USA: uno sguardo sulla rivolta
Vi proponiamo una chiacchierata con un compagno di Atlanta su quello che sta avvenendo negli Stati Uniti. Un punto di vista sicuramente non esaustivo ma interno alle rivolte che da mesi accendono gli USA.
Vi proponiamo una chiacchierata con un compagno di Atlanta su quello che sta avvenendo negli Stati Uniti. Un punto di vista sicuramente non esaustivo ma interno alle rivolte che da mesi accendono gli USA.
A Portland Trump invia le forze speciali federali, in molti casi in divisa camouflage non identificabile e auto senza simboli, per disperdere i manifestanti. Ne parliamo con un compagno dagli USA.
Alessandro Portelli, docente di letteratura angloamericana alla Sapienza, analizza con noi le implicazioni e gli scenari del Black Lives Matter.
Sempre di Alessandro Portelli, dal Manifesto:
"C’è qualcosa di mitologico nell’immagine del poliziotto col ginocchio piantato sul collo della vittima a Minneapolis – San Giorgio che calpesta il drago sconfitto, la divinità purissima che schiaccia il serpente, perfino il cacciatore bianco sull’elefante o il rinoceronte ucciso in safari… Sono figure della vittoria della virtù sulla bestia, dello spirito sulla natura, della civiltà sul mondo selvaggio … E del bianco sul nero. Così deve essersi sentito il poliziotto Dereck Chauvin, domatore sul corpo prostrato di George Floyd in mezzo alla strada, davanti agli occhi di tutti.
Ma in questa immagine il senso si capovolge: l’animale è quello che sta sopra e calpesta, e la vittima calpestata è quella che invoca il più umano e insieme il più simbolico dei diritti: il respiro, vita del corpo e soffio dello spirito. A Minneapolis, la civiltà è la bestia, l’ordine è selvaggio, la legge è l’arbitrio, l’umanità è soffocata e soppressa. Jack London lo chiamava il Tallone di ferro; stavolta è un ginocchio, a New York al collo di Eric Garner era un braccio; ma la sostanza è la stessa.
Anche per questo in strada non sono scesi solo i fratelli e le sorelle afroamericani, i più prossimi alla vittima, ma anche tanti di quelli – bianchi e latini, uomini e donne – che sempre più si sentono sul collo il ginocchio mortale della disuguaglianza crescente, della precarietà della sussistenza, della perdita dei diritti, dello svuotamento della democrazia. Come il drago, il rettile, la selvaggina nelle icone, questi esseri umani non hanno diritto di parola nell’agiografia vittoriosa del potere. Il respiro spezzato di George Floyd e di Eric Garner è anche una figura della loro voce negata.
E’ una parte di America senza diritto di parola, senza voto e senza rappresentanza quella che è esplosa in tutto il paese. Lo stato è in mano a forze che lo pensano come potere di dominio senza responsabilità di governo; quando il paese diventa ingovernabile sanno solo minacciare sparatorie ed evocare “cani feroci” da scagliare addosso ai manifestanti – salvo andarsi a nascondere nel bunker come di un ditta torello spaventato dai suoi stessi sudditi. Peraltro, la vigliaccheria è funzionale anche a un consapevole disegno politico: drammatizzare la situazione, accentuare il conflitto, radicalizzare le aree di consenso su cui si basa il sostegno elettorale di Trump, far dimenticare la disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria, cogliere l’occasione per criminalizzare il dissenso. C’è un’intenzionale parallelismo fra il gesto di Trump di scendere le bunker e quello del vicepresidente Cheney dopo l’11 settembre: come dire che la crisi di adesso è la stessa di allora (e i “terroristi” sono gli “antifa”) e legittima la stessa politica securitaria, le stesse violazioni e sospensioni della democrazia di allora.
Né l’alternativa possono essere le parole flebili, convenzionali, di prammatica (e soprattutto: parole, in un momento che avrebbe bisogno di azioni, di gesti significativi) che sono venute da Biden e del partito cosiddetto democratico, che peraltro di scheletri nell’armadio ne ha fin troppi. Fino a una settimana fa, la più plausibile candidata democratica alla vicepresidenza era Amy Klobuchar, ex pubblico ministero della contea di Minneapolis, che in quanto tale aveva lasciato correre, e anzi appoggiato, l’aggressività endemica della polizia ed era addirittura accusata di aver lasciato indenne in un caso precedente lo stesso Derek Chauvin. Anche se è ormai chiaro che non sarà lei la prescelta, il solo fatto che si fosse pensato a lei per la vicepresidenza (e quindi in futuro addirittura per una possibile candidatura presidenziale) ci dice quanto questi temi fossero estranei alla visione del gruppo dirigente democratico.
La sola opposizione in questo momento sta nelle strade. La “violenza” non piace a nessuno; ma se i senza parola non avessero alzato la voce Dereck Chauvin l’avrebbe fatta franca per l’ennesima volta come tutti gli altri; e se non avessero parlato con il fuoco nelle strade le istituzioni si sarebbero limitate a licenziarlo ma non l’avrebbero, troppo tardi, incriminato. Tutti applaudivano quando un grande scrittore come James Baldwin, sugli echi biblici di un grande spiritual, ammoniva: la prossima volta il fuoco. Bene, la prossima volta è questa, il commissariato di polizia a Minneapolis brucia davvero. E adesso che le parole di Baldwin diventano fatti, tutti a stigmatizzare la violenza come se non li avessero avvertiti prima, invece di domandarsi che cosa potevamo fare perché non fosse ancora una volta inevitabile e che cosa dovremo fare, quando i fuochi sembreranno spegnersi, perché non sia necessario che tornino a divampare un’altra volta.
Per fortuna, nelle strade d’America c’è stato anche il gesto concreto di un’altra opposizione, che segna davvero una novità storica – e viene da gruppi imprevisti di lavoratori. Hanno cominciato gli autisti degli autobus di Minneapolis, rifiutandosi di potare in carcere i manifestanti arrestati. Ma il messaggio più potente viene propria da dentro quello sarebbe il campo avverso: sono i poliziotti che si uniscono ai cortei dei manifestanti, che solidarizzano con la protesta, che dicono basta alla solidarietà a priori con i propri colleghi picchiatori e assassini. Mi colpisce che gli episodi più clamorosi vengano da realtà con un forte potere simbolico: Camden, New Jersey (città di Walt Whitman, poeta della democrazia, e periferia disastrata), Flint, Michigan (la città operaia della General Motors e Michael Moore, avvelenata dagli scarichi industriali nelle acque col sillenzio del governo federale), e soprattutto Ferguson, Missouri, la città dove l’assassinio di Michael Brown e la repressione militare della protesta hanno aperto nel 2014 una nuova fase che culmina (per ora) con gli eventi di oggi. A Ferguson, la polizia era armata come un esercito di occupazione, e addestrata a pensare ai manifestanti, letteralmente, come “nemici”. Che poliziotti di Ferguson si inginocchino in omaggio a un afroamericano ammazzato da uno come loro significa che c’è un limite a tutto, che questo limite è stato oltrepassato, e che qualche coscienza comincia a cambiare. Forse non basta, ma non era mai successo prima. Forse, adesso che il drago si scuote, anche San Giorgio comincia ad avere qualche dubbio."
Nel giorno della celebrazione della liberazione della schiavitù (il Juneeteenth) mandiamo in onda, tradotta, una recente intervista ad Angela Davis. Partendo dalle campagne abolizioniste, dalla campagna defundthepolice e dalla rimozione delle statue confederate, Angela Davis offre un'analisi del razzismo sistemico degli Stati Uniti d'America e la sua connessione al capitalismo.
"It's about revolution"
A 51 anni dalla rivolta di Stonewall, la Corte Suprema ha scritto un’altra importante pagina della storia del movimento LGBTQ americano. Fino a questo lunedi, in 26 stati americani chiunque poteva essere licenziato per il semplice fatto di essere gay o transessuale.
Con questa decisione, la Corte Suprema ha chiarito che la nozione di sesso contenuta nel testo del Civil Right Act approvato nel 1964 non puo’ essere interpretata in chiave strettamente biologica
Questa sentenza e’ un duro colpo per Trump per due motivi. Prima di tutto, l’eliminazione di qualsiasi protezione per le persone transessuali e’ stata una sua ossessione sin dall’inizio del suo mandato.
Durata 5' ca
Con una compagna del prison abolition prisoners support parliamo della situazione carceraria durante il coronavirus e dei legami tra la lotta anticarceraria e quella contro la polizia. Su quest'ultimo argomento approfondiamo il tema del definanziamento della polizia a Minneapolis e proviamo a capire questo cosa potrebbe significare nella pratica
Apriamo con due episodi di censura: il primo riguarda la censura di servizi legati anche alle VPN sui treni ad alta velocità di Italo; il secondo riguarda il progetto Gutenberg, un sito dove è possibile - in maniera del tutto legale - scaricare libri privi di copyright.
Dall'esplosione delle rivolte negli USA, Signal - una app di messaggistica sicura - ha messo a disposizione uno strumento in più: la possibilità di oscurare i volti quando si fanno delle foto. Se la fotocamera è uno strumento utile per denunciare il razzismo della polizia, non possiamo dimenticare che il razzismo è un fenomeno ben più ampio. Un esempio che vogliamo ricordare è quello del razzismo codificato negli algoritmi, in cui le visioni oppressive dominanti vengono trasformate più o meno volontariamente in un programma che poi arriva a prendere delle decisioni operative. Parliamo quindi di una sentenza negli USA che dimostra che - contrariamente a qualche interpretazione passata - studiare gli algoritmi ricercando eventuali discriminazioni insite in essi è sempre consentito dalla legge.
Passiamo ad alcune novità sulla responsabilità delle piattaforme social riguardo ai contenuti che ospitano, guardando ad una sentenza australiana e alla difficile gestione del copyright delle immagini caricate su Instagram.
Chiudiamo tornando a parlare di COVID19 e statistiche: uno studio che ha ricevuto molto credito a livello internazionale si è dimostrato basato su dati inventati; gli Stati Uniti seguono invece un approccio "data driven", in cui i vari Stati guidano i dati con alcuni classici sotterfugi (tutta roba già vista in Europa comunque!).
Domenica 14 giugno le dita nella presa NON andrà in onda: al suo posto troverete una replica!
Con Bruno e Massimo parliamo degli aggiornamenti rispetto alle proteste negli Stati Uniti per l'assassinio di George Floyd lo scorso 25 maggio ad opera dell'agente di polizia Chauvin. Parliamo dell'attuale situazione nelle piazze, le politiche di Trump e la situazione di politica interna rispetto alle polizie locali e agli esponenti del Partito Democratico.
Approfondimento sulle rivolte scoppiate negli Stati Uniti a seguito dell'ennesimo assassinio di un afroamericano da parte della polizia. Ne parliamo con alcuni compagni da diverse città degli Stati Uniti.
grandi scoop e rivelazioni sconvolgenti da tutto il mondo, per la prima puntata di rientro dal vivo