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femminismo

Incontro con Silvia Federici [20 marzo 2016]

Data di trasmissione
Durata 3h 30m 43s

Ieri 20 marzo,nella Sala Teatro della Residenza Universitaria di via De Lollis 20, abbiamo incontrato Silvia Federici

 

La scelta di presentare, insieme a lei, il suo libro, “Calibano e la Strega”, non è derivata solo dal piacere e dal desiderio di averla con noi, ma è per quello che gli scritti di Silvia Federici rappresentano nella costruzione del pensiero, non solo femminista, ma di comprensione dei meccanismi che determinano la struttura sociale e le sue trasformazioni.

Uno dei nodi del nostro impegno è lo scardinamento dei ruoli, sessuati e non. Lottare solo contro la mentalità, la cultura patriarcale senza mettere in discussione i meccanismi che la producono, è insufficiente se non fuorviante. Non trasformando i rapporti di produzione capitalistici iscritti nei processi di lavoro, questi riproducono continuamente tutti i ruoli della divisione sociale capitalistica, tutti i ruoli degli apparati politici e ideologici patriarcali. Disoccupazione, inquinamento, controllo, lavoro sempre più monotono, noioso, sempre più disumano … qualsiasi condizione, situazione, fisica, mentale, affettiva … trasformata in occasione di profitto, è qui il carattere propriamente tragico degli anni che viviamo. Ma, questa condizione non si realizza a partire dall’automatismo in sé, non dipende dalle nostre possibilità o capacità, ma ha le radici dentro le condizioni sociali cioè nella struttura della società e può essere dissolta soltanto dalla prassi consapevole di soggetti che intendono liberarsi...

 

Coordinamenta femminista e lesbica-Collettivo ICS-Progetto Degage!-Studenti medi autorganizzati

Trasmissione del 16/3/2016 "Angela Davis" "L'assalto della chimera"

Data di trasmissione
Durata 1h 1m 23s
Durata 32m 39s
 ” I Nomi delle Cose” /Puntata del 16/3/2016 ”Angela Davis ”

…«Pensare e proporre di abolire il sistema carcerario ci impone di prendere molto seriamente l’anticapitalismo, l’antirazzismo e l’antisessismo» Angela Davis Conferenza “Donna e carcere” a Bilbao, febbraio 2016.

” Angela Davis da Bilbao a Roma/opinioni, pareri, impressioni di chi ha partecipato/Lingua biforcuta/Chiacchierata con Luisa Vicinelli che hatradotto “Calibano e la strega”

Immagine rimossa. 

 

 

E’ nata una nuova trasmissione femminista a Genova “L’assalto della Chimera-Ibridazioni e sguardi femministi” su Radio Stella Rossa! Un grande benvenuto e qui la prima puntata!

La Parentesi del 16/3/2016 "Lingua biforcuta"

Data di trasmissione
Durata 6m 20s

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/03/17/la-parentesi-di-elisa…

 

“Lingua biforcuta”

Questo testo è stato scritto e pubblicato il 23 agosto del 2011.Lo vorrei riproporre alla  riflessione sul perché come ancora oggi non ci sia affatto chiarezza su quello che è avvenuto in Libia e che costituisce un passaggio nodale per la comprensione del presente.

Immagine rimossa. Le vicende libiche presentano due grandi novità con cui dobbiamo fare i conti adesso e, tanto più, in futuro.

La novità non è certo il tipo di aggressione e neanche l’intensificarsi delle guerre “umanitarie”, che, ultimamente, presentano una scansione temporale sempre più serrata.

Da sempre, questo sistema usa tutto l’armamentario possibile per rovesciare governi non graditi, compresi colpi di stato e guerre. Tutti i governi rovesciati presentano una caratteristica in comune: sono, per motivi politici o economici, asimmetrici agli interessi delle multinazionali. E il loro destino non è dovuto al colore politico. Vengono rovesciati indifferentemente Allende e Sankara, Saddam Hussein e Gheddafi. E la strumentalizzazione dei motivi umanitari o dell’autodeterminazione dei popoli da parte delle potenze occidentali, è palese, leggibile e ormai patrimonio di tutte/i : l’autodeterminazione del Sud Sudan è osannata, quella del popolo basco e  del popolo irlandese viene rubricata nel terrorismo.

L’uomo bianco ha la lingua biforcuta, dicevano le/i native/i d’America.

Dove stanno le novità?

La prima riguarda il fatto che le potenze occidentali, nella necessità e nella smania di impossessarsi di materie prime e nuovi mercati, sottraggono situazioni di privilegio e di rendita ad altre nazioni occidentali che , nella filiera del dominio imperialista , vengono percepite e sentite come più deboli.

Questo è la guerra in Libia. Uno Stato che era sotto la sfera d’influenza italiana, con l’ENI in una posizione predominante e privilegiata, passa sotto l’influenza francese e inglese. L’Italia viene espulsa dal suo ruolo e sostituita dall’Inghilterra e dalla Francia.

Non si tratta di essere nazionaliste, ma di rendersi conto della fase cannibalesca a cui l’imperialismo è arrivato.

Da qui l’inconsistenza di chi parla di una crisi del capitalismo che invece non c’è: le situazioni di restrizione, di disagio ,di povertà, di precarietà nei paesi occidentali e l’oppressione con le rinnovate guerre coloniali nei paesi del terzo mondo, vengono scambiate per segnali di una crisi, mentre sono scelte di fondo.

E’ in atto una ridefinizione dei rapporti di forza fra le multinazionali occidentali, di cui i governi sono il braccio esecutivo e la NATO quello militare.

Ma, l’anomalia ,tutta italiana, è che, per la prima volta, nella centocinquantennale storia unitaria, un partito di una certa consistenza elettorale, senza giri di parole stiamo parlando del PD, non sposa gli interessi di questo o quel settore della borghesia italiana, ma interessi di borghesie straniere e , nella fattispecie, francesi e inglesi.

Non era mai successo. Questa è la seconda, importante, novità.

Abbiamo sempre visto che nei paesi del terzo mondo segmenti politici, anche organizzati, si sono prestati e si prestano ad essere strumento di colonizzazione, ma questo avviene, per la prima volta, anche in un paese europeo.

Tutto è cominciato con la riunione sul panfilo Britannia che ha dato il via, nel nostro paese, ad una campagna di denigrazione dei servizi pubblici e di demonizzazione dei lavoratori in generale e di quelli pubblici in particolare e che ha creato il clima favorevole per poter svendere il patrimonio pubblico alle multinazionali anglo-americane, in particolare quello del settore agro-alimentare.

Questo progetto è stato portato avanti dai governi Prodi, Amato, D’Alema.

Questo è il senso della discesa in campo degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia e dei circoli atlantici a favore del PD, perché quest’ultimo possa portare a termine il lavoro già iniziato svendendo loro le poche industrie pubbliche rimaste, dando loro, come garanzia dei prestiti internazionali, le riserve auree nazionali che sono parte cospicua della ricchezza del nostro paese, di cui gli Stati sopra citati, hanno grande bisogno visto che, da troppi anni, continuano a stampare carta moneta che, essendo prodotta non in rapporto alle loro ricchezze nazionali, di fatto, è carta straccia.

Questo è il senso della distruzione delle economie irlandese, portoghese e greca, paesi ridotti a vendere le ricchezze nazionali per pagare i soli interessi dei debiti contratti.

Nell’ottocento, alla Grecia, hanno portato via il frontone del Partenone, adesso, il Partenone, glielo vogliono portare via tutto.

Operazione preparata e accompagnata da una campagna di diffamazione che presenta quei popoli come pigri, indolenti e che vivono al di sopra delle loro possibilità. Siamo al razzismo allo stato puro.

E, siccome è un piano inclinato e una cosa tira l’altra, si vogliono ridurre quei paesi a condizioni di vita ottocentesche, così come ha fatto l’Inghilterra a casa sua, mettendo in preventivo rivolte e metodi per reprimerle.

Noi femministe non viviamo in un limbo, nel nostro lottare per la liberazione dalla società patriarcale, dobbiamo sapere e capire lo svolgersi dei processi che avvengono intorno a noi.

Sapere chi porta avanti le scelte e i percorsi che abbiamo analizzato e come li conduce, magari saccheggiando lessico e modalità che sono nostro patrimonio, ci evita e ci eviterà di essere complici di questo progetto che è contro i nostri interessi, che vuol far diventare questo paese una colonia anche dal punto di vista culturale, colonizzando anche le nostre battaglie ed i nostri pensieri.

Trasmissione del 9/3/2016"Sulla guerra, sulla Nato, sulle manifestazioni che sono state chiamate"

Data di trasmissione
Durata 1h 5m 38s
  ” Sulla guerra, sulla Nato, sulle manifestazioni che sono state chiamate”

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…Una guerra più grave, quindi nuova. Che cambia tutto. Che permette di cambiare tutto. Di giustificare lo stato d’urgenza e la demolizione programmata dello stato di diritto. Tanto che lo stato d’urgenza diventa a sua volta una prova dell’emergenza e della necessità della guerra. Guerra e stato emergenziale sono le due componenti indissociabili dello stato in cui lo Stato ci ha messe/i.” Christine Delphy /Apertura del Meeting contro la guerra/Parigi 15 gennaio 2016

“Il riconoscimento del nemico” ovvero  riflessioni femministe sulla guerra, sulla Nato, sulle mobilitazioni che sono state chiamate/L’ennemi principal”

guerra, sulla Nato, sulle mobilitazioni che sono state chiamate.

 

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Parentesi del 9/3/2016 "L'ennemi principal"

Data di trasmissione
Durata 7m 4s
https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/03/10/la-parentesi-di-elisabetta-del-932016/ “L’ennemi principal”

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Christine Delphy, femminista materialista francese, dichiarava in un famoso articolo degli anni’70, che la questione più importante era l’individuazione del nemico e, nel caso in questione, si riferiva al sistema di espropriazione e di dominazione patriarcale.

Ma, al di là dello specifico di quell’intervento, la dichiarazione è fondamentale perché senza l’individuazione del nemico e lo smascheramento di come questo agisce, le lotte diventano inutili, fuorvianti e costituiscono un notevole spreco di energie. Oltre ad avere il dannosissimo risultato, proprio per il fatto che sono fuorvianti, di demoralizzare le militanti e i militanti e allontanarle/i dall’agire politico.

Il discredito da cui ora è colpita  la sinistra, infatti viene da lontano, viene dalla mancata individuazione e denuncia con fermezza e determinazione del ruolo, negli anni ’60 e ’70, del PCI e della socialdemocrazia, cosa che ha permesso l’annientamento delle lotte di quegli anni e che ha trascinato fino ad ora l’equivoco su queste entità politiche nelle svariate configurazioni che hanno assunto, permettendo il massacro del concetto stesso di sinistra, la demonizzazione del termine compagno/a per arrivare fino alle dichiarazioni che non esisterebbero più destra e sinistra e che la politica è sporca.

Ora, leggendo la chiamata per le manifestazioni contro la guerra del prossimo 12 marzo salta agli occhi la mancanza assoluta del nome, neanche pronunciato per sbaglio, degli Stati Uniti.

Il neoliberismo, con tutti i suoi corollari, non rappresenta altro che la fase attuale del capitalismo nella sua autoespansione. Le delocalizzazioni industriali, le crescenti e disumane disuguaglianze, la povertà cronica e diffusa non sono il frutto della crisi o la fatale conseguenza dello sviluppo sociale, ma il risultato di decisioni che riflettono il forte spostamento dei rapporti di classe in favore del capitale. Il modello non è da inventare, non si costruisce a tentoni, ma è quello statunitense. L’America riplasma il mondo a sua immagine. Ma, tutto ciò ,passa attraverso la colonizzazione semiotica e ideologica che si opera con la diffusione di questi metaconcetti. Disimpegno dallo Stato sociale, rafforzamento delle componenti poliziesche e penali, riduzione delle tutele del mercato del lavoro e delle tutele sociali e, attraverso la celebrazione moraleggiante della “responsabilità individuale” si approda alle guerre “umanitarie”. Il tutto va di pari passo con la sistematica dissoluzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, con la precarietà, con carichi di lavoro disumani, con il controllo/vigilanza sul luogo di lavoro , con la caccia ai sindacati non allineati, con la rimessa in discussione del diritto di sciopero, con la totale flessibilità dell’orario di lavoro. E’ un progetto insieme ideologico ed economico. La fase attuale del capitalismo ha la sua principale caratteristica nell’offensiva degli Stati Uniti tesi ad assoggettare con ogni mezzo a disposizione tutte le potenze amiche e/o rivali. Ottenere, a tutti i costi, il dominio egemonico, è, per gli USA, un imperativo imposto dalle condizioni oggettive al fine di superare la spaccatura strutturale tra capitale transnazionale e Stati nazionali. Da qui, l’attacco all’Europa che ha le radici profonde nel disprezzo della democrazia e dello Stato sociale inscritti negli Stati europei e che, oggi, si basa sulla necessità di impedire la coesione dell’Europa, di sgretolarne la moneta ed il mercato unico. Infatti , Henry Kissinger, in un discorso intitolato “L’anno dell’Europa”, consigliava agli europei di esercitare le loro “responsabilità regionali” nel quadro globale di un “ordine mondiale” determinato dagli Stati Uniti. Ogni soluzione indipendente era, dunque, già condannata.

Strumento principe della politica di espansione militare è la Nato, trasformata in esercito  di aggressione sotto comando USA . Legare l’Unione Europea alla Nato senza nominare gli Stati Uniti è fare un’operazione di pericolosa mistificazione, dato che l’Europa è sotto il dominio militare e culturale degli Usa. La Germania è piena di basi militari e l’Italia è una portaerei  americana. E il TTIP sarà il colpo di grazia a qualsiasi tentativo di autonomia da parte dell’Unione Europea.

E, allo stesso tempo, dire che quello in atto è uno scontro tra varie potenze imperialiste, significa confondere l’aggressore con l’aggredito, dimenticare che l’accerchiamento alla Russia è opera statunitense e noi sappiamo che quando si mette sullo stesso piano chi aggredisce e chi è aggredito significa stare dalla parte del più forte.

E pensare che il governo Renzi  abbia un’autonomia decisionale rispetto agli Stati Uniti è altrettanto pericolosamente mistificante perché è proprio il PD a rappresentare e a naturalizzare il neoliberismo nel nostro paese e ad essere portatore del modello americano. L’aggressione alla Libia del 2011 è stata fortemente voluta dal PD e dall’allora presidente della repubblica Giorgio Napolitano benché fosse chiaro che era assolutamente contro gli interessi italiani.

Renzi non è altro che un governatore incaricato dagli USA di una  colonia che si chiama Italia.

Il neoliberismo, questa nuova società che si proclama “moderna” si basa su una serie di opposizioni e di equivalenze che si sostengono e si rispondono a vicenda per descrivere le trasformazioni della società “avanzata”, attraverso una “retorica” a cui i governi ricorrono per giustificare la loro volontaria sottomissione ai mercati finanziari. In questo modo, gli Stati Uniti impongono al resto del mondo categorie di percezione analoghe alle loro strutture sociali, rafforzando, così, le pretese universalistiche. Attraverso il ragionamento binario, costruito compiutamente, l’ alternativa è fra essere individui, partiti, Stati “democratici” e “capitalistici” nella versione “americana” oppure “comunisti”, “terroristi”, “islamici”.

Per questo non nominare nelle mobilitazioni contro la guerra il ruolo, l’essenza, la strategia statunitense significa non riconoscere chi è il nemico principale e paradossalmente consegnarsi mani e piedi proprio alla guerra.

Trasmissione del 2/3/2016 "Calibano e la strega-Intervista a Silvia Federici""

Data di trasmissione
Durata 1h 9m 41s
 
Immagine rimossa.” I Nomi delle Cose” /Puntata del 2/3/2016 ” Intervista a Silvia Federici”

” Perché dopo cinquecento anni di dominio del capitalismo, all’inizio del terzo millennio, la figura del proletario è ancora quella del povero, del fuorilegge e della strega? Che rapporto c’è tra l’esproprio della terra, l’impoverimento di massa  e il continuo attacco alle donne? E che cosa possiamo apprendere sullo sviluppo del capitalismo, passato e presente, se lo analizziamo nell’ottica privilegiata di una prospettiva femminista?” Silvia Federici <Calibano e la strega>Mimesis 2015

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Desmonautica del 24/2/2016 "La difficoltà di avere difficoltà"

Data di trasmissione
Durata 9m 33s
“Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.  “La difficoltà di avere difficoltà”

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/27/la-difficolta-di-avere-difficolta

 

Ho difficoltà a fare molte cose.

Non so condividere i miei spazi, non senza impazzire. Non so cominciare e finire le cose con facilità. Non me la cavo granché col linguaggio del corpo e le sottili implicazioni emotive dei messaggi sottintesi. Non sempre riesco a comunicare a voce, e anche quando posso, avverto un enorme peso nel tradurre le mie immagini in lessico intellegibile. Non posso tollerare  i programmi stravolti di punto in bianco. Non so gestire più di un impegno al giorno, massimo due, per le mie energie limitate e per via dell’angoscia e del disorientamento che mi porta la gestione simultanea o sequenziale delle mie istanze quotidiane. Non esco molto di casa perché mutare spesso ambientazione mi stressa molto. Non ho realmente idea di come ci si faccia delle amicizie, o di come si manutengano i rapporti umani: devo i miei residuati di socialità a tutte quelle persone che fanno lo sforzo di perseguire la mia compagnia. Ho bisogno di fare tutto sempre allo stesso modo e di obbedire a piccole e grandi compulsioni utili e inutili che non sono dettate dallo sfogo di un’ossessione ansiosa ma da un’innata, non estirpabile, tendenza alla routine, e non posso non ammettere che mi sento a disagio nel continuare questo paragrafo rompendo lo schema che mi fa iniziare le frasi con un bel non. Ho dei sensi che funzionano in modo intenso e bizzarro, offrendomi la capacità di causarmi disgusto fino al vomito di fronte a molti sapori e consistenze; sentirmi benedetto sulla terra per le deliziose, friabili onde sonore di tarallo masticato sull’autobus dalla passeggera dietro di me; scoppiare in una immensa crisi di rabbia notturna graffiandomi le braccia e sbattendo la testa contro il mobiletto del bagno per via della irritante frequenza dei miei che russano e dell’insopportabile nenia di slinguazzamento che fanno i gatti nei loro riti di toelettatura, poiché dormiamo nella stessa stanza da vent’anni con buona pace del mio ineluttabile bisogno di privacy; avvertire la benché minima variazione di temperatura dunque non riuscire a tenere in mano una tazza moderatamente calda e ciononostante uscire spesso di casa con un abbigliamento inviso a ogni briciolo di buonsenso meteorologico, sudando a fiotti o sfidando la morte per ipotermia con gagliardo sorriso futurista e mani cianotiche. Regolare amministrazione autistica.

Molto tempo fa mi sono accorto di queste difficoltà senza accorgermene davvero. Ho assunto presto la consapevolezza che la mia percezione non corrispondeva alle percezione delle persone che incrociavo. Non che sia poi così difficile quando chiunque ti fa notare che una buona parte dei tuoi modi di fare e d’essere sono per così dire inappropriati, fuori luogo, strani. Dove non sono arrivato io con arguto dedurre, c’è arrivata la pressione sociale con le persuasive argomentazioni della persecuzione fra pari; anche fra dispari, vista l’annosa abitudine delle persone dotate di un potere ad abusarne. Lezione appresa. Diverso non si può, trovarsi in una brutta situazione è un crimine imputabile anche se non è un crimine e anche se non è stato commesso. I bravi bambini obbediscono. Io ho obbedito. Per fortuna ho quasi smesso, ora consumo solo mezzo pacchetto al giorno.

Questo livello di realtà colora tutta la mia vita, il mio stare nel mondo, come anche il cambiarlo. Lo spazio e l’agire tradizionale della politica extraparlamentare – ma anche di quella parlamentare,  la quale però non ho mai vissuto e praticato, e mai accadrà – consiste in un insieme di implicite regole sociali le quali per lungo tempo ho tentato di capire e assecondare, inutilmente, quali diplomazie, narcisismi, bisogni d’appartenenza, omologazione, idiosincratiche intollerabilità di vario genere. La peggiore pretesa è però la straziante richiesta di abdicare la propria persona in favore di un’abnegazione totale, noncurante delle priorità, delle limitazioni e delle necessità individuali e sociali, figlia quell’idea assurda e reazionaria che è l’indipendenza: essere isole, che si sanno bastare da sole o che in questo modo amano raccontarsela; questa indipendenza, che non rappresenta le abilità legate all’autonomia personale, ma il cerotto  applicato su quell’esigenza palpabile che sono i nostri rapporti di interdipendenza reciproca, in termini di affetto, di cura, di soddisfacimento dei bisogni più e meno elementari; viene chiesto insomma di favorire fatica e intelletto a un gruppo, un collettivo, una rete – esattrici di lavoro emotivo che non ne restituiscono altrettanto – che sì, fornisce una forma primitiva, grossolana e distruttiva di supporto, ma soltanto a chi possiede la possibilità e la pazienza di farne porta e soltanto a costo di distruggerl* pian piano, spogliandol* infine del diritto alla sopravvivenza in nome di qualcosa di più grande, così grande da inghiottire contraddizioni, idiosincrasie, umanità. Che libertà è mai questa? Che giustizia porta con sé?  La libertà di farsi tiranneggiare da una comunità terribile, più fascista di quella che ci mette i piedi in testa di solito. La giustizia, quella delle forche.

 

Sono qui, diversi anni dopo, a fare i conti con quei lasciti, con l’eredità sostanziale della mia storia e delle mie peculiarità metà neurologiche, metà esistenziali. Stavolta ho con me dei fortunati incontri, una sviluppata capacità di scomporre ai minimi termini le verità che mi vengono proposte, una scarsissima pazienza per le stronzate. Sono capace, oggi, di difendere il bambino che ero e quello che c’è ora nell’uomo che sono: disincantato, umorista, consapevole, un pizzico stronzo, eppure così ostinato in una volontà sconfinata di cercare e offrire tenerezza. La vulnerabilità è un bene incedibile che si tiene in salotto per tutta la vita, un grazioso soprammobile. Non è un compito semplice prendersene cura. Quando mi serve aiuto, e mi serve, non so chiederlo mai e anzi mi accartoccio su me stesso, m’isolo e taccio. Questa è la difficoltà di sentirsi in difficoltà: avere bisogno di aiuto e non sapere come, se, quando chiederlo, a partire dalla posizione più scomoda che si possa assumere che però è l’unica possibile: o si chiede aiuto, o si continua a soffrire. Ma interpellare qualcun* è invitarl* nella mia dimora figurata; nel farlo chiamo implicitamente questa persona a passare di fronte al delicato oggettino di cristallo. Lei potrebbe accorgersi della sua presenza, decidere di toccarlo e farmi fremere nel timore che possa urtarlo, per sbaglio se non per volontà, e farne mille pezzi. Una paura non banale che si mostra nella mia tendenza così consolidata a ironizzare su assurdità, insensatezze, talvolta disgrazie e tenere distanti da sé le spiacevolezze e non averci a che fare. Una strategia ridanciana di stupidità emotiva, e per fortuna non ancora una pessima abitudine che rischia di estendersi ai problemi altri, minimizzandoli. Così ora, quando mi chiedono come va, quella frase curiosa, un’affermazione che sembra una domanda – con tutte le sue aspettative di risposta lineare e affermativa, autoconclusoria: tutto bene, grazie – mi sforzo di rispondere nel modo giusto. Una merda. Perché bisogna sapere che stare male è legittimo e la protesta anche di più. Perché la frustrazione de* singol* sia la rabbia di tutti e tutte.

Trasmissione del 24/2/2016 "La verità attraverso l'immagine?"

Data di trasmissione
Durata 1h 2m 27s
“ La verità attraverso l’immagine?

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/26/podcast-della-trasmissione-del-2422016/

“L’area della comunicazione sociale è l’area della vita sociale.Sul terreno sociale, l’esistenza di un evento è strettamente legata al suo essere comunicato(…)La produzione di falsificazioni,mentre dissimula eventi sociali reali, ne propone una “rimodellizzazione” falsa.E’ vera e propria controrivoluzione che si svolge e si pratica sul terreno dei linguaggi”Memoria collettiva  Memoria femminista “2012

 

Immagine rimossa.<L’immagine-prova e l’immagine di guerra>Incontro con Alessia Lombardini

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Barzelletta macabra/ DESMONAUTICA/La difficoltà di essere in difficoltà”

 

La Parentesi del 24/2/2016 "Barzelletta macabra"

Data di trasmissione
Durata 4m 22s

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/25/la-parentesi-di-elisabetta-del-2422016/#more-7973

 
Immagine rimossa.“Barzelletta macabra”

Gira in rete una barzelletta macabra che dice che Equitalia prende ai ricchi per dare ai poveri e che pagando le tasse si incrementerebbe lo Stato sociale.

Peccato che questi bontemponi che la raccontano, non sappiamo quanto in buona fede, dimentichino i toni trionfalistici con cui i dirigenti di Equitalia sciorinano i sempre nuovi traguardi raggiunti nell’esazione delle tasse. Ed altresì omettano di ricordare che quando non c’era Equitalia e non c’era una pressione fiscale così rapace, lo Stato sociale, invece, c’era e, per certi versi, funzionava.

Dai dati ufficiali al febbraio 2016, risulta che negli ultimi venti anni i tributi sono quasi raddoppiati, crescendo del 92,4%. Le tasse locali, tra il 1995 e il 2015 sono passate da 30 miliardi a 103 miliardi di euro con una crescita pari quasi al 250%. Nello stesso periodo le tasse centrali sono passate da 228 miliardi di euro a 393 miliardi, con un aumento del 72%. Solo dal 2011 al 2015 le imposte sugli immobili sono cresciute del 143%.

Lo Stato sociale, però, è stato smantellato pur in presenza di un rastrellamento fiscale ben più cospicuo per cui, evidentemente non è il risultato del prelievo fiscale, bensì è il frutto di una combinazione fra scelte politiche e lotte. E siccome, sempre i buontemponi della barzelletta di cui dicevamo, sembrano essere preda di amnesia totale, fanno finta di non sapere che le maggiori entrate fiscali andranno ai militari, alle missioni all’estero, alla Nato e agli apparati repressivi e di controllo che, bontà loro, si chiamano magistratura e forze dell’ordine. Naturalmente con il corollario dei finanziamenti pubblici ai partiti e alla stampa di regime.

Sono gli stessi che raccontano che c’è la crisi e che, per questo, dobbiamo stringere la cinghia, dimenticando che i miglioramenti in ogni campo in questo paese sono stati ottenuti in concomitanza con le lotte degli anni ’70 dove pure c’era l’ennesima crisi del petrolio per cui gli italiani andavano a piedi, il ministro di turno si faceva fotografare in bicicletta, salvo salire subito, a telecamere spente, sulla macchina di servizio, e la televisione ci raccontava quanto era bello riscoprire i cavalli e le passeggiate salutari.

Ma, ora, non c’è nessuna crisi, o meglio c’è un forte impoverimento di tutti sociali colpiti dal neoliberismo, impoverimento che è una vera e propria scelta ideologica del capitale in questa fase che mira a ridefinire i rapporti di forza sia all’interno della classe sia con le classi subalterne.

Il numero di poveri/e si allarga sempre più e sono sempre più poveri, gli occupati diminuiscono, i contratti a tempo indeterminato sono un privilegio, i liberi professionisti devono indossare l’abito divisa e lavorare come impiegati nei grandi studi, i quali a loro volta si concentrano e diventano succursali di multinazionali che si occupano di tutto, dalla pornografia  all’ecologia, dall’architettura  alle questioni legali. I dettaglianti sono destinati a scomparire, la grande distribuzione li farà fuori tutti. I lavoratori e le lavoratrici se ne facciano una ragione, sono stati turlupinati dai sindacati e dai partiti socialdemocratici, non avranno più l’orgoglio di essere operai/e.

Hanno venduto la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie.

Le proletarie torneranno a fare le collaboratrici domestiche contendendo il poste alle migranti. Vi ricordate quando si diceva che le migranti e i migranti facevano i lavori che le italiane e gli italiani non volevano fare più?. Tantissime donne sceglieranno la prostituzione, con buona pace dei moralisti e delle moraliste d’accatto che le giudicano o le vogliono salvare, mentre dimenticano che è un lavoro come un altro solo che non ha bisogno di laurea, curriculum e investimenti.  La piccola e media borghesia scompariranno, saranno drenati i loro risparmi e dovranno vendere la seconda casa e poi anche la prima. Ai pensionati/e  spetterà la dignitosa povertà, un vestito d’inverno e uno d’estate. Rivedremo tante persone senza denti, si allargherà la platea di quelli che chiederanno l’elemosina, di quelli che andranno ad abitare nei campi nomadi che tanto nomadi non sono perché la presenza degli italiani è numerosa e i bambini i cui genitori non pagheranno la mensa scolastica guarderanno i più fortunati mangiare, ritorneremo alla coabitazione.

In definitiva la popolazione  sarà gettata nella disperazione, e i media e la televisione, gli sceneggiati e i film commissionati ad hoc ci racconteranno un’Italia che non esiste. Realizzeremo così il modello americano: il paese più criminale di questo mondo e il popolo più disperato senza stato sociale, senza copertura sanitaria, dove la casa di proprietà o vivere una serena vecchiaia è un sogno irrealizzabile, dove non esiste contratto lavorativo nazionale e sistema pensionistico.

Il neoliberismo è la realizzazione della società americana. Conosciamo quello che ci aspetta, non dobbiamo fare dotte analisi, ce l’abbiamo sotto gli occhi. Saremo tutte/i  controllate/i come quegli animali che si credono liberi e hanno invece il cip sulle orecchie e  sono ripresi e ascoltati in ogni momento della loro vita.

Una situazione insostenibile  dove l’unica possibilità di sfogo è la guerra al vicino di casa, la rabbia verso il migrante, la guerra ad altri disperati/e che culmina poi nello sparare al dirimpettaio o ai colleghi sul luogo di lavoro oppure ai primi che incontri per strada.

Questo per la popolazione tutta, mentre quelli che lavoreranno direttamente per il sistema avranno il rango  di animali da cortile.

E’ un ritorno a tutto campo alla società ottocentesca dove la povertà è un crimine e il povero  un delinquente.

Dobbiamo domandarci perché tutto questo è successo negli Stati Uniti e sta succedendo anche da noi, altrimenti ci ritroveremo senza possibilità di lottare.

E’ necessario scardinare i concetti di legalità, di gerarchia, di meritocrazia, rifiutare la militarizzazione del proprio territorio e l’aggressione ai popoli del terzo mondo. Guardare con disprezzo quei disonesti intellettualmente che ci raccontano che la legge è al di sopra di tutto, che le istituzioni difendono tutti mentre, di volta in volta, scoprono una categoria sociale da demonizzare e contro cui scatenare la canea sociale, che ci raccontano che con il merito si va avanti, che i più capaci e meritevoli saranno premiati. La variante italiana che il venditore di noccioline può diventare presidente degli Stati Uniti

Renderci conto che il patto sociale è stato rotto in maniera unilaterale da chi detiene il potere e che quindi noi non dobbiamo più nulla a questo Stato, men che meno le tasse di qualsiasi tipo siano e qualsiasi tipo di balzello, dobbiamo rifiutare qualsiasi tipo di controllo, almeno assumerci il coraggio di dirlo, diffondere  alterità e difendere sempre chi si ribella a questo sistema.

Detta così potrebbe sembrare una bella petizione di principio, uno sciorinare idee difficilmente realizzabili.

Invece è più semplice di quanto si possa pensare perché tutte e tutti noi abbiamo cervello per pensare, occhi per vedere e possibilità di prendere posizione.

Tutte e tutti noi, tutti i giorni, ci troviamo di fronte a situazioni in cui possiamo intervenire.

Togliere ogni valenza politica alle lotte e ridurle a situazioni delinquenziali è lo strumento messo in atto dal potere.

E’ da lì che dobbiamo ricominciare, dagli appuntamenti politici: chiudere Equitalia, chiudere i covi del PD, uscire dalla Nato.