo abbiamo fatto questa volta con: Rabble, un compagno statunitense, che da Indymedia passando per Seattle 99 fino al Black Live Matter, ci descrive il movimento americano, come si è mosso e l'esperienza di IMC che proprio da Seattle, muove i primi passi.
Poi ci siamo collegati con Berlino, con una compagna e un compagno, che han fatto un racconto simile al precedente, la seconda metà degli anni 90 in Germania, partendo proprio dall'Antifaschistische Aktion a cui appartenevano.

Durata 77' ca.

USA: secondo impeachment di Donald Trump

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Ieri è cominciato il secondo impeachment di Donald Trump. Un evento storico in quanto Trump e’ il primo presidente americano a subire un secondo impeachment. L’accusa e’ quella di aver attivamente creato le condizioni che portarono all’attacco al Congresso americano lo scorso 6 Gennaio.

I democratici devono procedere con prudenza perché sa da una parte sono intenzionati a presentare un convincente caso contro Trump, dall’altra vogliono evitare di bloccare i lavori al senato per un periodo troppo lungo con il rischio di intralciare i piani di Biden per i primi 100 giorni della sua presidenza. Per questo motivo lunedì i democratici e repubblicani hanno trovato un accordo sulle regole di questo processo che potrebbe portare ad un voto gia’ all’inizio della prossima settimana.

Sin dal primo giorno, I democratici hanno deciso di presentare l’accusa in maniera succinta facendo uso dei numerosi video pubblicati sui social media dai supporter del presidente che dimostrerebbero come le sue parole ebbero un ruolo essenziale nel convincere i dimostranti ad attaccare il Congresso. Una strategia che alcuni hanno definito troppo emotiva, ma secondo i giornalisti presenti al senato ha avuto un certo effetto sui senatori. 

Diversamente dal primo impeachment, i democratici non sono interessati ad avere dei testimoni anche se hanno inviato una richiesta scritta a Trump chiedendogli di testimoniare davanti al senato. La richiesta e’ stata ovviamente rimandata al mittente dagli avvocati del presidente preoccupati di avere Trump, un bugiardo cronico, rilasciare dichiarazioni sotto giuramento.

La difesa inoltre ha sostenuto che l’intero processo e’ incostituzionale in quanto secondo gli avvocati, e’ possibile procedere con l’impeachment solamente se il presidente e’ ancora in carica. Una posizione che non ha convinto la maggioranza del senato. Tutti i senatori democratici piu’ cinque repubblicani hanno infatti votato a favore della costituzionalità del processo.

Gli avvocati di Trump devono ora convincere il Senato che le dichiarazioni di Trump riguardanti le infondate accuse di frodi elettorali sono difese dal primo emendamento della costituzione, quello che difende il diritto alla libertà di parola. Dall’altra parte, l’accusa deve dimostrare che il presidente ha fatto un giuramento di difendere la Costituzione e le Istituzioni democratiche del Paese e che le sue bugie hanno rotto quel giuramento.

Ovviamente l’impeachment è piu’ un processo politico che legale e l’esito finale sarà solo in parte deciso dai fatti che verranno discussi in aula. In realtà questo impeachment inciderá più sul futuro politico del partito repubblicano che su quello di Trump.

Per condannare Trump, I democratici hanno bisogno del voto di 17 repubblicani, un'eventualità che al momento sembra abbastanza improbabile. Se e’ vero che oggi 5 senatori repubblicani votato con i colleghi democratici, sembra difficile trovare altri 12 senatori pronti a voltare le spalle a Trump. Allo stesso tempo c’e’ da chiedersi fino a che punto i repubblicani siano pronti a sostenere Trump considerando che le sue bugie sono già costate al partito la maggioranza al senato.  

Rispetto al primo impeachment, i Repubblicani arrivano a questo secondo processo molto indeboliti. Non solo hanno perso il voto presidenziale di Novembre, ma i quattro anni della presidenza Trump hanno lasciato in eredità un partito profondamente diviso tra chi ha abbracciato senza riserve l’estrema destra e le teorie cospiratorie stile QAnon e chi vorrebbe invece riportare il partito su posizioni più moderate.

La scorsa settimana queste tensioni si sono palesate in una riunione in cui I repubblicani hanno dovuto votare due diverse mozioni contro due diversi esponenti del partito. Nel primo caso dovevano decidere se era il caso di rimuovere la collega Marjorie Taylor Greene dalla commissione sul lavoro ed educazione. La seconda riguardava un voto di sfiducia nei confronti della repubblicana Liz Cheney, capogruppo del partito al congresso - la terza carica più importante del partito.

La nomina della Greene a partecipare ai lavori di una commissione sull’educazione aveva suscitato non poche perplessità considerando che su Facebook aveva apertamente denunciato la sparatoria avvenuta nel 2012 alla scuola elementare Sandy Hook come una messa in scena con lo scopo di introdurre nuove limitazioni sulla vendita di armi da fuoco. In quella sparatoria Adam Lanza uccise 20 studenti e sei insegnanti.

La Greene e’ la piu’ discussa esponente di una nuova ondata di giovani repubblicani recentemente eletti. Oltre ad essere pro-gun e pro-Trump, la Greene ha apertamente ammesso di essere una seguace di QAnon rilasciando numerose dichiarazioni alquanto allarmanti come per esempio quella secondo cui i devastanti incendi scoppiati in California la scorsa estate erano stati innescati da raggi laser sparati dallo spazio da satelliti controllati dagli ebrei. I suoi social media sono pieni di slogan antisemiti e xenofobi come per esempio il post in cui definisce i risultati delle elezioni di metà mandato del 2018 come ‘un’invasione islamica del governo americano.”

Al contrario Liz Cheney, figlia di Dick Cheney, rappresenta quell’ala del partito repubblicano che preferisce portare avanti politiche razziste e xenofobe in maniera più discreta. Cheney è stata una dei dieci repubblicani che ha votato a favore del secondo impeachment e per questo motivo alcuni suoi colleghi hanno chiesto la sua rimozione dalla carica di capogruppo. Alla fine il partito ha bocciato entrambe le mozioni a dimostrazione che i Repubblicani devono ancora decidere come gestire il dopo Trump.

Il voto sul secondo impeachment di Trump non farà altro che accentuare queste divisioni e indipendentemente dall’esito finale, il partito ne uscirà sicuramente indebolito. Nel caso in cui Trump non verrà condannato, l’elettorato più moderato, che ha già punito il partito a Novembre, si sposterà ancora di più verso il centro. Al contrario, in caso di condanna, il partito rischia una scissione a destra perdendo tutti quei voti che fino ad ora gli hanno permesso di mantenere il controllo di alcuni stati del sud e del midwest, un dominio che a novembre ha cominciato a vacillare come hanno dimostrato le vittorie democratiche in Nevada e Georgia.

Ovviamente la crisi del partito repubblicano avrà delle ripercussioni anche tra i democratici anche loro costretti a fare i conti con l’ala più progressista del partito. In caso di assoluzione, gli esponenti più moderati del partito democratico torneranno all’attacco usando il possibile esodo degli elettori repubblicani verso il centro come argomento per mantenere il partito su posizioni moderate mettendo da parte le tematiche più controverse come per esempio la questione della brutalità della polizia e le enormi disparità economiche tra le comunità bianche e quelle di colore. In questo secondo impeachment non c’e’ piu’ l’urgenza di liberarsi di Trump, la vera questione riguarda invece la politica Americana in generale e la sua abilità di fare veramente i conti con il suo passato.

USA: i primi 10 giorni di Biden

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I primi dieci giorni dell’amministrazione Biden sono stati segnati da una lunga serie di Ordini Esecutivi firmati dal nuovo presidente con il chiaro obiettivo di cancellare il più possibile l'eredità lasciata da Trump. Un gesto quasi simbolico, un tentativo di riportare gli Stati Uniti indietro nel tempo a quel Novembre 2016 che per molti americani ha segnato l’inizio di un incubo durato quattro anni e che certo non e’ finito con l’elezione di Biden. 

 

Prima di tutto Biden si e’ concentrato sulla pandemia nominando Jeffrey Zients capo della task force che coordinerà tutte le misure anti-covid a livello federale. Diversamente da quello successo durante la presidenza Trump, Biden ha promesso di rimettere il governo federale al centro della campagna di vaccinazione. Il nuovo presidente ha anche riallacciato i rapporti con la World Health Organization, bruscamente interrotti da Trump.

 

Sul fronte immigrazione, Biden ha immediatamente cancellato il cosiddetto Muslim Ban e bloccato i lavori per la costruzione di qualsiasi nuova fortificazione sul confine con il Messico. Su quello che riguarda l’ambiente, invece, la nuova amministrazione ha riconfermato gli impegni presi dagli Stati Uniti con l’Accordo di Parigi firmato da Obama nel 2015 e ha rievocato i permessi per la costruzione della Keystone XL pipeline. Come ricorderete nell’aprile del 2016, il progetto era stato fortemente criticato da numerose tribu’ di nativi americani. La protesta si concentrò nella riserva indiana di Standing Rocks dove i cosiddetti Water Protectors si trovarono a doversi difendere dalla violenta repressione non solo dello stato del Dakota ma anche del governo federale. Le violente proteste forzarono Obama a richiedere una nuova indagine sull’impatto ambientale dell’intera opera bloccando di fatto i lavori. Una volta eletto, Trump diede il via libera ai lavori ora di nuovo bloccati da Biden. 

 

Il nuovo presidente ha anche firmato importanti ordini esecutivi riguardanti i diritti della comunità LGBTQ. Biden ha infatti cancellato il divieto per persone transessuali di servire nelle forze armate e ha di nuovo esteso le misure federali anti-discriminatorie fino ad includere qualsiasi membro della comunità queer. Al momento della firma Biden ha espressamente sottolineato come la sua decisione sia nata del desiderio di difendere i membri più giovani della comunità LGBTQ soprattutto nelle scuole. “I giovani, ha affermato, devono essere messi nelle condizioni di poter imparare senza doversi preoccupare se potranno usare i bagni della scuola, gli spogliatoi o se potranno praticare uno sport.” Biden ha anche aggiunto che chiunque ha il diritto di guadagnarsi da vivere sapendo che non verrà licenziato, o maltrattato per il suo orientamento sessuale o perché il suo modo di vestire non e’ conforme agli stereotipi sessuali. 

 

La decisione di Biden ha ovviamente sollevato le proteste di numerosi esponenti della destra conservatrice. Il partito repubblicano ha introdotto leggi che vietano a persone transessuali di partecipare a qualsiasi sport a livello universitario negli stati della Florida, Kentucky, Montana, New Hampshire, Nord Dakota, Oklahoma, Sud Carolina e Tennessee. Inoltre negli stati stati dell’Alabama, Indiana, Mississippi, Missouri, Montana, Texas e Utah sono stati presentati dei disegni di legge che mirano a criminalizzare qualsiasi servizio sanitario diretto a persone transessuali. 

 

Nei suoi primi dieci giorni Biden ha anche affrontate la questione del Medio-oriente annunciando l’intenzione di ristabilire relazioni diplomatiche con le autorità palestinesi. Ricordiamo che Trump non solo chiuse gli uffici palestinesi in Washington DC, ma chiuse anche il consolato americano a Gerusalemme Est. Paradossalmente per Biden sara’ piu’ semplice riaprire il consolato americano a Gerusalemme Est che permettere ai Palestinesi di riaprire il loro consolato a Washington. Dal 1987 infatti e’ in vigore una legge che vieta alle autorità Palestinesi di aprire un consolato in America e se i precedenti presidenti erano riusciti ad aggirare questa legge con il rilascio di permessi speciali, nuove restrizioni sono state introdotte nel 2015 e 2018 rendendo il rilascio di questi permessi quasi impossibile. Biden si e’ comunque impegnato a trovare una soluzione. La nuova amministrazione ha inoltre annunciato di voler riattivare tutti i programmi umanitari diretti ai Palestinesi. Ricordiamo che nel 2018 Trump aveva bloccato piu’ di 200 milioni di dollari in aiuti economici e 350 milioni di dollari in aiuti ai rifugiati palestinesi.

 

E se da una parte Biden ha ribadito l’opposizione agli insediamenti israeliani nel West Bank, ha anche confermato che l’alleanza tra Stati UNiti e lo Stato d’Israele rimane salda. La Casa Bianca si e’ detta contenta dei recenti patti che Israele ha firmato con gli Emirati Arabi, Bahrain, Marocco e Sudan. Patti fortemente voluti da Trump e che avevano il chiaro obiettivo di indebolire il fronte pro-palestina nel medio-oriente. 

 

Come abbiamo già detto in apertura la vera priorità della nuova presidenza e’ di riportare la pandemia sotto controllo. Sin da marzo dello scorso anno, gli stati uniti non sono mai riusciti a mantenere la diffusione del virus sotto controllo e ad oggi si contano poco meno di 400 mila vittime per complicazioni dovute al Covid. 

 

Com’era prevedibile, la pandemia si e’ accanita maggiormente contro le comunità di colore e tre recenti studi hanno confermato che il problema non e’ ovviamente genetico, ma sociale e ambientale. Questo e’ abbastanza ovvio se si considera che la maggior parte dei lavoratori e lavoratrici costrette ad avere continui contatti con il pubblico sono di colore; che la maggior parte delle persone costrette ad usare mezzi pubblici durante la pandemia sono di colore; che la maggior parte delle persone che non hanno accesso a decenti servizi sanitari sono di colore; che la maggior parte delle persone affetta da malattie croniche come diabete e asma sono di colore e che la maggior parte delle persone che vive in precarie condizioni abitative sono di colore. Ad oggi, un afro americano ha il triplo delle possibilità di contrarre il virus di una qualsiasi persone bianca. 

 

Una simile disparità si sta ora riscontrando anche per quello che riguarda l’accesso al vaccino. Il caso piu’ eclatante si e’ registrato in Pennsylvania dove a metà gennaio gli Afroamericani vaccinati rappresentavano solamente lo 0,3% del totale. A FIladelfia, dove la popolazione nera rappresenta il 44% del totale, solo il 12% dei vaccinati e’ afroamericano. A New York I bianchi hanno ricevuto quasi la metà delle dosi disponibili. A Washington DC il 40% dei primi 7 mila appuntamenti messi a disposizione agli over 65 è stato riservato da persone residenti nel quartiere piu’ ricco e bianco della citta’ dove pero’ si sono registrati solamente il 5% dei decessi causati dal virus. 

 

La disparità è stata accentuata anche da un approccio al vaccino che ha privilegiato il numero di vaccini somministrati a discapito di un’attenta valutazione sul tipo di persone che ricevevano le dosi. Per rendere la vaccinazione più veloce, gli stati hanno per esempio privilegiato piattaforme online per prenotare un appuntamento senza contare che spesso le comunità più a rischio non hanno accesso ad Internet o magari non hanno lavori flessibili che permettono di spendere ore davanti al computer. Oppure hanno sottovalutato lo scetticismo che da sempre le persone di colore hanno nei confronti della medicina ufficiale spesso colpevole di considerarli più come animali da laboratorio che essere umani.

 

Purtroppo anche l’amministrazione Biden rischia di cadere nella stessa trappola dopo aver annunciato di voler somministrate 100 milioni di dosi nei primi 100 giorni della sua presidenza. Il rischio e’ che l’intero processo diventi una sorta di processo darwiniano, i più privilegiati riceveranno il vaccino prima mentre le persone più a rischio continueranno ad ammalarsi e morire. 

 

Il razzismo sta condizionando anche un altro importante dibattito negli Stati Uniti, quello relativo alla riapertura o meno delle scuole. Biden ha dichiarato sin dal suo primo giorno alla casa Bianca che la riapertura delle scuole rappresenta per lui una priorità. Ma i più recenti sondaggi indicano che le famiglie di colore non sono così entusiaste di rimandare i loro figli e figlie a scuola durante una pandemia. In citta’ come Chicago o Oakland, per esempio, meno di un terzo delle famiglie afroamericane si e’ detta a favore della ripresa della didattica nelle classi contro il 67% delle famiglie bianche. Il problema qui e’ che la scuola pubblica americana ha storicamente sempre trascurato gli studenti di colore ed i loro genitori sono convinti che anche in questo caso la scuola non vede la salute dei loro figli come una priorità. I dati sembrano confermare questa convinzione. Secondo alcuni dati raccolti a settembre dell’anno scorso dei 100 bambini morti di covid, 41 erano ispanici e 24 Afroamericani. 

 

La questione è ovviamente legata alla disparità di fondi che le scuole ricevono a seconda che si trovino in quartieri a maggioranza bianca o meno. Secondo la sociologa Jessica Calarco le scuole in quartieri a maggioranza bianca ricevono 23 miliardi di dollari in più in fondi pubblici nonostante servano circa lo stesso numero di studenti.

 

Il dibattito si e’ ulteriormente acceso dopo che il partito repubblicano ha deciso di usare questa crisi per distruggere definitivamente la scuola pubblica americana. Cavalcando il malumore delle famiglie bianche scontente di non poter mandare i loro figli a scuola, il partito repubblicano ha ripreso con forza la sua campagna pro-voucher. Questa e’ un’idea molto cara all’ala libertaria del partito secondo la quale i genitori devono avere la libertà di mandare i loro figli nelle scuole che preferiscono e in questo senso i fondi pubblici non dovrebbero andare alle scuole pubbliche bensì ai genitori. Così si spiegano le decine di disegni di legge che in questi mesi i repubblicani hanno presentato in molti stati dove hanno una schiacciante maggioranza. In alcuni casi, come per esempio in Georgia, questa legge rappresenta il primo tentativo di introdurre i voucher. In altri casi, I repubblicani cercano di espandere il sistema già in vigore. Questo e’ per esempio il caso della legge presentata in Indiana secondo la quale i voucher potranno essere richiesti da qualsiasi famiglia con reddito fino a 145 mila dollari all’anno una cifra che rappresenta quasi il doppio del reddito medio delle famiglie in questo stato. Secondo alcune stime, nel suo primo anno questa riforma dirotterebbe qualcosa come 100 milioni di dollari di fondi pubblici nelle casse delle scuole private. 

Questa crisi sanitaria sta esacerbando le tensioni di razza e di classe da sempre presenti in questo paese e forse gli Americani si devono convincere che eleggere un centrista riformista probabilmente non basterà a rimettere questo paese sulla retta via.   

 

 

Gamify Wall Street

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GameStop è una catena di negozi di videogiochi che negli ultimi giorni è
apparsa nelle cronache dei quotidiani finanziari (e non solo) perché al
centro di una bolla speculativa. Sul prezzo delle sue azioni cui si
stanno scontrando, da un lato, dei grossi fondi di investimento di Wall
Street, e dall’altro, una accozzaglia stravagante di “piccoli”
investitori coagulatasi attorno ad un forum di Reddit dal nome
/r/wallstreetbets (letteralmente, scommesse su Wall Street).

Belka&Strelka vi guidano nell’ennesimo inspiegabile prodotto della
cultura di massa americana, che contiene tutti gli ingredienti per una
storia indimenticabile. Ascoltatela raccontata da loro prima che Netflix
ne compri i diritti d’autore!
 

Trump scaricato: la censura che non è di Stato

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Dopo il tentato colpo di stato, Trump viene bannato da molti social network e da varie aziende, i contenuti che invocano la frode elettorale bloccati da Facebook. È in questo modo, e non attraverso ordinanze federali, che Trump sta venendo estromesso dalla scena politica statunitense. Senza in nessun modo difendere Trump, dovremmo tuttavia chiederci come mai discorsi complottisti, autoritari e oppressivi siano così floridi sui social network; una riflessione che potrebbe portarci a scoprire che la censura non è il modo più efficace di affrontare il problema, e che forse è la forma della comunicazione online odierna ad essere problematica.

Dopo ciò, Trump si sposta su Parler, social network assai amichevole con gli utenti di estrema destra. Probabilmente il più usato dai suoi supporter che hanno tentato il coup kux klan. Questo ha scatenato molte reazioni contro Parler: l'app di Parler è stata eliminata dall'app store di Apple e dall'omologo di Google; Amazon ha revocato i servizi di cui Parler si avvaleva attraverso AWS; Twilio gli ha revocato l'account che utilizzavano per verificare gli indirizzi email degli iscritti. Ancora più importante, vari hacker attaccano Parler e riescono ad ottenere un dump piuttosto corposo contenente tutti i dati della piattaforma. Si scoprono così informazioni personali sugli iscritti, i luoghi da cui parlavano, si possono recuperare anche messaggi che gli utenti avevano apparentemente cancellato. Se vuoi approfondire l'argomento anche nei dettagli tecnici, ascolta il podcast di StakkaStakka su RadioBlackout. Noi facciamo invece delle riflessioni su come un servizio possa (o no) essere soggetto alla censura da parte delle aziende a cui si affida, più che a quella di Stato.

Cambiando argomento, parliamo di WhatsApp, che aggiorna i suoi termini di servizio con una mossa comunicativa poco riuscita. La verità è che non cambia moltissimo, che WhatsApp ha alcune pratiche antipatiche, ma che le aveva anche prima.

This is America

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Ad una settimana dalla manifestazione pro-Trump che si e’ conclusa con la violenta irruzione all’interno del Congresso, l’America - soprattutto quella bianca -  e’ ancora sotto shock. Incapace di guardarsi allo specchio, il paese cerca conforto nelle parole di Biden, “This is not America.”

Sfortunatamente, quello che e’ successo il 6 Gennaio a Washington DC e’ semplicemente il manifestarsi di alcune tendenze che da sempre fanno parte del DNA americano. Basta pensare che al termine di quell’irruzione, la bandiera sudista aveva sostituito la bandiera americana al congresso, e che un cappio e una croce erano stati issati sul prato appena fuori dal palazzo per capire che le radici di quella violenza sono molto profonde.

Non e’ un caso infatti che le scene viste mercoledi scorso sembrano uscite da un romanzo che sin dalla fine degli anni 70 ha inspirato la destra radicale americana. Pubblicato nel 1978 dal leader del gruppo neo-nazista the National Alliance e citato pochi giorni fa da alcuni esponenti dei Proud Boys durante un’intervista, “The Turner Diaries” racconta proprio di un attacco portato al congresso americano da parte di un’organizzazione terroristica che si conclude con l’impiccagione di alcuni parlamentari e giornalisti. “The day of the Rope” l’autore lo chiama.

La pubblicazione di quel romanzo segna un importanto cambiamento nella destra radicale americana che da quel momento in poi non si concentra più solamente sulla difesa di una società americana ancora profondamente razzista, ma dichiara apertamente guerra al governo federale. Quegli sono gli anni in cui nascono le milizie, quelle stesse milizie che in questi quattro anni sempre piu’ frequentemente hanno cominciato a sfilare insieme ai sostenitori di Trump e i cui membri hanno fatto irruzione al congresso in Michigan in Aprile e al congresso americano la scorsa settimana. Quegli sono gli anni in cui la destra ha grande successo nel reclutare membri dell’esercito e della polizia. Quegli stessi militari e poliziotti che mercoledì - se erano in servizio -hanno facilitato l’irruzione - e se erano in borghese - hanno partecipato all’azione.

Quegli sono gli anni in cui l’anti-comunismo e il razzismo delle destra radicale vengono assecondati dal Partito Repubblicano guidato da Ronald Reagan, sempre pronto a difendere l’indipendenza degli stati (tradotto, il diritto degli stati di difendere le loro istituzioni razziste) e ad indebolire il governo federale (“the federal government is not the solution, it’s the problem.” come disse in un famoso discorso).

 I paralleli tra la destra di quegli anni e quella vista in azione mercoledì sono evidenti e per questo motivo estremamente preoccupanti. Quella destra distrusse un palazzo federale in Oklahoma City uccidendo 168 persone. La destra di Trump - per ora- e’ riuscita ad entrare con la forza al Congresso e ha lasciato dietro di sé due ordigni inesplosi davanti alle sedi dei due maggiori partiti. L’FBI ha gia’ annunciato che diverse milizie hanno indetto proteste nelle capitali di almeno 50 stati da qui fino al 20 gennaio, giorno in cui Biden diventerà ufficialmente il 46simo presidente degli Stati Uniti.

Dal giorno delle elezioni, l’estrema destra e’ scesa in piazza quasi ogni weekend nelle principali città americane, lasciando dietro di sé una scia di accoltellamenti e violenti pestaggi. La repressione poliziesca che ha colpito il movimento dopo le rivolte della scorsa estate e la pandemia, ha notevolmente indebolito una possibile risposta antifascista. Tanto e’ vero, che dopo aver letto alcune delle chat della destra in preparazione alla manifestazione del 6 gennaio, il movimento ha deciso di non scendere in piazza ma di concentrarsi sulla difesa delle comunità più a rischio.

Allo stesso tempo la risposta del partito democratico si sta inutilmente concentrando esclusivamente su Trump senza capire che questa destra e’ piu’ grande e pericolosa di Trump. Il partito repubblicano si e’ spostato cosi a destra che ormai e’ piu’ facile contare i repubblicani con non hanno legami con la destra radicale. Basta fare una ricerca online per trovare le foto dei maggiori esponenti del partito in posa con membri dei Proud Boys e altre organizzazioni di destra. La polizia e’ ormai irrimediabilmente infiltrata da gang neo-naziste.

Il partito democratico si e’ inoltre ormai convinto che le elezioni si vincono solamente se si corteggia il centro, favorendo la marginalizzazione e demonizzazione dell’ala piu’ progressista del partito. 

E’ difficile capire come la rimozione di Trump e gli inutili inviti lanciati da Biden ad una futura collaborazione con i Repubblicani possano risolvere tutto questo. L’unica speranza, come spesso accade nella storia degli Stati Uniti, e’ rappresentata delle comunita’ di colore che a differenza della società bianca americana conoscono il vero volto degli Stati Uniti. La loro abilità di organizzarsi, difendersi e resistere rappresenta l’unica vera opposizione a questa destra. 

Occupy Capitol hill

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I barbari nel tempio della democrazia? A 48 ore dall'irruzione dei militanti trumpiani nella sede del Congresso di Washington proviamo a fare il punto della situazione insieme a Mattia Diletti, ricercatore in scienza della politica alla Sapienza